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Visualizzazione dei post da marzo, 2023
 FRANCO CALIFANO:  UNA VITA GRANDE IN UN TEMPO PICCOLO  "Diventai grande in un tempo piccolo". Un lampo di vita, quella di Franco Califano. Un'esistenza conclusasi dieci anni fa - il 30 marzo 2013 - e vissuta sempre a mille, tra esperienze e aspirazioni. La sua voce, calda e roca, ha raccontato amori e follie, desideri, passioni, paure. La sua "penna", sensibile come poche, ha scritto brani immortali, portati al successo da grandi artisti.  Da "E la chiamano estate" per Bruno Martini a "Minuetto" per Mia Martini, passando da "Un grande amore e niente più" per Peppino Di Capri e "Un'estate fa", magistralmente resa da Mina. Poesie in musica. Perché il "Califfo" era un poeta. Un uomo che aveva reso poetica una vita rocambolesca, vissuta senza riserve, senza rimpianti. Un uomo messo sotto i riflettori (e spietate critiche) proprio per il suo privato eccentrico e fuori dagli schemi. Ma, in fondo, a chi lo ha amato
 DOVE C'È VANGELIS, C'È VITA! Sarebbero stati ottanta oggi, se solo non se ne fosse andato lo scorso maggio. Sarebbe stata una occasione speciale, il raggiungimento di una cifra importante. Ma, forse, avrebbe significato strafare e così, per la prima volta, ha preferito rinunciare e andar via prima. Perché Vangelis, la perfezione, l'aveva già raggiunta grazie alle sue musiche. Brani pieni di sonorità, di bellezza, di meditazione. Musiche eccezionali, rese immortali non tanto perché contenute in album più o meno memorabili, ma perché associate per sempre a spot pubblicitari e programmi televisivi. Il che potrebbe sembrare riduttivo per uno che ha vinto un Oscar e composto decine di melodie introspettive per pellicole di pregio. Ma Vangelis, nella sua assoluta umiltà, non credo se la sia mai presa per questo. Perché un greco di Atene, la patria della filosofia, sapeva guardare oltre l'apparenza e cogliere il senso profondo nascosto anche in semplici réclame , impreziosite
   JANNACCI, GENIO E FANTASIA Un artista " col coeur in man ", col cuore in mano, come direbbero nella sua Milano. Quando ancora c'era la nebbia, i Navigli erano navigabili e il cabaret imperversava nei locali notturni.  Al Derby, Enzo Jannacci lasciò il cappello, tra sinfonie di battute e gag allietate dal pianoforte. Tra Cochi e Renato e Lino Toffolo, in coppia con Gaber, "Corsaro" del rock 'n' roll.  Poi brani diventati immortali, come "Vengo anch'io. No, tu no", "La gallina" e "E la vita, la vita", tra ironia e nonsense , fino alla musica impegnata, come "Vincenzina e la fabbrica". Sempre " col coeur in man ", da buon medico cardiologo quale era. Perché Enzo Jannacci non rinunciò a una professione per una passione. Bensì unì l'utile al dilettevole. L'amore per gli altri, l'impegno nella lotta alla sofferenza, del corpo e dell'animo, con le diagnosi e gli spartiti, tra uno stetosco
 CLELIA MATANIA, UN SORRISO PER MILLE SCENE Briosa, simpatica, dalle forme piene e delicate. Clelia Matania non sarà diventata una grande star, ma nel suo piccolo ha rappresentato al meglio personaggi popolari e coloriti della sua Napoli, rassicurante e accogliente come le sue morbide linee. Perché nonostante i suoi natali londinesi - nacque centodieci anni fa, il 28 marzo 1913 -, Clelia Matania era una napoletana verace. Dal teatro di rivista al repertorio dialettale, da Totò e Nino Taranto a Eduardo De Filippo, la Matania ha lavorato con i più grandi, calcando prestigiose quinte, napoletane e non.  Clelia Matania in scena con Eduardo De Filippo ne "La fortuna con la effe maiuscola". Alla fine degli anni '30, approdò invece al cinema, dove si distinse come pregiata caratteristica diretta da registi come Mario Mattòli, Raffaello Matarazzo, Carlo Ludovico Bragaglia, Marino Girolami, passando dal melodramma alla commedia leggera - recitando accanto a Totò in numerosi film,
  CIAO, GIANNI! Amico di Muhammad Ali e Diego Armando Maradona, "confessore" di Fidel Castro in una storica intervista. Commentatore sportivo, dal ring al campo di calcio e alle piste olimpiche. Torinese e "Granata" fino al midollo, Gianni Minà ha rappresentato il giornalismo in corpo e animo. Ha fatto scuola, con quel sorriso sornione sotto i baffi folti, grazie alla serietà e alla non convenzionalità delle sue interviste, come quelle del suo "Blitz", faccia a faccia con artisti e campioni di diversa natura del secolo scorso, uno dei più grandi successi come conduttore in Rai, per anni la sua casa e il suo campo di battaglia alla ricerca e alla difesa della verità.  Pantani, dopo Madonna di Campiglio, la "Caporetto" del Giro d'Italia '99 per il grande campione a due ruote, affidò al microfono di Minà la sua verità, per smascherare (a suo dire) un complotto contro la sua persona. Gianni Minà ha raccontato storie e protagonisti, vittorie e
 FIORENZO FIORENTINI, "ER PIU'" DE ROMA " Din don, din don, amore. Cento campane stanno a di' de no ". Chi non ricorda queste parole, colonna sonora di un glorioso sceneggiato Rai dei primi anni '70. Chi non ricorda il romanticismo, la dolcezza e il mistero della sigla di chiusura de "Il segno del comando". Parole indimenticabili, a differenza del loro autore. Un grande cultore di cultura. Un attento conoscitore e custode della tradizione poetica e musicale della sua Roma, da Gioacchino Belli a Trilussa e a Ettore Petrolini, passando dall'eleganza di Gastone al " burino" Sor Clemente , da lui ideato e personificato da Alberto Talegalli in voce e volto, tra radio e cinema.  Fiorenzo Fiorentini, romano di Prati, se ne andava vent'anni fa, il 27 marzo 2003, dopo più di ottant'anni di vita vissuta per amore dell'arte e della cultura romane. Sguardo limpido su un corpo smilzo, Fiorentini ha vissuto più esistenze in una. Pa
  NINO VINGELLI,  "GUAPPO" DI SCENA Dai teatri partenopei ai set di Cinecittà, dalla "sceneggiata" al teatro eduardiano. Dal drammatico alla commedia, passando da Francesco Rosi a Nanni Loy. Filo conduttore, un volto da duro, scolpito nel legno, con quello sguardo scuro e penetrante sotto le folte sopracciglia corrucciate.  Un talento, quello di Nino Vingelli, nato sulle tavole del palcoscenico e accresciutosi davanti alla macchina da presa di grandi registi che ne hanno fatto un vero " guappo " di scena. Un piccolo-grande caratterista che, a vent'anni dalla scomparsa, voglio ricordare riproponendovi l'articolo redatto lo scorso anno, nell'anniversario della nascita. L'articolo è fruibile al seguente link: https://ilrestodelmarino.blogspot.com/2022/06/vingelli-carattere-e-faccia-tosta.html
 MARIO, ER SOR BREGA " Io mica so' comunista così, sa', so' comunista così! ". " 'Sta mano po esse fero e po esse piuma ". " Senti st'olive! Queste so' greche sai, ahò, greche! ". " Arzate, 'a cornuto, arzate gli ho detto! ". Aforismi, modi di dire. Pillole da inserire in qualsiasi  discorso ironico. Perle verbali da pronunciare rigorosamente ad alta voce, imitando il suo roboante timbro incollerito. Mario Brega è ancora vivo. Lo sono il suo volto barbuto e il suo sguardo truce. La sua imponente corporatura elegantemente abbigliata. Lo sono le sue braccia possenti che, opportunamente mosse, accompagnavano il suo vocione in epiche battute, spesso frutto della sua improvvisazione.  Erano gli anni '80, di una Roma ancora popolare e genuina ma già proiettata verso un futuro povero di speranza e di semplicità. Carlo Verdone, regista in erba, fotografava i suggestivi angoli della sua città inserendovi i suoi personaggi
 PIETRO MENNEA, FINO ALL'ULTIMO METRO Sembrava lo sapesse. Sembrava sapesse di non aver troppo tempo, che la vita gli sarebbe sfuggita di mano. Sembrava sapesse che la libertà che provava nel correre era qualcosa di fugace, da vivere fino in fondo come la vita. Un'esistenza vissuta in corsa, dalle strade di Barletta - dove nacque il 28 giugno 1952 - alle piste di mezzo mondo. Dai colori dell'Avis, con cui mosse i primi passi nella sua città natale, alla scuola atletica di Formia, prima di indossare i panni azzurri della nazionale, tra campionati europei e olimpici, da Roma a Mosca, da Città del Messico a Helsinki.  Bronzo, oro e argento tinsero il suo volto stremato dalla fatica e fiero della sua tenacia. Pietro Mennea correva, correva podio dopo podio, vittoria dopo vittoria. Correva anche nello studio. Scienze politiche, Giurisprudenza, Scienze motorie e Lettere, a cinquant'anni. Sapere e sapore, quello della libertà, goduta intensamente fino a quel 21 marzo 2013, qua
  FABRIZIO MORONI, UN SORRISO GIOVANE  Lo sguardo limpido e il sorriso largo sotto un ciuffo di capelli folti e ben pettinati. Fabrizio Moroni non avrà raggiunto la fama eterna, ma il suo era uno dei volti giovani più noti e amati degli anni' 60, dai fotoromanzi ai "musicarelli", per finire agli sceneggiati. Esordì sul grande schermo a vent'anni - era nato, a Firenze, il 16 marzo 1943 -, con un piccolo ruolo nel capolavoro di Visconti, "Il Gattopardo".  Alto, magrissimo, bello, Federico Moroni divenne in breve tempo un beniamino del pubblico femminile. Dalle copertine di "Sogno" e "Bolero film" al celebre sceneggiato "David Copperfield" di Anton Giulio Majano, Moroni si fece notare per la sua prestanza fisica, il sorriso ingenuo e l'eleganza, in abiti e gesti.  In alto, Fabrizio Moroni con Giancarlo Giannini nello sceneggiato "David Copperfield" (1965) di Anton Giulio Majano. In basso, con Laura Efrikian in "P
 ROBERTO MUROLO, " ANEMA "  PURA " Ah, comme se fà a dà turmiento all'anema ca vo' vulà ". Perché tormentare un'anima desiderosa di volare? Sembravano parole incise nel marmo per uno come lui. Uno che la musica e la poesia le aveva vissute fin da bambino. Uno che era passato dal jazz alla musica melodica napoletana con la stessa leggerezza con cui, col sorrisetto malizioso sotto gli immancabili baffetti, lasciava librare la sua voce, accompagnata dal dolce suono della sua chitarra. Nel 1992, quando Enzo Gragnaniello scrisse il sopracitato brano, " Cu' mme ", affidandolo alla voce roca e grintosa di Mia Martini e a quella pastosa e vibrante di Roberto Murolo, aveva visto in quel simpatico anziano pieno di vita non solo la forza di chi aveva fatto della canzone napoletana un monumento ad eterna memoria, ma probabilmente aveva anche capito che " n'anema " come la sua era perfetta per interpretare quel brano.  Roberto Murolo era
 CAROLE ANDRÉ, LA "PERLA" BRILLA A SETTANT'ANNI Occhi azzurri, capelli biondi, fisicamente minuta ma elegantemente formata. Spegne oggi settanta candeline Carole André, attrice lontana dai clamori ma non dalla fama, grazie a un personaggio e a uno sceneggiato che hanno fatto la storia della Rai e della televisione italiana. Dalle pagine di Salgari alla cinepresa di Sergio Sollima, Lady Marianna, la Perla di Labuan, l'affascinante compagna di Sandokan, interpretato dall'esotico Kabir Bedi, fece della giovane attrice parigina una beniamina del pubblico italiano degli anni '70.  Ma al cinema Carole André era arrivata già da tempo, appena quattordicenne, lavorando con registi come Duccio Tessari, Federico Fellini, Mario Camerini (nei panni di "Cat", la ribelle nipote del guareschiano don Camillo interpretato da Gastone Moschin) e Dino Risi. Film importanti, alcuni anche di un certo spessore, che misero subito in evidenza il suo fascino e la sua sensualit
 BUON COMPLEANNO, SIGNORA MILO! La risatina isterica, i capelli biondi e le forme prorompenti racchiuse in eleganti abiti attillati. Sandra Milo è ancora oggi una bella "immagine", un quadro. Una bellissima donna dall'aria svampita e disillusa, con tanta voglia di divertirsi e divertire. È un delitto questo? Niente affatto ed è stata proprio lei a sottolineare sempre il suo lato frivolo, dai tempi di "Studio Uno" fino a "Quelle brave ragazze", che l'ha vista di recente tornare alla ribalta con altre "signore" dello spettacolo e della Tv, come Mara Maionchi e Marisa Laurito. Ma Sandra Milo, novant'anni oggi, non ha forse avuto quel che avrebbe meritato. Perché la musa di Federico Fellini, la donna maliarda e ammiccante di tante commedie, passando da Alberto Sordi ("Lo scapolo") a Totò ("Totò nella luna"), era un'attrice validissima che forse ha peccato di leggerezza, per la semplice volontà di vivere come deside
 CARMINE GALLONE: LE "RIPRESE" DI UNA VITA Aveva abbandonato la cinepresa da appena undici anni, e forse quello era il problema. Perché Carmine Gallone l'arte cinematografica ce l'aveva nel sangue. E quando essa smise di fluire nel suo corpo, ecco che l'età, improvvisamente, fece sentire il suo peso, e l'11 marzo 1973 - ricoverato all'ospedale di Frascati per una broncopolmonite - "l'occhio" del regista si spense per sempre. Non credo sia un caso, semplice fatalità. Sono infatti convinto che la sua lunga esistenza - cominciata a Taggia, provincia di Imperia, il 10 settembre 1885 - abbia ricevuto preziosa linfa proprio dalla sua innata passione per il cinema.  Carmine Gallone può essere annoverato tra gli "inventori" del cinema moderno nel nostro Paese. Nell' Urbe  mosse i primi passi come drammaturgo (vincendo un concorso nel 1911) e poi come attore, ma già prima della Grande Guerra esordì dietro l'amatissima macchina da pre
  IL SURREALE MONDO DI "JAC" Salami, ossa e lische di pesce nei posti più disparati. Serpenti che strisciano ovunque, con i loro occhi stupiti. Mani e piedi dotati di braccia e gambe. "Donnoni" e omuncoli incolleriti protagonisti di vignette apparentemente senza senso, guazzabuglio di "nuvolette" parlanti e personaggi assurdi. Questo era il mondo di Benito Jacovitti, o meglio "Jac", come firmò per oltre cinquant'anni le sue esilaranti strisce a fumetti.  Molisano, di Termoli - dove nacque un secolo fa, il 9 marzo 1923 -, legò la sua formidabile carriera a "Il Vittorioso", il settimanale cattolico su cui comparivano i suoi leggendari personaggi: da Pippo, Pertica e Palla (con cui esordì in "Pippo e gli inglesi", nel 1940) a Cocco Bill, il cowboy che sorseggia camomilla, fino a Jak Mandolino.  Alcune vignette disegnate da Benito Jacovitti. Attorno a loro gravitavano caricature animate di salami (cibo che amava molto) e serpe
   LUCA RONCONI, "MAESTRO" D'ENTUSIASMO Geniale e rivoluzionario. "Figlio" di una generazione d'attori e registi che di fatto modificarono la tradizionale rappresentazione teatrale, ma con cura e sapienza. Avrebbe compiuto novant'anni oggi - era nato l'8 marzo 1933 - e sicuramente ci avrebbe regalato nuove indimenticabili  pièce . L'ultima (" Lehman   Trilogy " di Stefano Massini) andò in scena proprio nei giorni della sua scomparsa - sopraggiunta il 21 febbraio 2015.  La conclusione di una storia iniziata nel 1963, nella compagnia di Corrado Pani e Gian Maria Volonté, dieci anni dopo il diploma all'Accademia d'arte drammatica di Roma e il suo esordio come giovane attore al fianco di "maestri" del palcoscenico come Gassman, Squarzina, Costa e De Lullo. In poco più di cinquant'anni di carriera, dagli stabili di Torino e Roma al "Piccolo" di Milano fino ai più grandi teatri europei, non c'è genere, non
  L'ITALIA AI MICROFONI DI CARLO MAZZARELLA Eccentrico, elegante,  charmant . Carlo Mazzarella è un personaggio che si ricorda poco ma che non sarebbe mai potuto passare inosservato. Tra i più grandi, simpatici e raffinati corrispondenti della Rai delle origini, ha filmato  reportage  e raccontato storie da suggestivi angoli del globo, passando dagli amati Stati Uniti all'Oriente, dal Telegiornale nazionale al Tg2, lì dove concluse la sua fenomenale carriera nel 1985.  Carlo Mazzarella (a destra) con Federico Fellini. Ma soprattutto, da profondo uomo di cultura e fine cronista, Mazzarella si è occupato di cinema e spettacolo fin dagli anni '50, dopo un diploma all'Accademia d'arte drammatica di Roma, sua città d'adozione - egli nacque a Genova, il 30 luglio 1919 - , e una breve carriera tra teatro e cinema, accanto ad attori come Vittorio Gassman, Totò e Alberto Sordi. E quando capì che per lui i film era meglio raccontarli che farli, amicizie come quelle con So
 DAMIANO DAMIANI, CINEPRESA "CIVILE" Sono trascorsi dieci anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 7 marzo 2013, ma i suoi film - una sorta di testamento spirituale - continuano a parlare per lui. Damiano Damiani è stato uno di quei grandi, straordinari cineasti che, tra gli anni '60 e '80, avevano compreso come il cinema potesse essere uno strumento di educazione al vivere sociale, al non lasciarsi ingannare dall'apparenza, all'indagare tra le pieghe della realtà alla ricerca di quella verità che ha un solo modo d'essere - come avrebbe detto Rousseau - ma che può essere interpretata in mille modi, il più delle volte errati. Classe 1922, veneto, Damiani si mise per la prima volta dietro la macchina da presa alla fine degli anni '40, realizzando alcuni documentari.  Esordì come regista cinematografico con "Il rossetto" (1960), un poliziesco di matrice neorealista, interpretato da uno straordinario Pietro Germi, ma fu soltanto col cinema "imp