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Visualizzazione dei post da marzo, 2021
  ADDIO A ENRICO VAIME: MAESTRO DEL "MEGLIO" CHE FU Era la Tv fatta da "gente perbene". Enrico Vaime apparteneva a quella schiera di autori geniali e sagaci, intelligenti ed ironici, che hanno davvero fatto la storia dello spettacolo nazionale. Se n'è andato via ieri, in punta di piedi. Aveva compiuto da poco ottantacinque anni - era nato il 19 gennaio 1936, a Perugia - e aveva preso in mano la sua prodigiosa penna dopo una laurea in Giurisprudenza (conseguita a Napoli, città in cui si trasferì con la famiglia) e un passato da ragazzo fantasioso e sognatore, che amava "mettere in scena" storie, sia per i suoi familiari che per i compagni di scuola. La svolta arrivò con l'ingresso in Rai negli anni '60.  La televisione lo vide balzare agli onori della cronaca con programmi di successo come "Quelli della domenica", con Villaggio e il duo Cochi e Renato, "Canzonissima" '68 con Mina, Paolo Panelli e Walter Chiari, o ancora &
 TENNESSEE WILLIAMS, IL DRAMMA DI UNA VITA Ci ha regalato opere straordinarie. Racconti pieni di pathos ancora oggi portati in scena nei più bei teatri del mondo. Eppure, tutta quella sofferenza, quel malessere rappresentato ad ogni apertura del sipario, Tennessee Williams l'aveva provato dentro di sé. Iniziò a scrivere negli anni '30, dopo aver lasciato l'università per lavorare (spinto dal padre), per poi riprenderla anni dopo e laurearsi, spostandosi dal Mississipi - dove nacque, a Columbus, il 26 marzo 1911 - al Missouri, da New Orleans a New York. Forse, quel vagabondaggio era in parte legato ad una inquietudine interiore, dovuta alla sua complicata situazione familiare.  Era un ragazzo sensibile. Assorbiva, come una spugna, la tensione che si respirava in casa sua: il difficile rapporto con suo padre (che non riuscì mai ad accettare la sua dichiarata omosessualità), la malattia di sua sorella Rose. Immagazzinava tutto e poi lo buttava giù. Su fogli di carta divenuti
SIMONE SIGNORET: ANIMA PARISIENNE  La Rive gauche , la rivoluzione culturale e politica, l'esistenzialismo. Sartre e Prévert, Charles Aznavour e Juliette Gréco. Era questa la Parigi in cui si formò Simone Signoret, attrice francese di fama mondiale, interprete di personaggi femminili ancora oggi amati: prostitute e donne fatali, figure tormentate e desiderose di vivere in piena autonomia. Proprio come lei, figlia di padre ebreo di origini polacche e di madre francese, nata nella Germania occupata dai francesi, a Wiesbaden, il 25 marzo 1921.  Aveva solo dieci anni quando si trasferì con la famiglia nella " Ville Lumière ", e lì, praticamente, trascorse il resto della sua vita. Bella, bionda, sensuale, divenne per tutti "Casco d'oro" come Marie, la prostituta da lei interpretata nel film di Jacques Becker, nel 1952.  Simone Signoret e Serge Reggiani in "Casco d'oro" (1952) di Jacques Becker. Fu quel personaggio, più di altri, ad identificare Sim
  ELIZABETH TAYLOR, LA DIVA DAGLI OCCHI VIOLA “Io ho un corpo di donna ed emozioni di una fanciulla.” E quella ragazzina lì, racchiusa tra le forme prorompenti di una delle più grandi icone di femminilità del cinema americano, non smise mai di farci sentire tutta la sua passione per un mestiere che, dopotutto, intraprese più per dovere che per piacere. Elizabeth Taylor, per tutti "Liz" - anche se lei non amava molto quel diminutivo -, era infatti figlia di Sara Sothern, al secolo Sara Viola Warmbrodt, attrice americana che abbandonò le scene dopo essersi sposata, trasferendosi poi dagli Stati Uniti a Londra. Proprio lì Elizabeth Taylor nacque - il 27 febbraio 1932 -, ma allo scoppio della Seconda guerra mondiale, si trasferì con la famiglia a Los Angeles, città in cui vivevano i parenti della madre, e proprio in quegli anni iniziò a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo. Elizabeth Taylor con Robert Taylor in "Alto tradimento" (1949) . Elizabeth, inizialme
 NINO MANFREDI: UN VOLTO COSÌ, "TANTO PE' SOGNA' "   Non era quella che nel gergo dello spettacolo si definisce una "maschera". Il suo volto non aveva tratti particolari o marcati. Non era quello sornione e beffardo di Sordi e neppure quello virile e affilato di Gassman. Nino Manfredi aveva un viso comunissimo: regolare, fine nei lineamenti. Poteva essere il volto di un comune professionista, di un commerciante o di un impiegato. Proprio come il "suo" Nando, uno dei primi ruoli da protagonista. Egli era un impiegato che, annoiato da una vita trascorsa tra scartoffie e beghe burocratiche, si perdeva in un sogno suscitato dalla lettura di un giallo, credendo di essere un facoltoso scrittore che viveva a Las Vegas e amava Joan, una ballerina protetta da un boss malavitoso, interpretata da una biondissima Anna Maria Ferrero.  Ma Nino Manfredi fu molto più fortunato del suo alter ego nel sopracitato "L'impiegato" di Gianni Puccini. Infatt
 L'ALDA "Mi nacque un’ossessione. E l’ossessione diventò poesia". Una frase che racchiude tutto di lei: la malattia, la sofferenza, i desideri, il riscatto di una vita che le ha dato tanto ma che le ha anche chiesto troppo. Alda Merini visse un'esistenza minata dalla depressione e curata dai suoi stessi versi, oggi divenuti un patrimonio inestimabile della cultura nazionale. Forse non ci avrebbe mai creduto che lei, figlia di una casalinga e di un modesto impiegato, sarebbe divenuta la poetessa ma soprattutto la donna che è stata: amorevole, determinata, ma soprattutto sensibile. Un'anima pura, svelata ad ogni riga delle sue liriche. Iniziò a scrivere giovanissima e ancora adolescente vide pubblicate le sue prime due raccolte: "La presenza di Orfeo" e "Paura di Dio", a cui fece seguito "Nozze romane". Nel frattempo si sposò con Ettore Carniti, ebbe la sua prima figlia (ne seguirono altre tre), ma l'animo di Alda era costantemente
 ENZO CANNAVALE: "UMANA" SIMPATIA "Sono un imbecille". Rispondeva con aria sommessa, occhi bassi e mani giunte in grembo, Alfonso Caputo, nella terribile "mezz'ora" di umiliazione davanti al fratello (Tommaso Bianco), nel disperato tentativo di ottenere le 100mila lire necessarie per comprare i "botti" di Capodanno. Il volto e l'animo erano quelli di Enzo Cannavale, la regia di Luciano De Crescenzo e il film "32 dicembre"(1988). Tre episodi di cui l'ultimo con protagonista questo disoccupato napoletano, con moglie e figli a carico, che  dopo vari tentativi falliti, non essendo riuscito a trovare i soldi entro la fine dell'anno, sparò appena ne ebbe l'occasione, ovvero il 12 gennaio, beccandosi una bella denuncia. Quel ruolo, carico di umanità e tenerezza - che gli valse un Nastro d'argento come miglior attore non protagonista - fu uno dei pochi in cui Cannavale riuscì a mettere in mostra le sue qualità artistiche
 "SCINTILLE" DI STORIA PARTENOPEA   Lo sferragliare in mezzo al traffico, facendosi largo con l'inconfondibile scampanellio. Girare in lungo e in largo per la città, dal Vomero a Fuorigrotta, da Bagnoli a San Giovanni, passando per Poggioreale. Alcune di queste immagini risalgono a più di cinquant'anni fa, altre ad anni recenti. Sono istantanee entrate nella memoria collettiva. Elementi del paesaggio napoletano oserei dire, quasi come il Vesuvio e il "Jolly Hotel", che sembra si sfidino a chi "solletica" di più le nuvole. Anche i vecchi tram, con i trolley che correvano lungo fili quasi invisibili, su rotaie spesso "selvaggiamente" occupate da auto in sosta e cassonetti, fanno parte della scenografia della Napoli più bella. Il secolo scorso li ha visti assoluti protagonisti del trasporto pubblico, prima affiancati dai filobus, poi da autobus a gasolio che li hanno progressivamente soppiantati. È di pochi giorni fa la notizia che l'ANM
  ADDIO, RAOUL!    Era una Romagna, ma anche un'Italia, bella. Quella delle balere e delle orchestrine, di coppie giovani e vecchie, alte e basse, grasse e magre, che si lanciavano in pista al grido di " Vai col lissio ". Un inno al fare musica, al divertirsi stando insieme che stona un po' con l'attuale situazione. E d'altra parte, a portarsi via Raoul Casadei è stato proprio "Lui". Quel "male" chiamato Covid19 che aveva chiuso anche quelle piste dove era nato e cresciuto. Era un'adolescente - era nato il 15 agosto 1937 - quando prese in mano la chitarra regalatagli dallo zio Secondo, fondatore della prima orchestra di liscio romagnolo. Da lì, l'inizio di un'era che non conobbe eguali: il rilancio delle balere, gli anni '70, la musica e la tradizione romagnola che da "Romagna mia" a "La mazurka di periferia" portò il " lissio " in tutta la Penisola, con concerti, partecipazioni televisive e cin
  CARLO VANZINA: FINO ALL'ULTIMA COMMEDIA  Crebbe tra sceneggiature e soggetti, tra cineprese e scenografie, tra Totò e Fabrizi, Alberto Sordi e Franca Valeri. Conobbe quel gusto raffinato di fare ironia che, nel secolo scorso, fu la gioia del cinema nazionale. È naturale che, ad un certo punto della propria vita, seppe scegliere la strada giusta. Un cammino percorso in salita, facendo tutta la gavetta. Nonostante lui, Carlo Vanzina, regista e sceneggiatore, produttore e fine umorista, fosse figlio d'arte nel senso ampio della parola, avendo avuto come padrini due veri geni della comicità italiana. Per legami sanguigni, era infatti figlio di Stefano Vanzina, per tutti Steno, pregevole "penna" che ha realizzato tra le migliori pellicole del cinema italiano, passando da "Piccola posta" a "Un giorno in pretura", da "Un americano a Roma" a "Totò a colori" fino a "Febbre da Cavallo". Suo padre "spirituale", invece