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 L'ORO DI ROMA: I "VOLTI" DELLA VERITÀ 


Quando si racconta la storia, specialmente se si tratta di pagine dolorose, si rischia spesso di cadere nella retorica oppure nella fredda cronaca. E quando questo accade al cinema, dove vicende vere o fantastiche, personaggi reali o immaginari devono coinvolgere lo spettatore, immergendolo totalmente in ciò che sta accadendo sullo schermo, la cosa è ancora più grave. Specialmente se si sta raccontando qualcosa di importante. Carlo Lizzani, regista raffinato, specialista in drammi storici, antichi e contemporanei, riesce perfettamente nell'intento di descrivere cosa accadde a Roma nell'ottobre del 1943, e precisamente il 16, quando il ghetto, "cuore" ebraico della Capitale, venne rastrellato dalle truppe del comandante Kappler. "L'oro di Roma", film del 1961, fa molto di più che narrare fatti dolorosi, conseguenze atroci di una guerra che, dopo l'8 settembre, con l'Armistizio, sembrava a tutti conclusa. 


I volti dei tre protagonisti. Da sinistra Ludovico (Filippo Scelzo), Giulia (Anna Maria Ferrero) e Davide (Gérard Blain).


Esso ci restituisce sentimenti controversi, emozioni sincere, paure, speranze, rancori, dolori di un popolo, quello ebraico, che per l'ennesima volta, nel corso di secoli e millenni, si ritrovava sotto il giogo del Prevaricatore di turno. E lo fa con tre personaggi. Tre volti sulle cui pieghe è possibile leggere quella vicenda nella sua cruda verità: Ludovico, Giulia e Davide. Il primo è il presidente della comunità ebraica di Roma, che riceve dal comando tedesco l'ordine di consegnare cinquanta chili di oro entro quarantotto ore, con la minaccia di prendere in ostaggio duecento capifamiglia. Giulia, invece, è una giovane studentessa universitaria in medicina, ferma negli studi per colpa delle leggi razziali, figlia di un professore e innamorata di un suo collega di religione cattolica, Massimo. Davide, infine, è un giovane ciabattino con idee ben precise su come reagire. 


In alto, Giulia (Anna Maria Ferrero) e suo padre (Andrea Checchi).
In basso, Ludovico (Filippo Scelzo) e Davide (Gérard Blain).


Mentre Ludovico, il presidente, insieme a gran parte dei membri anziani della comunità, tra rabbini, madri e padri di famiglia molto religiosi, crede davvero che trovare l'oro richiesto (difficile da reperire per le magre condizioni di vita del popolo israelita) sia l'unica soluzione per salvare la vita a tutti, Davide è convinto che soltanto l'insurrezione armata possa liberarli dallo strapotere dei nazisti, che ormai ha il controllo della città dopo lo scioglimento di tutti gli organi governativi e con esercito e forze di polizia allo sbando. Giulia, invece, su consiglio del padre e spinta dall'amore di Massimo, si decide ad abbandonare il ghetto e a trasferirsi a casa del giovane, per mettersi al sicuro. 


Davide (Gérard Blain) e Giulia (Anna Maria Ferrero).

Ma come dicevo, a raccontare la storia sono gli occhi e i volti dei tre protagonisti. Il volto segnato e sofferente di Ludovico, che teme per la sua comunità, sentendo tutte quelle vite nelle sue mani e in bilico tra la forza e la mitezza della fede e la fermezza nel cercare una soluzione buona per tutti. Quello dolce e malinconico di Giulia, che per salvarsi si convince a rinnegare se stessa, battezzarsi cristianamente e sposare in Chiesa il ragazzo. E ancora quello tormentato e rabbioso di Davide, che si mette d'accordo con degli esuli partigiani per avere le armi e dar via all'insurrezione popolare insieme agli altri giovani del ghetto. Salvo, poi, alla fine, rimanere da solo, dopo che la comunità, tra sacrifici, preghiere e aiuti, riesce a procurare l'oro richiesto. Ma come Davide aveva capito, si tratta soltanto di una scusa: i tedeschi hanno preso tempo per radunare nella città le forse militari necessarie per assaltare il ghetto e ripulirlo. 


In alto, Massimo (Jean Sorel) e Giulia (Anna Maria Ferrero).
In basso, Ludovico (Filippo Scelzo) e l'orefice (Ugo D'Alessio).



Così, mentre Davide scappa con i partigiani per unirsi alla Resistenza (rimanendo traumatizzato dopo aver ucciso un soldato tedesco) e Ludovico e gli altri membri della comunità sperano di aver finalmente scampato il pericolo, è proprio Giulia, all'alba del 16 ottobre, a trovarsi davanti le camionette delle SS mentre prelevano tutti: giovani e vecchi, bambini e adulti tra cui il proprio padre. A quel punto, con gli occhi pieni di dolore e di orrore, capisce che non può fuggire e decide di andare incontro al suo destino, insieme a quel popolo a cui non ha mai smesso di sentirsi legata.

Credo che questo vecchio film di Lizzani, realizzato poco meno di vent'anni dopo quei tragici eventi, restituisca davvero psicologia e sentimenti di un popolo braccato, dal punto di vista di quella comunità israelita che più di altri ha pagato le conseguenze di una guerra assurda "firmata" dall'Italia senza il consenso degli italiani (di religione ebraica o no), abbandonati a se stessi e alla propria misera esistenza. Filippo Scelzo nei panni di Ludovico, l'attore francese Gérard Blain in quelli di Davide e Anna Maria Ferrero in quelli di Giulia restituiscono appieno i contrastanti umori, le differenti idee e le medesime speranze di quei giorni così orribili. Ma i loro volti non sono gli unici. Meritano citazione anche Ugo D'Alessio nelle vesti dell'orefice incaricato della raccolta dell'oro, Andrea Checchi nei panni del padre di Giulia, ma anche Jean Sorel, nei panni di Massimo, il fidanzato di lei. Sono questi, e molti altri, i "volti" della verità, quella più intima, quella più profonda, che Carlo Lizzani consegna in un'ora e quaranta di pellicola, ancora oggi insuperabili in quanto a fedeltà, ricercatezza e rispetto.

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