Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da ottobre, 2023
  TI SENTO, FEDERICO! "Non bisogna accanirsi a capire, ma cercare di sentire, con abbandono". In queste parole si cela il segreto per comprendere la sua missione cinematografica. Sentire, non capire. Lasciarsi travolgere dall'onda emotiva generata da immagini, dialoghi e scenografie. Federico Fellini non ha mai preteso di essere "compreso". Piuttosto voleva offrire "suggestioni".  La crepuscolare e malinconica abulia de "La dolce vita", le atmosfere surreali di "8 1/2", i ricordi giovanili di "Amarcord", il provincialismo de "I vitelloni", il neorealismo de "Le notti di Cabiria", la tenerezza di "Ginger e Fred", il grottesco illusionismo de "La città delle donne" non possono essere capiti fino in fondo. Ognuno avrà sempre una sua personale interpretazione, un suo giudizio di valore, di bellezza o di bruttezza. Ma ciò che accomuna tutti è la consapevolezza di assistere, davanti a quel
  "ACQUA E SAPONE": VERDONE E LA DOLCEZZA PERDUTA  Quarant'anni e non sentirli. Un piccolo capolavoro di sceneggiatura, interpretazioni, sorrisi e musiche. "Acqua e sapone" è a mio modesto parere il film migliore di Carlo Verdone. Usciva nelle sale il 27 ottobre 1983 e come i precedenti ("Un sacco bello", "Bianco, rosso e Verdone" e "Borotalco") regalava ancora una volta un autentico punto di vista sulla società del tempo. L'incontro tra Rolando (Verdone) e Sandy (Natasha Hovey) è il pretesto per raccontare un fenomeno al tempo caldo e già affrontato da inchieste giornalistiche da cui il regista prese spunto: le baby-modelle.  Rolando (Carlo Verdone) e Sandy (Natasha Hovey). Ragazzine adolescenti costrette a bruciare le tappe, ritrovandosi catapultate nel mondo dei grandi per accontentare madri frustrate e cariche di aspettative sulle proprie figlie. Sandy è una di quelle. Una graziosa ragazzina americana, dal viso ancora infant
  GIGI MAGNI, LA GRANDE STORIA SCENEGGIATA  Se ne andava dieci anni fa, Gigi Magni, a ottantacinque anni, la maggior parte dei quali trascorsi dietro la macchina da presa, a ripescare storie e personaggi della sua amata Roma - dove era nato il 21 marzo 1928. Quella "papalina" e risorgimentale che amava particolarmente, affascinante e crepuscolare, tra papi, povera gente, rivoltosi, baionette e polvere da sparo.  Quella che veniva " cojonata ", ovvero burlata, presa in giro, come cantava il Cavaradossi/Proietti in uno dei suoi film più belli, "La Tosca", dove a raccontare quelle storie dal passato c'erano anche Monica Vitti, Vittorio Gassman e Aldo Fabrizi, accompagnati dalle note di Trovajoli.  In alto, Monica Vitti e Gigi Proietti ne "La Tosca" (1973). In basso, Nino Manfredi e Camillo Milli ne "In nome del Papa Re" (1977). Allievo sceneggiatore di Age & Scarpelli, autore per Monicelli, Lattuada, Mastrocinque, Salce, Gigi Magni
 ABEBE, I "PIEDI" DEL RISCATTO Nella ex capitale dell'"Impero" fascista che aveva soggiogato il suo popolo, egli ebbe la sua redenzione. A piedi nudi sui sampietrini della Città Eterna, il suo agile ed elegante profilo scuro segnò una tappa fondamentale nella storia delle imprese umane. Abebe Bikila, ventotto anni, vinceva l'oro alle Olimpiadi di Roma, concludendo una corsa cominciata nella sua Etiopia e volta a rafforzare nel mondo la convinzione che non esistono uomini superiori e inferiori, come il colonialismo aveva fatto credere.  Esistono invece soltanto uomini, più o meno coraggiosi, più o meno audaci ma tutti in grado di rendersi protagonisti di grandi imprese: perfino a piedi nudi, correndo tra antiche rovine e palazzi storici nella vecchia Roma che, piano piano, col "boom economico", si stava ingrandendo a dismisura (e con poco criterio). Era il 10 settembre 1960 quando Abebe Bikila divenne un eroe. Un eroe che sembra invincibile, in grad
 PRATOLINI, MALINCONICHE VITE Le sue "Cronache" hanno fatto storia. Storia letteraria, grazie alla sua scorrevole e melanconica "penna", e cinematografica, grazie alle prodigiose cineprese di Zurlini e Lizzani che hanno portato sul grande schermo i suoi racconti più belli. Ma quei racconti lì, di giovani spensierati o sofferenti, di complicati rapporti fraterni (ispirati dalla prematura scomparsa di suo fratello Dario), di Resistenza e ribellione, Vasco Pratolini li ha tirati fuori dal suo quotidiano, dalla sua esistenza cominciata a Firenze centodieci anni fa, il 19 ottobre 1913, e conclusasi a Roma nel 1991.  Storie di gioie e di dolori, di speranze e di illusioni, di speranze e di paure di cui ho già ampiamente parlato due anni fa, nel trentesimo anniversario della sua scomparsa. Ve le ripropongo qui di seguito, per ricordare al meglio un grande autore e la sua malinconica esistenza declinata in molteplici vite. L'articolo è fruibile al seguente link: https:/
  L'ORO DI ROMA: I "VOLTI" DELLA VERITÀ  Quando si racconta la storia, specialmente se si tratta di pagine dolorose, si rischia spesso di cadere nella retorica oppure nella fredda cronaca. E quando questo accade al cinema, dove vicende vere o fantastiche, personaggi reali o immaginari devono coinvolgere lo spettatore, immergendolo totalmente in ciò che sta accadendo sullo schermo, la cosa è ancora più grave. Specialmente se si sta raccontando qualcosa di importante. Carlo Lizzani, regista raffinato, specialista in drammi storici, antichi e contemporanei, riesce perfettamente nell'intento di descrivere cosa accadde a Roma nell'ottobre del 1943, e precisamente il 16, quando il ghetto, "cuore" ebraico della Capitale, venne rastrellato dalle truppe del comandante Kappler. "L'oro di Roma", film del 1961, fa molto di più che narrare fatti dolorosi, conseguenze atroci di una guerra che, dopo l'8 settembre, con l'Armistizio, sembrava a tutt
  ELLE , ÉDITH « Non, rien de rien / Non, je ne regrette rien ». Non rinnegava nulla, Édith Piaf. Malinconica ed esistenziale, come la Parigi dove nacque, partorita dalla madre su un marciapiede il 19 dicembre 1915, e dove il suo talento la mise in luce come una delle voci più belle. Passionale e appassionata, amica di cantanti, attori, drammaturghi e intellettuali, madrina della Francia con " La vie en rose ", il brano che la consacrò al successo internazionale.  Dalla miseria delle origini - girovaga a seguito del padre circense - al turbinio di musica, successi, letteratura e amori, tanti amori. Da Yves Montand al giovanissimo Théo Sarapo, secondo e ultimo marito, suo sostegno durante la malattia, che se la portò via sessant'anni fa, il 10 ottobre 1963. Ma lei non rinnegava nulla. Sogni, speranze, delusioni, successi l'avevano vista sempre lottare. E nella sua musica, nelle sue melodie, Elle , Édith, continua a farlo.
 LA NAPOLI DI GIUSEPPE MAROTTA: SUGGESTIONI IMMORTALI " Napoli, io, certe pietre e certa gente: ecco quanto, forse, si troverà in questo libro ".  L'incipit della prefazione de "L'oro di Napoli", il suo primo successo letterario, la sua opera più nota, spiega a tutti, a chi l'ha letto e a chi lo farà (perché vale la pena farlo), chi fosse Giuseppe Marotta. Uno scrittore, certo, un giornalista (il "Corriere della sera", una seconda casa), uno sceneggiatore (per De Sica, Paolella, De Filippo). Ma prima di tutto un figlio devoto alla sua città madre. Da Mergellina a Posillipo, dai Quartieri al Vomero. Marotta si mise a scrivere principalmente per il piacere di raccontare.  Orfano di padre a nove anni, abbandonati gli studi per mantenere la famiglia si era impiegato alla società del gas e ne incontrava di gente. Donne e uomini, giovani e vecchi, tarchiati e smilzi. Visitava vicoli, " bassi ", appartamenti sontuosi e piazze storiche per la
  VAJONT: GLI ERRORI DEL PROGRESSO Era bella, dal punto di vista ingegneristico. Un monumento di oltre duecentosessanta metri, incastonato tra le rocce e ombreggiato dalla cima del Monte Toc. Nel 1961, anno della sua inaugurazione, la diga del Vajont, costruita nella valle omonima al confine tra Veneto e Friuli, era il segno di un Paese che - tra pubblico e privato - si rendeva protagonista di imprese titaniche che strizzavano l'occhio al futuro e al progresso. Tra i simboli di quel "Boom economico" che poteva raggiungere anche luoghi come quello: una valle alpina popolata da gente semplice che si emoziona davanti al genio dell'uomo che sfida la natura e (o almeno lo crede) vince. Ma già prima di quella tragica, paurosa e dolorosa sera di sessant'anni fa, gli abitanti del Vajont si erano accorti che qualcosa non andava.  Perché la natura è benigna sì, ma soltanto se non si osa mettersi contro di essa. Ci vollero duemila morti, paesi spazzati via come se nulla foss
 LAURA ADANI, "NOBILE" ATTRICE Non si può dire che fosse bella, eppure il suo volto affilato e deciso brillava di una luce incantevole. Elegante nei gesti e negli abiti, aristocratica nel portamento, prima di diventare nobile per vincoli coniugali Laura Adani aveva già svelato le sue regali doti artistiche.  Nata a Modena centodieci anni fa, il 7 ottobre 1913, figlia di famiglia modesta, la Adani si dimostrò precocemente interessata a quelle assi di legno che per decenni avrebbe calcato con rigore e maestria. Appena quindicenne esordì nella compagnia di Tatiana Pavlova, poi passò alla "Zabum" di Mario Mattòli e da lì in seguito, tra drammi e commedie, tra gravità e leggerezza, divise le quinte con i più grandi attori italiani, da Umberto Melnati a Vittorio De Sica, da Ernesto Calindri a Vittorio Gassman passando per Renzo Ricci, con il quale diede vita ad un lungo e proficuo sodalizio artistico.  Laura Adani in scena con Renzo Ricci in "Noi giovani" di Giu
  CARLO LIZZANI: L'UOMO, IL REGISTA E I SUOI "DRAMMI"  Si può raccontare tutto. La guerra, il malessere sociale, il terrorismo, la miseria tra sogni e speranze. Ma la depressione, specialmente la propria, quella è difficile da rivelare. Carlo Lizzani, dieci anni fa, il 5 ottobre 2013, decise di concludere la sceneggiatura della sua esistenza, gettandosi dal balcone di casa sua. Quale fosse il motivo, il perché di quel gesto nessuno può saperlo, ma che dietro ci fosse un dramma è probabile.  Ho espresso questo mio pensiero lo scorso anno, nel centenario della nascita di Lizzani, raccontandovi la sua storia tra mille "storie". Storie di vita partigiana, storie del Dopoguerra, storie di malavita e di terrorismo. Di drammi leggibili negli occhi grandi e malinconici di Anna Maria Ferrero ne "L'oro di Roma", o nel volto scavato e nello sguardo freddo di Gian Maria Volonté in "Banditi a Milano". Di seguito troverete il collegamento a quell'a
 ALBERTO TALEGALLI, PRODIGIOSO " BURINO " Umbro di Spoleto, figlio di artigiani, dal volto ingenuo e bonario, da buon provinciale, aveva una passione: raccontare. Raccontare la sua gente, un po' maldestra, credulona, genuina e " burina ", ma nel senso più dolce e sentimentale del termine. Alberto Talegalli aveva quarant'anni quando il suo nome diventò noto alle cronache cinefile, radiofoniche e televisive nei panni del "Sor Clemente", campagnolo trapiantato in città, stupendo tutti con la sua contagiosa simpatia, tra goffe avventure galanti in compagnia dell'amico zi' Ngiulino (interpretato sul grande schermo da Virgilio Riento) e discussioni con la moglie Gerza.  La sua figura corpulenta e baffuta rapì tutti con il suo umorismo, passando dai microfoni della radio ai set cinematografici, dalle assi del palcoscenico al piccolo schermo. Ma il suo sorriso si spense troppo presto, il 10 luglio 1961, quando perse la vita in un incidente stradale
 GIULIANO GEMMA, EROE IMMORTALE Bello, prestante. Un volto d'angelo e un sorriso gentile, a metà tra il bravo ragazzo e il simpatico mascalzone. Che indossasse i luridi panni di Ringo nei western di Tessari (il suo "padrino") o eleganti abiti scuri nelle moderne fiction Rai, Giuliano Gemma rimaneva sempre identico a se stesso. Un uomo affascinante, aitante, energico. Uno che aveva fatto dello sport la sua passione, seconda solo al cinema, che iniziò a frequentare giovanissimo nella sua Roma - dove nacque il 2 settembre 1938 -, presentandosi a Cinecittà come comparsa o stuntman .  Pugile dilettante, amico di Nino Benvenuti, vigile del fuoco di leva, cresciuto tra Reggio Emilia e la Capitale, Gemma ha lavorato con tutti i più grandi registi italiani: da Visconti - che gli affidò il ruolo di un garibaldino ne "Il Gattopardo" - a Zurlini, da Vancini a Squitieri, passando per il già citato Tessari che lo lanciò col personaggio di Ringo, il pistolero "Faccia d