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Visualizzazione dei post da novembre, 2021
AUGURONI, RED!  Se il rosso è il colore della passione, in lui la troviamo perfino nel nome. Anche se per Bruno Canzian, in arte Red, in fondo, quel nome fu quasi un'imposizione del suo primo discografico, quando suonava con i "Capsicum Red", e fingeva di essere figlio di madre inglese, perché faceva molto " beat ". Erano gli anni '60, quando cominciò a muovere i primi passi nel mondo della musica.  Nella sua Treviso, esattamente Quinto di Treviso, dove è nato il 30 novembre di settant'anni fa,  iniziò a strimpellare da solo con la prima chitarra acustica regalatagli dal papà Giovanni, poi con alcuni amici, fondando "I Prototipi" poi divenuti "Capsicum Red", con cui pubblicò i primi dischi arrivando perfino al Festivalbar. L'anno della svolta fu il 1973, quando il suo destino si incrociò con quello dei Pooh. Riccardo Fogli stava per andar via, e serviva un nuovo bassista.  I Pooh. Da sinistra, Stefano D'Orazio, Roby Facchinett
 SEMPLICEMENTE, FREDDIE! "Si può essere tutto ciò che si vuole, basta trasformarsi in tutto ciò che si pensa di poter essere". E lui è stato sempre ciò che ha voluto. Geniale, energico, irriverente, sfacciato. Negli anni '70, lui, Freddie, l'essenza dei Queen - perché i Queen erano lui -, ha fatto la sua piccola rivoluzione, a metà strada tra il rock duro e la lirica, tra assoli di chitarra e melodiosi acuti. La sua voce, quella era sempre la stessa. Quella di un ragazzo nato a Zanzibar nel '46, ai tempi del colonialismo, ma cresciuto prima a Bombay, in India - paese d'origine dei genitori - e infine a Londra, città in cui iniziò a fare musica. Prima da solo, poi con i suoi amici, fondando i Queen nel 1971 e raggiungendo il primo successo con "Bohemian Rhapsody" . Poi vennero "We Are the Champions" , "We Will Rock You" e "Living on My Own" . Passò dai capelli lunghi ai baffoni, dal rock duro dei settanta all'"a
 PINO DONAGGIO, OTTANT'ANNI  "COME SINFONIA"  "Io vorrei, io vorrei, che questo sogno fosse realtà". Cantava così, "dolcemente", Pino Donaggio al Festival di Sanremo 1961 - di cui fu vincitore - e di sogni, nella vita, ne ha realizzati molti. Veneziano, figlio di musicista, Donaggio raggiunse i primi successi negli anni '60. Dopo un diploma in violino al Conservatorio, iniziò a comporre musica e a cantare. Il Festival di Sanremo lo vide esordire vincitore nel 1961 con "Come sinfonia", ma solo quattro anni dopo arrivò un brano che lo ha reso celebre in tutto il mondo: "Io che non vivo (senza te)", inciso persino da Elvis Presley. Negli anni '70, poi, la nuova svolta come autore di musica per il cinema. Ha composto colonne sonore per Brian De Palma, Dario Argento, Giuseppe Ferrara, oltre a musicare decine di fiction per la Rai, tra cui "Don Matteo". Ed è proprio il protagonista di quest'ultima, Terence Hill, ad a
 FRANCO NERO: 80 ANNI DI SUCCESSI    Sguardo glaciale, spalle larghe e aria tormentata. Fa strano pensare che Franco Nero compia ottant'anni, visto che, a guardarlo, sembra appena uscito da uno di quei fotogrammi che lo hanno consacrato per sempre alla fama del cinema italiano, e non solo. Perché dalla periferia di Parma - dove nacque il 23 novembre 1941 -, Franco Sparanero (il taglio del cognome sembra quasi un presagio delle molte cartucce sparate) raggiunse la celebrità mondiale. Molti i registi stranieri folgorati dalla sua recitazione: da John Huston - che lo fece esordire come Abele nel colossal "La bibbia", nel 1965 - a Terence Young, passando per Joshua Logan, col quale si guadagnò una candidatura ai Golden Globe per "Camelot", dove conobbe la moglie Vanessa Redgrave - sposata nel 2006 dopo un legame che, tra varie parentesi sentimentali, è durato oltre quarant'anni. Franco Nero in "Django" (1966) di Sergio Corbucci. Ma in Italia, ha lavor
FRED BUSCAGLIONE: PER SEMPRE "DRITTO", PER SEMPRE VIVO  Il sorriso beffardo, brillante sotto la falda del cappello leggermente calato sul suo sguardo malandrino. La mano sinistra nella tasca della giacca e la destra levata in aria a reggere una sigaretta perennemente accesa. L'immagine di Fred Buscaglione è rimasta per sempre questa. Da quando quel 3 febbraio 1960 la sua auto andò a schiantarsi contro un camion nel quartiere Parioli, a Roma, il suo volto dal ghigno provocatorio e sensuale, la sua voce piena di ironia e swing , sono stati immortalati in una istantanea che ha superato decenni, generazioni, tendenze e stili musicali. E pensare che "Il dritto di Chicago", il finto bullo che faceva il verso ai gangster d'oltreoceano, voleva ritirarsi per evitare di essere dimenticato. Dopo un decennio di successi, da "Che bambola!" a "Whisky facile", condivisi con Leo Chiosso, suo compagno d'avventure, conosciuto nelle sue primissime esibi
 ANDREINA PAGNANI, L'ESPRESSIONE DELL'ARTE  Affascinante e sofisticata, elegante, appassionata, ironica. Ancora oggi Andreina Pagnani è l'effige di quell'Arte che ha fatto la storia del palcoscenico. Emozionante, intensa, ma sempre misurata e raffinata, come la sua casa di Via Margutta, nel cuore di Roma, dove se ne andò quarant'anni fa esatti, il 22 novembre 1981, a causa di un male incurabile. Era ormai da tempo lontana dalle scene che l'avevano vista protagonista per mezzo secolo.  La sua carriera iniziò nel 1928, quando dopo aver frequentato diverse filodrammatiche della Capitale - dove nacque il 24 novembre 1906 -, vinse un concorso per filodrammatici a Bologna nelle vesti della Mirandolina di Goldoni, guadagnandosi subito un posto nella Compagnia del teatro d'arte di Milano. Andreina Pagnani ne "I parenti terribili" di Cocteau al Teatro della Pergola di Firenze (1946). Da lì, Andreina Gentili, in arte Pagnani (cognome preso da suo marito, il
  VALERIA MORICONI, FIERA " FERA " Sguardo penetrante, dolce e languido. Lineamenti sottili, quasi discordanti con un temperamento forte, da guerriera. Valeria Moriconi è stata molto più di una grande attrice. È stata un vero "animale" del palcoscenico, in grado di passare con disinvoltura dal brio della commedia alla profondità del dramma. Una passionalità esageratamente vera, che nel giro di poco tempo la condusse verso il successo, e non solo in teatro. Sebbene fu quello il luogo in cui consacrò se stessa all'arte, nella sua Jesi, nelle Marche, dove nacque il 15 novembre 1931. Cominciò a muovere i primi passi nella filodrammatica della sua città. Non era ancora maggiorenne Valeria Abbruzzetti - questo il suo vero nome -, quando lasciò il paese natio per Roma, inseguendo la sua passione. Con lei il pittore Aldo Moriconi, che fu per dodici anni suo marito, e che le diede quel cognome che per decenni apparve in cartellone davanti ai più prestigiosi teatri nazion
  ARRIVEDERCI, GIAMPIERO!  La sua immagine mi ricorda pomeriggi domenicali d'infanzia. Quei pomeriggi passati in famiglia, a guardare "Domenica In", con lui e Mara Venier, tra battute e risate. La "zia" nazionale e "Bisteccone", come tutti abbiamo sempre chiamato Giampiero Galeazzi. Senza che lui se la prendesse mai, grazie a quell'autoironia che gli consentiva di scherzare sulla sua stessa mole. Grande come la sua voce: per sempre consegnata alla storia del giornalismo televisivo, da radiocronista e poi telecronista,    passando dalla "Domenica sportiva" a "90° minuto" e commentando le più grandi imprese agonistiche: dal tennis con Panatta al calcio con Maradona, passando per le Olimpiadi e il canottaggio (sport di cui fu campione nazionale), raccontando la memorabile impresa dei fratelli Abbagnale. Divertimento, ma anche eleganza, che ha mantenuto fino alla fine, nonostante la sofferenza e la malattia che oggi ce lo ha portato
  BUON COMPLEANNO, PAOLO! La premiata ditta Taviani - premiata nel vero senso della parola, tra David di Donatello, Palme d'oro e Nastri d'Argento - festeggia oggi per metà. In effetti, sembra strano immaginarsi Paolo senza Vittorio Taviani ma purtroppo, mentre il primo raggiunge oggi il glorioso traguardo dei novant'anni, l'altro lo guarda da qualche parte Lassù, con la certezza che il sangue fraterno, la stima, il genio che li contraddistingueva continuano a tenerli uniti. Quando Paolo nasceva a San Miniato, l'8 novembre 1931, Vittorio era già da due su questa terra. Probabilmente lo aspettava, per intraprendere insieme quel meraviglioso viaggio cominciato a Roma, alla fine degli anni '50, dove arrivarono dall'amata toscana con un solo obiettivo: fare cinema. Paolo (a destra) e Vittorio Taviani. Erano rimasti stregati da Rossellini, e quella verità, quel realismo spesso cupo del cinema neorealista li aveva rapiti. E infatti, i primissimi film della coppia
  GASTONE RENZELLI: UN RAGAZZO DEL POPOLO PRESTATO AL CINEMA  La sua presenza sul grande schermo fu breve, ma intensa. Non fece in tempo neanche ad abituarsi alla popolarità che Gastone Renzelli, operaio al Mattatoio di Testaccio, a Roma, tornò al suo lavoro di tutti i giorni, in quella vita "mortale" che per qualche anno aveva strappato alla fatica i suoi possenti bicipiti, per qualche istante di gloria e un po' di soldi in più. Esordì sul grande schermo nel 1951 in "Bellissima" di Luchino Visconti, accanto alla Magnani, ma lavorò con registi del calibro di De Sica e Comencini, sempre vestendo i panni di aitante e rude ragazzo del popolo. Perché questo era: un umile ragazzo del popolo prestato al cinema e, nel suo piccolo, consegnato alla storia. Ebbene, a cento anni esatti dalla sua nascita, volevo ricordare Gastone Renzelli riproponendovi l'articolo da me redatto lo scorso anno, nell'anniversario della sua scomparsa. L'articolo è fruibile al segue
 MONICA VITTI, NOVANT'ANNI DA GUERRIERA    "Il segreto della mia comicità? La ribellione difronte all'angoscia, alla tristezza, alla malinconia della vita". Non stupisce che sia stata lei a dirlo. Perché Monica Vitti, ribelle, lo è fin dall'infanzia, quando si appassionò al teatro e capì che soltanto rifugiandosi nell'arte, la vita poteva assumere un sapore diverso. Come quando metteva su uno spettacolo di burattini con i fratelli, per far loro dimenticare l'orrore della guerra fuori dall'uscio di casa. Allora era ancora Maria Luisa Ceciarelli, nata a Roma novant'anni fa esatti, cresciuta per qualche tempo in Sicilia ma profondamente capitolina in corpo, anima e talento, come dimostrato dalla sua verve e dalla sua inconfondibile voce. Roca ma sensuale. Appassionata e popolare, come quei personaggi che si ritrovò a doppiare al cinema, dove esordì negli ani '50, dopo il diploma all'Accademia d'arte drammatica. Prima però, ci fu il teatro
 CI MANCHI, GIGI!  " Nun je dà retta Roma, che t'hanno cojonato ". Sarebbe bello crederci. Sarebbe bello pensare che sia stata tutta una " cojonata ", come cantava nei panni di Cavaradossi, e che lui sia ancora qui tra noi. Invece non è così. È passato un anno da quando Gigi Proietti è andato via, e per quanto sia difficile crederlo non possiamo fare altro che prenderne atto. Ci manca la sua ironia, il suo sorriso, magico come quello di Mandrake.  Ci mancano le sue barzellette, i suoi aneddoti su Roma e i romani. Racconti di un passato che in lui era rimasto vivo e vitale. Ma è vivo anche il suo ricordo, se stiamo qui a parlarne. E, forse, se questo è vero (come è vero), allora possiamo credere davvero che Gigi ci abbia solo " cojonato " e che in realtà sia nascosto da qualche parte: a divertirsi, sorseggiando un "whisky maschio senza raschio", compiacendosi di tanto affetto. Ebbene, non ci resta che fare l'unica cosa giusta nel giorno de