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Visualizzazione dei post da ottobre, 2021
 FRANCO INTERLENGHI, GLI OCCHI DELLA SPERANZA   Chiari e limpidi, come la speranza del Dopoguerra. Quella di un popolo che voleva lasciarsi alle spalle un'epoca buia alla luce di un presente pieno di ottimismo.  Gli occhi di Franco Interlenghi erano lo specchio di quell'Italia lì. La stessa che vedeva il piccolo Pasquale, il giovane "sciuscià" nei cui panni ad appena quindici anni, entrò di diritto nella storia del cinema. Giocava per le vie della sua Roma - dove nacque il 29 ottobre 1931-, quando seppe che a Cinecittà Vittorio De Sica stava cercando bambini per quel piccolo capolavoro che gli sarebbe valso un Oscar. Franco Interlenghi decise di tentare, e la fortuna lo assistette. Ma quello sguardo così intenso, sono certo, ebbe il suo merito. Era il 1946. Soltanto pochi anni dopo, la sua immagine di bravo ragazzo, magrissimo, bellissimo, scavezzacollo o ingenuo, rubacuori o tenero, ne fece uno dei più bravi attori del nostro cinema. Passò dal neorealismo alla commed
 CARLO TARANTO: CON NINO, FINO ALL'ULTIMA REPLICA Per anni visse all'ombra del fratello, ma in quella simbiosi perfetta, fatta di battibecchi e scaramucce (in scena, si intende), sul palcoscenico, in televisione e al cinema, Carlo Taranto riuscì a conquistare la sua fetta di pubblico. È trascorso un secolo esatto dalla sua nascita - avvenuta a Napoli il 28 ottobre 1921 - e la sua figura rischia di cadere nell'oblio. Per il grande Nino Taranto, la famosa "paglietta", l'indimenticato Ciccio Formaggio, la storia è un po' diversa, benché quel tipo di spettacolo lì, fatto di scenette divertenti, risate e doppi sensi (velatissimi), appartiene ormai ad un passato lontano. Quel passato in cui Carlo Taranto, ancora " scugnizzo ", cominciò a muovere i primi passi sul palcoscenico. Suo fratello, di quattordici anni più grande contribuì senz'altro ad inserirlo nel circuito grosso. Iniziò con i teatrini di varietà, poi passò a quelli di prosa e divenne un
 GIUSEPPE ANATRELLI, RAFFINATA PRESENZA  Un attore di razza, un grande interprete del palcoscenico, seppur in ruoli secondari. Le scene della sua Napoli lo videro passare con disinvoltura dal comico al drammatico, oltre che "allievo" della scuola eduardiana. Ma Giuseppe Anatrelli raggiunse la popolarità nazionale grazie al cinema e ad un personaggio rimastogli cucito addosso: il geometra Calboni, l'affascinante lazzarone amico/nemico del ragionier Fantozzi/Villaggio, che divenne in tutto e per tutto il suo alter ego , tanto è vero che dopo la sua improvvisa scomparsa - avvenuta esattamente quarant'anni fa, il 25 ottobre 1981 - quel personaggio venne eliminato dalla saga dopo un poco riuscito tentativo di sostituzione (col seppur valido Riccardo Garrone). La carriera di Anatrelli, però, ha radici lontane. Iniziò a muovere i primi passi nelle filodrammatiche e nei teatrini di varietà di Napoli - dove nacque il 3 gennaio 1925 -, fino a quando nel Dopoguerra entrò nella c
 DIMENTICATA ANNIE  Malinconica, intensa, passionale. Un perfetto mix tra esistenzialismo francese ed esuberanza italiana. Non a caso, Annie Girardot ottenne il massimo del successo grazie al cinema italiano, dove esordì nel 1960 nel capolavoro di Visconti "Rocco e i suoi fratelli". Su quel set, conobbe Renato Salvatori che diventerà suo marito, e recitò affianco al bel tenebroso Alain Delon, futura stella del cinema d'oltralpe.  Lei, invece, nonostante diverse opportunità (lavorò con registi come Lelouch e Carné), visse il suo massimo splendore proprio nel nostro Paese, lavorando con registi come Monicelli, Ferreri (una memorabile "donna scimmia" con Tognazzi), Patroni Griffi. Un successo che non riuscì a ripetere nell'ultima parte della sua carriera, pur continuando a lavorare mentre l'Alzheimer cominciava a spegnerla lentamente. Ebbene, prima che a spegnersi sia anche la memoria di lei, a novant'anni esatti dalla sua nascita, volevo omaggiare Anni
 BRUNO CORBUCCI: IRONIA "DA MAESTRO"   Battute esilaranti, spesso sagaci, pronunciate da volti che hanno fatto la storia del cinema di genere: dal comico al western all'italiana. Bruno Corbucci ha inondato di inchiostro pagine memorabili della comicità nazionale. Sue le sceneggiature di film epici, scritti in coppia con altre "penne" prodigiose come Gianni Grimaldi e Mario Amendola. Con quest'ultimo, infatti, diede vita ad un personaggio a cui diede anima Tomas Milian nei panni del "trucido" maresciallo Giraldi. Ma la sua carriera fu ben più ampia. Come il fratello maggiore Sergio, Bruno Corbucci nacque a Roma - il 23 ottobre 1931 - e proprio lì ebbe inizio la sua carriera come autore.  Cominciò negli anni '40 come autore per la rivista, scrivendo copioni per artisti del calibro di Erminio Macario e Carlo Dapporto. Spettacoli brillanti, fatti di ironia e nonsense, velati doppi sensi e una comicità che ben presto approdò sul grande schermo. Brun
 GRAZIE, ELIO!   Simpatico, raffinato, elegante, dolce. Come la sua voce, ciò che di lui si ricorda molto di più di quel volto paffuto e intelligente. Elio Pandolfi se ne andato così, quasi in silenzio. Come era passata la sua carriera, soprattutto negli ultimi decenni. Ma non si può dimenticare chi ha contribuito al prestigio dello spettacolo nazionale. E forse è anche ingiusto ricordarsene soltanto adesso, dopo averne appreso la scomparsa. Altrettando ingiusto però sarebbe non dedicargli spazio e salutarlo degnamente. La sua energia, la sua comicità, le sue pregevoli corde hanno lasciato un segno ovunque.  In primis alla radio, dove cominciò negli anni '40, con la Compagnia del Teatro Comico Musicale, dopo un diploma all'Accademia nazionale d'arte drammatica di Roma - città in cui nacque il 17 giugno 1926. Poi in teatro, dove passò con disinvoltura dalla rivista di Garinei & Giovannini all'operetta con Wanda Osiris. E poi la televisione, tanta, spesso in coppia c
 NATALIA GINZBURG: PAROLE E MEMORIE   "Ma non si amano soltanto le memorie felici. A un certo punto della vita, ci si accorge che si amano le memorie". Ce lo ha dimostrato, in parole e sentimenti, racconti e romanzi, come "Caro Michele", da cui è tratta questa frase. Natalia Ginzburg ha fatto della memoria il suo tesoro più prezioso. Da custodire nel tempo, con rigore, serietà, ma anche umorismo. Come quello che pervade "Lessico famigliare" - il romanzo con cui vinse il Premio Strega nel 1963 -, in cui racconta gran parte della sua vita. La sua famiglia, laica, intellettuale e borghese, il suo legame con Torino, la sua città - sebbene nacque a Palermo il 14 luglio 1916 -, austera e rigorosa come lei.   Ai ricordi piacevoli, legati alla quotidianità con genitori e fratelli, si mescolano quelli del tempo: il fascismo, la Seconda guerra mondiale, la sua presa di coscienza politica, l'amicizia con intellettuali come Einaudi, Bobbio, Pavese e soprattutto l&