Passa ai contenuti principali

 CICCIO INGRASSIA, 50% DI ILLIMITATA COMICITÀ


 Ricordo benissimo quel tardo pomeriggio. Erano circa le 19, mio padre guardava il TG4 e in quel preciso istante venne dato per me un triste annuncio: Ciccio Ingrassia era morto. "Cicciuzzo", come lo chiamava la sua metà Franco Franchi, era volato via. Per me, ragazzino di undici anni, quei due "mattacchioni" - per fare il verso anche al titolo di un loro film - erano stati tra i primi a farmi capire cosa significasse ridere. 




Era il 28 aprile 2003. Ciccio Ingrassia era riuscito a resistere undici anni con la sensazione di essere monco. Nel 1992, gravemente malato, Franco Franchi lo abbandonò dopo un'esistenza vissuta in tandem per quasi quarant'anni, tra palcoscenici e set cinematografici, tra parodie nonsense e sketch televisivi, salvo un piccolo periodo vissuto separatamente, quando soprattutto Ciccio riuscì a dimostrare il suo grande talento oltre la coppia, cimentandosi come attore drammatico con registi come Vancini e Petri. E forse questo andrebbe ricordato di più, specialmente quando si pensa alla infelice critica che per anni ha vessato i due comici, colpevoli soltanto di essere naturalmente (e genialmente) ironici. Perché una cosa va detta: a vent'anni dalla sua scomparsa, Ciccio Ingrassia è ancora per tutti "Cicciuzzo", l'altra metà di Franco Franchi, detentore del 50% di una società a comicità illimitata che non può non essere ricordata per intero. Come voglio fare io, omaggiando Ingrassia e Franchi riproponendovi  l'ampio articolo dedicato al primo lo scorso ottobre, nel centenario della nascita.

L'articolo è fruibile al seguente link:

https://ilrestodelmarino.blogspot.com/2022/10/cicciuzzo-dei-due-era-artisticamente.html

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...