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Visualizzazione dei post da aprile, 2023
 IL PRANZO DELLA DOMENICA: VENT'ANNI DI UNA FAMIGLIA ITALIANA CHE (FORSE) NON È CAMBIATA  Quando si dice che la "commedia all'italiana" è finita, penso sempre che il motivo sia uno soltanto: è l'Italia a essere cambiata. È cambiata l'Italia che si specchiava in quel tipo preciso di commedia, ironica e amara, realistica e fantasiosa, ma profondamente schietta e sincera. Ecco, forse è vero che l'ultimo capitolo di quel genere cinematografico nato con Monicelli, Risi e Scola l'hanno scritto i fratelli Carlo ed Enrico Vanzina vent'anni fa. Era il 29 aprile 2003 quando, nelle sale italiane, usciva "Il pranzo della domenica", un film divertente nella sua pura verità, che racconta un Paese ancora legato al passato ma allo stesso tempo moderno. Tra cellulari, lettori Cd , e parabole satellitari, tutti "figli" del passaggio tra Vecchio e Nuovo millennio, una famiglia borghese romana continua a vivere di abitudini e consuetudini tipiche d
 CICCIO INGRASSIA, 50% DI ILLIMITATA COMICITÀ  Ricordo benissimo quel tardo pomeriggio. Erano circa le 19, mio padre guardava il TG4 e in quel preciso istante venne dato per me un triste annuncio: Ciccio Ingrassia era morto. "Cicciuzzo", come lo chiamava la sua metà Franco Franchi, era volato via. Per me, ragazzino di undici anni, quei due "mattacchioni" - per fare il verso anche al titolo di un loro film - erano stati tra i primi a farmi capire cosa significasse ridere.  Era il 28 aprile 2003. Ciccio Ingrassia era riuscito a resistere undici anni con la sensazione di essere monco. Nel 1992, gravemente malato, Franco Franchi lo abbandonò dopo un'esistenza vissuta in tandem per quasi quarant'anni, tra palcoscenici e set cinematografici, tra parodie nonsense e sketch televisivi, salvo un piccolo periodo vissuto separatamente, quando soprattutto Ciccio riuscì a dimostrare il suo grande talento oltre la coppia, cimentandosi come attore drammatico con registi
 INSUPERABILE LELIO! Ironico, garbato, affascinante, preparato. Sorriso largo e bianco come i tasti del suo pianoforte, nero e lucido come i suoi abiti migliori. Lelio Luttazzi era un "signore". Un signor musicista, un signor compositore, un signor attore (tra cinema e televisione), un signor presentatore, raffinato e gentile, moderno e rassicurante, passando dalla televisione, con "Studio Uno" accanto Mina, alla radio con il leggendario "Hit Parade".  Attimi di spettacolo indimenticati e indimenticabili, come la sua ultima apparizione televisiva, bianco di capelli, ad accompagnare al pianoforte Arisa a Sanremo 2009.  A cento anni esatti dalla sua nascita, vi ripropongo al link seguente l'articolo da me redatto tre anni fa, nel decimo anniversario della scomparsa di Luttazzi. Un modo per rinfrescarci la memoria e ricordare degnamente un uomo e un artista insuperabili. L'articolo è fruibile al seguente link: https://ilrestodelmarino.blogspot.com/202
 LAMBERTO MAGGIORANI, IL BEL "VOLTO" DEL CINEMA ITALIANO  Venne rapito dalla magia del cinema e dalle sue illusioni, che lo consumarono a fondo, come il male incurabile che se lo portò via quarant'anni fa, il 22 aprile 1983. Lamberto Maggiorani, però, è stato uno dei pochi attori "presi dalla strada" ad aver conosciuto la vera fama internazionale, grazie a un film struggente e straordinario e a un grande regista. Era un umile operaio alla Breda di Roma - città in cui nacque il 28 agosto 1909 -, padre di famiglia, quando, da un giorno all'altro, si ritrovò ad essere protagonista di uno dei più grandi capolavori del neorealismo. Vittorio De Sica, attraverso un annuncio radiofonico, stava cercando un padre e un figlio per "Ladri di biciclette".  La moglie di Maggiorani ascoltò l'annuncio e portò al provino suo figlio minore e una fotografia del marito. Il bambino non venne scelto, ma l'uomo, affiancato dal piccolo Enzo Staiola e dalla giornali
 GALEAZZO BENTI, IL SORRISO DELLA RIVALSA  Capita a molti attori di rimanere imprigionati in un determinato personaggio. Ma in alcuni casi, l'identificazione è talmente profonda da impedire allo stesso di andare oltre, di dimostrare le proprie capacità al di là della maschera. È quanto accadde a Galeazzo Benti, brillante attore del varietà e del cinema negli anni '50, che si trovò quasi "costretto" ad abbandonare il Bel Paese nella speranza di riscattarsi dalla maschera del gagà , o meglio del dandy , come amava dire lui. L'immagine del giovane di sangue blu, elegante e debosciato, affascinante e truffaldino, affrescata in palcoscenico e sul set in memorabili film di Totò, Galeazzo Benti l'aveva nel suo volto aristocratico e nel sorrisetto sotto i baffetti sottili e appuntiti.  Fiorentino di nascita - avvenuta il 6 agosto 1923 -, erede della nobile dinastia Bentivoglio, antico casato bolognese, fu costretto dal nonno a cambiare il proprio cognome per impedire
 ROCCO SCOTELLARO: PAROLE PER NON MORIRE MAI "Tutti abbiamo una idea fissa [...] L'idea fissa di diventare un giorno proprio quello che non potremo mai essere". Scriveva così, Rocco Scotellaro. Viene spontaneo chiedersi: lui cosa avrebbe voluto essere? Forse semplicemente se stesso. Un uomo fiero delle proprie origini e amante indefesso della sua terra, la Lucania, dove nacque un secolo fa, il 19 aprile 1923. Figlio di un calzolaio e di una rammendatrice, Scotellaro lasciò la natia Tricarico ancora ragazzino per proseguire gli studi in collegio. Cambiò diverse città, attese studi classici e si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza a Roma, ma non conseguì mai la laurea.  L'amore per la sua terra, però, era troppo forte e nel 1943, dopo la scomparsa del padre, fece ritorno nel suo paese. Qui iniziò ad occuparsi di politica, fondando la locale sezione del Partito socialista e impegnandosi sindacalmente nella lotta alla dignità dei contadini, in particolar modo dopo la
 UN "LEONE" DI NOME IGNAZIO È un peccato non ricordarli, un peccato grave. Ricorrenti fino all'inverosimile. Quasi invadenti, anche se sempre relegati a ruoli di contorno e ad angoli di inquadratura. Sempre svegli e vispi, nei loro sguardi anonimi come i panni spesso indossati. Tra i tanti, molteplici e indimenticabili caratteristi del cinema italiano c'è anche lui, Ignazio Leone. Un nome che dirà poco, ma un cognome preso "in parola", a giudicare dalla grinta espressa ad ogni ciak. Nato un secolo fa - il 19 aprile 1923 - a Palermo, Leone fece tutta la gavetta, tra i palcoscenici del varietà e l'avanspettacolo, nella sua terra, prima di approdare al cinema nei primi anni '50. Iniziò a mietere i primi successi in palcoscenico con il neonato due comico di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che successivamente affiancò nelle numerosissime parodie portate sul grande schermo da registi come Lucio Fulci e Giorgio Simonelli.  In alto, da destra, Ignazio Leo
 ROMOLO SIENA, "PAPÀ RAI" C'erano il Monoscopio, la Tv dei ragazzi, il Telegiornale e il varietà del sabato sera. C'era il bianco e nero, in cui risaltavano impeccabili l'eleganza e la gentilezza del presentatore, che fosse Mike Bongiorno, Corrado o Pippo Baudo. E dietro la camera c'era lui, Romolo Siena. Uno dei pionieri, uno degli artefici della Rai Tv, dal 1954. Appassionato di fumetti, giornalista sportivo commentatore del "Giro d'Italia" per la "Gazzetta dello Sport", Siena si era spostato dalla natia Alessandria - dove venne alla luce un secolo fa, il 18 aprile 1923 - girovagando in lungo e in largo per il Bel Paese. Approdò a Roma quando la Rai era ancora in fase sperimentale e lì, insieme ad altri grandi autori e registi, da Jurgens a Verde, da Falqui ad Amurri, contribuì a realizzare quel piccolo mondo fittizio, fatto di scene superbamente preparate, corpi di ballo, canzoni, comici, quiz, presentatori e soubrette .  "Batte
  FERRUCCIO DE CERESA: MODESTIA E DISCREZIONE Dobbiamo tanto alla prosa televisiva e ai gloriosi sceneggiati Rai. Opere di gran pregio interpretate da bravissimi attori di teatro che senza la "memoria" del piccolo schermo sarebbero stati dimenticati. Tra questi c'è Ferruccio De Ceresa, scomparso trent'anni fa, il 17 aprile 1993, dopo una vita intensa dedicata al palcoscenico. Classe 1922, genovese, laureato in Legge, iniziò a muovere i primi passi nella sua città, esordendo nella compagnia sperimentale dedicata a Luigi Pirandello, dove conobbe Elsa Albani, con la quale diede vita a un longevo e vincente sodalizio, artistico e sentimentale.  Si cimentò con Shakespeare e Goldoni, con Miller e Flaiano. Lavorò con Gianrico Tedeschi, Alberto Lionello e Ivo Garrani. Fu con Strehler al "Piccolo" di Milano, ma fu soprattutto membro della "Compagnia dei Giovani" fondata da Romolo Valli, Giorgio De Lullo, Anna Maria Guarnieri e Rossella Falk.  Ferruccio De C
  BYE , MARY! " Saran belli gli occhi neri, / saran belli gli occhi blu, / ma le gambe / ma le gambe / a me piacciono di più ". Recitava così una melodica canzonetta swing . Ebbene, se sono così belle, le gambe, perché non dovrebbero essere mostrate? Erano gli anni '60, anni di cambiamenti, di prosperità economica un po' ovunque, ma soprattutto anni di prossime rivoluzioni, sociali ed economiche. Il matrimonio, la famiglia, la casa a cui badare avevano fatto il proprio tempo, un po' come le lunghe (e raffinate) gonne con le pieghe, da portare (rigorosamente) sopra il sottanino. In Italia, mentre tra commedie "balneari" e film comico-farseschi la Koscina, la Fabrizi e la Gray (Dorian, la "Malafemmina" di Totò) si lasciavano ammirare nelle loro lunghe e seducenti figure, e le Kessler, sbarcate a Studio Uno, mostravano senza pudore le proprie gambe in memorabili stacchetti, anche le fanciulle meno disinvolte sognavano di essere così: sensuali e se
 FERDINANDO BRUNO, IN ARTE "NANDO"   - Stava a recita' "Pio Bove"  - Pio Bove? E che è?  - Boh? Eh, sarà sempre robba de macelleria! Sentenzia così, dando un colpo di mannaia su un grosso osso bovino che sta ripulendo, il buon Nando, macellaio di professione, fratello di Amalia (Marisa Merlini) e cognato del vigile Celletti (Alberto Sordi) dopo aver saputo che quest'ultimo è stato beccato, dietro a un pagliaio, a recitare la celebre lirica del Carducci a Sylva Koscina.  Una battuta fenomenale, resa ancor più epica dalla sua espressione bonaria e genuina, marcatamente romana, come il suo accento e la sua figura protagonisti di decine e decine di pellicole. "Il vigile" di Luigi Zampa è soltanto uno dei film più celebri interpretati da Nando Bruno, uno di quei caratteristi di "razza" con alle spalle decenni di palcoscenico.  In alto, Nando Bruno con Aldo Fabrizi in "Roma città aperta" (1945) di Roberto Rossellini. In basso, con Ann
  GIAN MARIA VOLONTÉ, UNICO E MOLTEPLICE È stato  Caravaggio, Enrico Mattei, Carlo Levi, Bartolomeo Vanzetti, Aldo Moro. È stato un funzionario di PS "al di sopra di ogni sospetto" colpevole di omicidio, un operaio impegnato nella lotta al Capitalismo. È stato, agli inizi, anche uno spietato bandito del West. Eppure è stato sempre e soltanto una cosa: se stesso. Sguardo fiero e penetrante, volto scavato, Gian Maria Volonté ha sempre rivendicato il desiderio di restare fedele alla propria anima. Ciò, tuttavia, non gli ha mai impedito di essere credibile grazie alla totale immedesimazione nel ruolo. Credibile a tal punto da far assumere al personaggio di turno i suoi lineamenti. Milanese di nascita - avvenuta novant'anni fa, il 9 aprile 1933 -, torinese d'adozione, Gian Maria Volonté iniziò a calcare il palcoscenico giovanissimo, dopo un piccolo periodo trascorso in Francia per lavoro, per aiutare la famiglia in precarie condizioni economiche. L'arte della recitazio
  WILMA, SETTANT'ANNI SULLA RIVA DEL MISTERO Era bella, Wilma. Una ragazza di ventuno anni, mora, promessa sposa di un poliziotto, brava figlia di famiglia modesta, romana. Una giovane normale, senza apparenti velleità, destinata a dominare la dolorosa cronaca nazionale per giorni, settimane, anni. Il 9 aprile 1953 scomparve da casa sua, in Via Tagliamento, per essere ritrovata senza vita due giorni dopo, alla vigilia di Pasqua, da un manovale sulla spiaggia di Torvajanica, sul litorale romano. Wilma Montesi, una ragazza qualunque, ritrovata distesa a pancia sotto, semivestita, senza calze, relativo reggicalze, e scarpe, sulla riva del mare, morta per annegamento. Inizialmente, sembra un caso di banale fatalità.  Si pensa a un pediluvio finito male (secondo la testimonianza della sorella, che soffriva come lei di rossore ai piedi), a un malore che la coglie mentre è a piedi nudi nell'acqua, lasciandola affogare respirando sabbia e acqua. Poi, arriva la verità, svelata tra inchi
 LA VITA...CHE SORPRESA! Con l'età, si sa, ciò che si apprezza maggiormente è la bontà del cioccolato, più che il gusto della sorpresa. Però, sotto sotto, l'entusiasmo nello scartare l'uovo di Pasqua è sempre quello del bambino/bambina che siamo stati un tempo. Certo, questa tradizionale abitudine che piace tanto ai fanciulli (ma, in fondo, anche ai grandi) potrebbe allontanarci dal vero senso delle festività pasquali. Ma tale effetto si potrebbe ottenere soltanto su chi non riesce a cogliere il senso profondo dell'uovo di cioccolato, nascosto dietro i nastrini e la carta argentata. Le uova, infatti, hanno un significato ben preciso. Rappresentano la nascita, una vita che sboccia. La Primavera, la stagione degli amori, i pulcini che spuntano con le loro testoline pigolando allo schiudersi dell'uovo.  La Pèsach , la Pasqua ebraica - la fuga degli ebrei dall'Egitto -, o la nostra Pasqua cristiana, la resurrezione di Cristo dal Sepolcro, non sono altro se non la ra
   LA "SIGNORA" REGINA BIANCHI Nel suo sguardo limpido si sono specchiate femminilità differenti. Donne materne e amorevoli, fredde o senza scrupoli, appassionate e disilluse. Regina Bianchi aveva già nel nome un destino. Quello di dominare la scena, dove esordì bambina e dove nacque, in un camerino teatrale, figlia d'attori di una compagnia di giro.  Dalla splendida Filumena Marturano per Eduardo De Filippo, tra palcoscenico e televisione, alla madre amorevole di Nino D'Angelo e Mario Merola nei film ispirati alla "sceneggiata", Regina Bianchi ha interpretato figure femminili forti, volitive, sentimentali o spregiudicate, con una spontaneità che in poche possedevano. A dieci anni dalla sua scomparsa - avvenuta il 5 aprile 2013 - ricordare Regina Bianchi significa riscoprire un'attrice e una donna di talento, una "Signora" della scena che ha sempre rifuggito l'apparire, eppure è "apparsa" in tutta la sua sincera bravura. Per ric
 CARLO HINTERMANN: UN GRANDE ATTORE ITALIANO  Eleganza e fascino non gli mancavano di certo. Bravura, neanche a parlarne: capace di brillare anche all'angolo del palcoscenico. L'unica pecca? Avere un aspetto troppo "esotico" per sfondare davvero, soprattutto nel cinema. Era alto, biondo e aveva un volto spigoloso dalla grossa mascella squadrata, imponente come il suo fisico "vichingo". Perché Carlo Hintermann aveva lontane origini germaniche e dopotutto era nato anche a Milano, la capitale del Nord Italia, un secolo fa esatto, il 2 aprile 1923.  Ciononostante, forse proprio il suo aspetto poco " italicus " gli permise di dare gran prova di sé nel repertorio shakespeariano o in quello di Checov e dell'amato Bernard Shaw, con cui concluse la sua carriera. Carlo Hintermann, infatti, era reduce dall'ultima replica di "Pigmalione", allo stabile di Catania, il 7 gennaio 1988, quando, mentre attraversava la strada per raggiungere l'i