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Visualizzazione dei post da gennaio, 2023
  LOUIS DE FUNÈS, L'IMMORTALE " VISAGE " DELLA COMMEDIA BURLESCA La sua mimica era qualcosa di speciale. Il suo volto perennemente corrucciato o incollerito, con quello sguardo azzurro e accigliato, è stato per due decenni il più amato dal pubblico francese. Decisamente più basso di Fernandel ma altrettanto immenso e popolare, Louis de Funès ha rappresentato per la Francia un vero e proprio simbolo: di comicità, arguzia, intelligenza e talento, tanto. Anche se la critica, va detto, non gli tributò mai i dovuti riconoscimenti. Per il pubblico d'oltralpe è stato quello che era per noi Totò: una "maschera" geniale. E a quarant'anni dalla sua scomparsa - sopraggiunta il 27 gennaio 1983 - è ancora oggi uno degli attori francesi più celebri nel mondo.  Di nobili origini iberiche, figlio di un avvocato, Louis de Funès nacque alla periferia di Parigi il 31 luglio 1914. Dopo aver svolto diversi mestieri, iniziò a muovere i primi passi in teatro. Lì, con le sue ca
  BUON COMPLEANNO, VINCENZO! " Cuanta pasiòn en la vida, cuanta pasiòn/ Es una historia infinita, cuanta pasiòn ". Le parole di Paolo Conte, sigla di "DoReCiakGulp", la sua rubrica di spettacolo al TG1, sembrano scritte apposta per lui. Quanta passione c'è stata e c'è, nella vita di Vincenzo Mollica. Quel cognome, tenero e fragrante come la sua persona, sembrava volutamente quello di un personaggio dei fumetti, una delle sue tante "passioni".  Cinema, cartoon , musica, spettacolo, ironia, arguzia e sagacia, parole buone per tutti, Vincenzo Mollica in quarant'anni di carriera in Rai, dal 1980 al 2020, non ha mai negato a nessuno il suo sorriso e le sue parole, piene di superlativi e aggettivi gradevoli. Dal suo "balconcino", per trentanove anni, ha accolto cantanti, musicisti e presentatori al Festival di Sanremo, con garbo, gentilezza e ironia. L'ironia di chi non si è mai preso troppo sul serio, di chi è stato sempre un po',
  MARIO RIVA, L'AMICO DEL SABATO SERA  Sorriso rassicurante, voce calda e gesti familiari. Mario Riva sapeva entrare nelle case della gente. Con la simpatia del vicino di pianerottolo e la professionalità dell'uomo di spettacolo che ne aveva calcate tante di scene prima di arrivare lì, in video, davanti ai primissimi milioni di telespettatori che si divertivano a indovinare canzoni o ad ascoltare i racconti di illustri personaggi del cinema. "Il Musichiere" sembrava disegnato sulla sua immagine di distinto e bonario signore. Romano de Roma - città in cui nacque centodieci anni fa, il 26 gennaio 1913 -, Mariuccio Bonavolontà, per l'anagrafe, si divertiva a raccontare la "Città Eterna" degli anni '50. Quella genuina e popolare, quella in preda a fame ed "impicci" per sbarcare il lunario, tra ironia e battute sagaci. Tra il " Din don " del Gianicolo e il " Din Don Dan " di risposta di Sant'Angelo, come cantava nella mem
 SIGNORE E SIGNORI...DON LURIO!  È difficile accettare che ad andar via sia chi ci ha tenuto compagnia per anni, con la sua professionalità e la sua simpatia. Perché Don Lurio era ben più di un coreografo e di un ballerino. Era un vero personaggio: uno che, più che ideare coreografie, le rappresentava, in volto e gambe. Benché a suscitare l'attenzione del pubblico (quello maschile, perlomeno) fossero soprattutto le gambe di Alice ed Ellen Kessler, portate da lui in Italia alla fine degli anni '50, facendone nascere il mito in "Studio Uno" '61, regia di Antonello Falqui. Don Lurio era già da qualche anno nel nostro Paese. Dopo gli esordi a Broadway, nella sua New York - dove nacque il 15 novembre 1929 -, e una carriera di pieno respiro a Parigi, quel piccoletto dal sorriso largo e le orecchie grandi venne notato da alcuni dirigenti Rai e tanto bastò. Donald Benjamin Lurio divenne per tutti Don Lurio, un concentrato di talento, grazia e simpatia in appena un metro e
 LEOPOLDO TRIESTE: ESTRO, INTELLIGENZA E IRONIA DEL CINEMA ITALIANO Dimenticare è un'ingiustizia. Specialmente se a essere dimenticato è chi ha fatto tanto per il nostro cinema. Leopoldo Trieste se ne andava vent'anni fa, il 25 gennaio 2003, per un infarto. Solo un anno prima, aveva partecipato al suo ultimo film, "Il consiglio d'Egitto" di Emidio Greco. L'ultimo di una schiera di ruoli, piccoli e grandi, osannati e dimenticati, che ne ha fatto uno dei più grandi interpreti nazionali. Ma Leopoldo Trieste non è stato soltanto questo.  Egli era innanzitutto un uomo curioso, un fine intellettuale, laureato in filologia all'Università di Roma - città in cui giunse da Reggio Calabria, dove nacque il 3 maggio 1917. Appassionato di teatro, scrisse decine di commedie subito dopo il diploma in regia al Centro sperimentale. Poi l'approdo al cinema, come sceneggiatore, scrivendo opere come "Gioventù perduta" per Pietro Germi e  "Il cielo è rosso&qu
 NICO FIDENCO: UN "RAGAZZO" DI QUELL'ITALIA LÌ Con "Legata a un granello di sabbia" inventò il tormentone estivo. Era il 1961 e Nico Fidenco non immaginava neanche, probabilmente, di passare alla storia per quel brano semplice, dolce e suggestivo. Fidenco aveva già iniziato una brillante carriera come autore di colonne sonore, con "I delfini" di Francesco Maselli e "La ragazza con la valigia" di Zurlini, e a questo si dedicherà per tutta la sua vita. Ma quelli erano anni speciali. Era l'Italia degli anni '60, quella del "Boom", delle lavatrici e dei mangiadischi a 45 giri, delle madri coi capelli cotonati e delle figlie dai caschetti scompigliati, che di lì a poco avrebbero preferito vertiginose minigonne alle lunghe gonne a pieghe.  Era l'Italia di Gianni Meccia, di Sergio Endrigo, di Jimmy Fontana e di lui,  di Nico Fidenco. Cantanti, cantautori e musicisti dalle "corde" morbide e ammalianti, in grado di far
 GIANNI AGNELLI, UN UOMO E LA SUA ERA Vent'anni. Vent'anni senza la sua eleganza, la sua ironia, la sua fermezza. Gianni Agnelli non è stato semplicemente un "delfino", l'erede dell'impero automobilistico fondato nella città sabauda nel 1899 dal nonno, il Senatore Giovanni. È stato un uomo concreto, consapevole delle responsabilità che gravavano sulle sue spalle, nonostante fosse stato un giovane scapestrato e dongiovanni, tra bagordi e flirt in Costa Azzurra, a bordo di yacht pieni di fascino e di belle donne, prima che capitolasse ai piedi della sua Marella, fidata compagna di una vita e madre dei suoi figli.  L'orologio sul polsino della camicia - uno dei vezzi che lo resero famoso - segnò il tempo delle sue giornate intense, dei suoi viaggi nel mondo, dei suoi impegni professionali dal 1966, anno in cui la FIAT giunse nelle sue mani dopo l'addio di Vittorio Valletta (braccio destro del Senatore e presidente dell'azienda dopo la sua scomparsa),
  AUDREY HEPBURN: LA BELLEZZA DELLA SEMPLICITÀ Candore e umiltà. Due aggettivi che per lei sembravano scontati, ma non era affatto così. Audrey Hepburn era una perla rara anche in una realtà ancora perbene e raffinata. Un sorriso disarmante, un portamento e un fisico da mannequin , quella timidezza che quasi stonava col clamore e l'apparire hollywoodiano. Anche i suoi personaggi, tra ingenuità e leggerezza, sembravano usciti da un mondo incantato. Dalla principessa Ania, che corre all'impazzata per le vie di Roma a bordo di una Vespa, alla svampita Holly che fa colazione con un croissant davanti alla vetrina di Tiffany & Co., sulla Fifth Avenue , a New York.  Per non parlare della sognatrice Sabrina, o della affascinante "Reggie" in "Sciarada". Ruoli diversi, caratteri diversi ma la medesima dolcezza. Quella di una perfetta antieroina, di una donna pudica e insicura e bisognosa d'amore. Dopo due matrimoni e due figli, solo con l'attore Robert Wo
 DALIDA: LA VOCE CHE NON  È MAI ANDATA VIA "E un bel giorno dire basta e andare via". Parole profetiche per chi fosse intenzionato a mollare tutto. Lo furono per Luigi Tenco, che quella canzone - "Ciao amore, ciao" - l'aveva scritta e forse anche per lei, innamoratasi di quel brano come del suo autore. Perché tra Dalida e Luigi Tenco, il tenebroso cantautore suicidatosi in una camera d'albergo nel gennaio '67 durante il Festival di Sanremo, c'era qualcosa. Che fosse amicizia, che fosse amore o più semplicemente affinità d'anime e d'intenti non si è mai saputo. Fatto sta che Dalida condivise la sua stessa scelta: farla finita, mettere un punto alla sua vita ingerendo un quantitativo eccessivo di barbiturici. Se le cose fossero andate diversamente, oggi Iolanda Cristina Gigliotti - nata a Il Cairo, il 17 gennaio 1933, da genitori italiani di origini calabresi - avrebbe compiuto novant'anni.  Invece no. C'è rimasta soltanto la sua voce,
  SALUTAMM', BERSAGLIE' ! Meglio la "Lollo" o  la Loren? Un interrogativo che ha fatto il suo tempo. Come quell'Italia di provincia, sognatrice ed ingenua, campanilista e faziosa ma sempre unita in spirito e amore. Soprattutto amore, come quello che Gina Lollobrigida ha dato e ricevuto. Pane, amore, fantasia e successo, parafrasando uno dei suoi titoli più belli. Ma non è stata soltanto la ruspante "Bersagliera", bella e sfortunata, povera ma fiera. I suoi occhioni, grandi e scuri, hanno dominato decine di pellicole, passando dalla commedia al dramma, da Cinecittà a Hollywood. Una carriera lunga, luminosa, tra "bianco e nero" e colore, tra serio e faceto, tra pianti e risate, da "maggiorata" fisica ad attrice di talento.  Fotogrammi di un cinema lontano nel tempo ma non nella memoria. Basta una piccola magia, come quella della sua Fatina nel Pinocchio televisivo di Comencini, accanto a Manfredi Geppetto, per ridestare ricordi perduti
  CESARE FANTONI, FIGURA E RISERBO Si può. Si può lasciare il segno senza dare sgomitate, senza essere sempre al centro dell'attenzione ma semplicemente facendo del proprio meglio. Cesare Fantoni è stato uno di questi. Non ha mai brillato per protagonismo, eppure le sue interpretazioni seppero garantirgli quella visibilità che, purtroppo, solo il tempo e la poca memoria hanno offuscato. Bolognese - nacque nella "città delle due Torri" il 1° gennaio 1905 -, affascinante, dallo sguardo serio e dal portamento elegante, Cesare Fantoni iniziò a calcare il palcoscenico da giovanissimo, appena diplomato ragioniere, cimentandosi col teatro di prosa. Già negli anni '30 divenne uno dei più apprezzati attori nella Compagnia del Teatro Eliseo, a Roma, ma fu nel Dopoguerra che Fantoni riuscì a dar gran prova di sé sotto la direzione di Luchino Visconti, cimentandosi con pièce di Anouilh, Shakespeare e Williams (la prima edizione italiana de "Un tram che si chiama desiderio&qu
 MARIANGELA MELATO, TRAVOLTA DA UN INSOLITO DESTINO Non fu benigno con lei, il destino. Sono trascorsi dieci anni da quell'11 gennaio 2013 quando tutti, increduli, apprendemmo della sua scomparsa. Quello sguardo intenso, malinconico, appassionato, quello con cui Mariangela Melato poteva essere identificata senza ombra di dubbio si spense definitivamente, dopo che la sua luce si affievolì a poco a poco a causa di un tumore. Milanese doc, classe 1941, la Melato aveva conservato la grinta e il fascino della fiera indomita e della primadonna di scena.  Dagli esordi teatrali con Fo e Visconti alla consacrazione sul grande schermo grazie a "Mamma Lina" (Wertmüller) che la tenne a battesimo con Giancarlo Giannini in quei film dai titoli lunghi tanto quanto il successo che li accompagnò. Ma fu quello sguardo, unico, particolare, pieno di vita e di amore a renderla ciò che è stata: un'attrice superba e una grande donna. Dalla commedia al dramma, dal teatro al cinema passando p
 BEPPE ALFANO: "ESSERE" GIORNALISTA C'è differenza tra "fare" il giornalista ed "essere" un giornalista? Direi di sì. Chi fa il giornalista è uno che possiede un tesserino e scrive, riportando fatti, raccontando eventi, più o meno bene, con o senza passione. Essere giornalista, invece, significa scrivere con passione, prima di tutto per se stessi, poi per gli altri. Magari senza neanche ottenere un riconoscimento legale per quel che si scrive, eppure lavorando per la ricerca della verità e per amore del proprio mestiere. Ecco, Beppe Alfano "era" un giornalista. Lo era perché lo faceva esclusivamente per passione. Militante nell'MSI, insegnante di educazione tecnica, aveva anche lavorato al Nord, prima di rientrare nella sua Sicilia, a Barcellona Pozzo di Gotto - dove nacque il 4 novembre 1945 -, nel messinese, per insegnare in una scuola media della stessa provincia. Beppe Alfano, però, amava il giornalismo, e incominciò a farlo nelle rad
 L'AMORE IMMAGINATO: PIACEVOLI ILLUSIONI È forse uno dei singoli più amati, più conosciuti e più ascoltati dei primi del nuovo millennio. Ha appena compiuto vent'anni - venne pubblicato il 7 gennaio 2003 - ma, a ogni ascolto, dai vecchi cd alle moderne piattaforme digitali, appare fresco, moderno, autentico. La voce graffiante di Piero Pelù e quella calda e seducente di Anggun hanno fatto di "Amore immaginato" un brano immortale, pieno di tutto e di nulla. Emozioni, sensazioni, dubbi, sofferenze, dolori, paure per un qualcosa che non si osa vivere pur volendo, per qualcosa che potrebbe essere ma non è.  Piero Pelù e Anggun nel videoclip ufficiale di "Amore immaginato". Il brano - uno dei primi successi di Pelù da solista, fuori dai Litfiba - racconta i pensieri e i turbamenti di un uomo innamorato che non osa dichiarare i suoi sentimenti, per paura di vedere svanito il suo sogno. E allora immagina di dialogare con lei, di raccontarle i suoi dubbi, di cantare
  MASSIMO GIROTTI: LA COSCIENZA DI UN MESTIERE Non ne avrebbe avuto bisogno. Aveva già fatto tanto per dimostrare la sua grandezza d'artista e di uomo, anche se dalle sue ultime grandi interpretazioni erano passati tanti anni. Massimo Girotti non doveva, dunque, dimostrare più nulla a nessuno, eppure volle farlo. Volle lasciarci la sua prova definitiva d'attore poco prima di andarsene, all'improvviso, vent'anni fa, il 5 gennaio 2003, per una crisi cardiaca.  Appena un mese dopo, il suo Davide, anziano ebreo omosessuale ferito nel corpo e nell'animo dalle leggi razziali e dalla perdita del suo compagno nella Roma occupata dai nazisti, sarebbe apparso sullo schermo in quella pellicola che avrebbe ricordato a tutti, semmai qualcuno lo avesse dimenticato, chi era Massimo Girotti. L'eroe dei film di Alessandro Blasetti, come "La corona di ferro", il magistrato che lotta da solo contro la mafia e l'omertà ne "In nome della legge" di Germi, o l&
 VALERIO NEGRINI: "L'ANIMA" DEI POOH Roby, Dodi, Red e Stefano. Potremmo aggiungere anche Riccardo Fogli, ma sono questi quattro "ragazzi" ad aver allietato generazioni di giovani e meno giovani con la loro musica. Gli unici ad esserci stati dall'inizio alla fine. O meglio, quelli che hanno fatto dei "Pooh" ciò che sono stati: una band straordinaria, in grado di mettere in musica sentimenti, poesie, emozioni. Ma quelle emozioni, quei pensieri, più o meno malinconici, più o meno allegri, devono tutto a una persona che per anni ha vissuto nell'ombra rendendo possibile una storia che per cinquant'anni, dal 1966 al 2016, ha fatto di quel gruppo il più longevo e amato della musica italiana.  Sto parlando di Valerio Negrini, batterista, paroliere e fondatore dei "Pooh". In principio erano i " Jaguars ", complesso fondato da Negrini e dal chitarrista Mauro Bertoli nel 1962 a Bologna - città in cui egli nacque il 4 maggio 1946.
 MARISA MARESCA, UNA "STELLA" MODERNA  Trasgressiva, anticonformista, o più semplicemente audace, come si soleva dire ai suoi tempi. Marisa Maresca non aveva veli, nel senso più pratico del termine. Si lasciava ammirare, in tutta la sua bellezza: dalle lunghe gambe agli occhi seducenti, dai capelli al seno. Ma era anche brava: sapeva cantare, ballare, recitare. Era una soubrette , una delle tante degli anni '40, ma anche una delle più talentuose. Nata un secolo fa - il 3 gennaio 1923 - a San Giovanni Rotondo, nel foggiano, Marisa Maresca proveniva da una famiglia di artisti del varietà. Come la sorella maggiore - Lidia Maresca, in arte Lidia Martora, attrice caratterista e seconda moglie di Peppino De Filippo - cominciò ad esibirsi fin da giovanissima, entrando a soli quindici anni nella celebre compagnia di Macario. Lavorò poi con Carlo Dapporto, con i fratelli De Rege, anche con Walter Chiari - col quale ebbe una storia -, che debuttò nel 1946 proprio nella compagnia ch
 VALENTINA, LA DIVINA  È passato un secolo dalla sua nascita, eppure, per molti, rimane l'attrice del "secolo". Valentina Cortese veniva alla luce il 1° gennaio 1923 a Milano, città a cui legò gran parte della sua vita. La sua famiglia era però originaria di Stresa, nel novarese, e proprio lì, da ragazzina, trascorreva gran parte del suo tempo, assieme alla nonna. In quei luoghi, per Valentina Cortese iniziò la corsa verso il successo.  Si innamorò di un famoso direttore d'orchestra, molto più grande di lei (il maestro Victor de Sabata), con cui fuggì a Roma, e qui si iscrisse all'Accademia d'arte drammatica per seguire la sua passione.  Valentina Cortese con Andrea Checchi in "Un americano in vacanza" (1947) di Luigi Zampa. Da allora amore e recitazione guidarono la sua esistenza, trascorsa tra palcoscenici e set cinematografici, tra fiori e applausi, tra passioni (due matrimoni, un figlio e una lunga relazione con Giorgio Strehler) e successi.  Val