Passa ai contenuti principali

 NINO MANFREDI: UN VOLTO COSÌ, "TANTO PE' SOGNA' "


  Non era quella che nel gergo dello spettacolo si definisce una "maschera". Il suo volto non aveva tratti particolari o marcati. Non era quello sornione e beffardo di Sordi e neppure quello virile e affilato di Gassman. Nino Manfredi aveva un viso comunissimo: regolare, fine nei lineamenti. Poteva essere il volto di un comune professionista, di un commerciante o di un impiegato. Proprio come il "suo" Nando, uno dei primi ruoli da protagonista. Egli era un impiegato che, annoiato da una vita trascorsa tra scartoffie e beghe burocratiche, si perdeva in un sogno suscitato dalla lettura di un giallo, credendo di essere un facoltoso scrittore che viveva a Las Vegas e amava Joan, una ballerina protetta da un boss malavitoso, interpretata da una biondissima Anna Maria Ferrero. 



Ma Nino Manfredi fu molto più fortunato del suo alter ego nel sopracitato "L'impiegato" di Gianni Puccini. Infatti, mentre Nando, al risveglio, si ritrovava catapultato nella dura realtà, Nino Manfredi riuscì a fare di quel sogno la sua realtà. Amava molto raccontare le favole, immedesimarsi nei personaggi, fin dalla sua infanzia, trascorsa tra polli, conigli ed alberi da frutto nelle campagne della sua Ciociaria, a Castro dei Volsci, dove nacque il 22 marzo di cento anni fa. Saturnino Manfredi divenne "Nino" prima ancora che tutti se ne rendessero conto. Quando il padre, maresciallo di PS, venne trasferito a Roma, lui e il fratello minore Dante seguirono studi regolari. 


In alto, Nino Manfredi con Marisa Allasio in "Carmela è una bambola" (1958).
In basso, con Anna Maria Ferrero ne "L'impiegato" (1960). Entrambi i film sono diretti da Gianni Puccini.



Dante studiò medicina e divenne un famoso chirurgo. Lui, invece, si laureò in Giurisprudenza per fare contento il padre, ma il fuoco sacro dell'arte lo aveva già infiammato da tempo. Durante la brutta esperienza in sanatorio per curarsi dalla tubercolosi, organizzò piccole rappresentazioni per i suoi amici degenti. Frequentò poi un teatro parrocchiale, ma fece di più: mentre sosteneva a fatica gli esami universitari, si iscrisse all'Accademia d'arte drammatica, dimostrando appieno le sue doti istrioniche. Quel volto così "normale" venne controbilanciato da una mimica unica e dalla capacità di immedesimarsi in qualsiasi oggetto o essere vivente - dalla bandiera alla formica -, muovendo in sincrono gambe, braccia e torso. Sotto la guida del suo maestro, Orazio Costa, Manfredi riuscì a tirar fuori un talento naturale. Fece però tutta la gavetta, iniziando dal teatro. Fu in compagnia con Vittorio Gassman ed Evi Maltagliati a Milano. Lavorò al Teatro Eliseo di Roma sotto la direzione di Eduardo De Filippo, e poi si affacciò al varietà e alla rivista, anche quella radiofonica. Era bravo, e ben presto se ne accorse anche il cinema. Nel corso degli anni cinquanta partecipò a numerose pellicole, ma raramente in ruoli di primo piano, fatta eccezione per alcune celebri commediole come "Carmela è una bambola" , ancora di Puccini, oppure "Caporale di giornata" di Carlo Ludovico Bragaglia. 


Manfredi nei panni del barista Bastiano in "Canzonissima" (1959).


La svolta arrivò proprio alla fine di quel decennio. Conduttore della celebre "Canzonissima" '59, accanto a Delia Scala e Paolo Panelli, Nino Manfredi arrivò alla ribalta nazionale grazie ad un personaggio tratto dal "suo" mondo: quello contadino, a cui la sua famiglia apparteneva. Un mondo fatto di gente povera ma onesta, ingenua e di cuore, proprio come lui. Il "fusse ca fusse la vorta bbona" del suo Bastiano, il barista di Ceccano, finì per diventare un modo di dire. 


   Nino Manfredi, Ornella Vanoni ed Aldo Fabrizi nel "Rugantino" (1962) di Garinei & Giovannini.



Ma il barista "burino" fu soltanto il primo di una lunga serie di "volti" amatissimi. Senza dubbio, indimenticabile il suo Rugantino, nella omonima commedia targata G&G che nel 1962 sbarcò dal Sistina a Broadway. Ma fu soprattutto il cinema a fare di Nino Manfredi un vera star, protagonista della neonata "commedia all'italiana".


Nino Manfredi con Vittorio Gassman in "Audace colpo dei soliti ignoti" (1959) di Nanni Loy.

Dopo Nando l'impiegato, il personaggio più celebre fu Ugo "Piede Amaro", meccanico preparatore, che la sgangherata banda di ladruncoli capitanata da Peppe "Er Pantera"/Gassman assolda per tentare il secondo colpo della vita: rapinare l'auto che trasporta le vincite del Totocalcio nella esilarante trasferta milanese di "Audace colpo dei soliti ignoti", diretto da Nanni Loy.


Nino Manfredi con Senta Berger in "Operazione San Gennaro" (1966) di Dino Risi.

Poi ci fu Armanduccio Girasole detto "Dudù", leader di un'altra banda di sedicenti professionisti del crimine, che tenta il sacrilego furto del tesoro del patrono di Napoli nello strepitoso "Operazione San Gennaro" di Dino Risi.


Nino Manfredi in "Pane e cioccolata" (1974) di Franco Brusati.


Ma tra i ruoli iconici spicca senza dubbio quello di Antonio: il portantino romantico e sognatore che, trent'anni dopo la fine della guerra, continua ad essere fedele a quegli ideali che lo avevano spinto alla lotta partigiana, nel capolavoro di Ettore Scola "C'eravamo tanto amati", accanto a Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli e Stefano Satta Flores. E poi Giovanni "Nino" Garofoli, ciociaro emigrato in Svizzera di "Pane e cioccolata" di Brusati, o ancora Abbagnano Michele, il venditore abusivo di caffè sul treno, nel malinconico ed amaro "Café Express" ancora di Nanni Loy. 



In alto, da sinistra, Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Stefano Satta Flores in "C'eravamo tanto amati" (1974) di Ettore Scola. 
In basso, da destra, Manfredi, Vittorio Caprioli e Vittorio Mezzogiorno in "Café Express" (1980) di Nanni Loy.



Un volto anonimo, insomma, per tanti sguardi noti, che sarebbe davvero impossibile elencarli tutti. Uno dei personaggi più riusciti, tuttavia, è quello di mastro Geppetto, il papà del burattino di legno più famoso del mondo, ne "Le avventure di Pinocchio" di Comencini: ancora oggi una delle sue interpretazioni più amate. Tanto quanto quella del brigadiere Nino Fogliani, poliziotto in pensione che pur di non sentirsi "a riposo" si diletta ad aiutare la figlia commissario (Claudia Koll) nella fortunata fiction Rai  "Linda e il brigadiere". 


Nino Manfredi ne "Le avventure di Pinocchio" (1972) di Luigi Comencini.


La televisione, infatti, fu il luogo del riscatto. Lì, negli ultimi anni della sua vita, seppe reiventarsi e raggiungere anche le nuove generazioni (tra cui la mia). A partire dagli anni '80, fu protagonista di celebri spot televisivi ("il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è?"), ospite in numerosi programmi Rai e Mediaset, ma anche interprete di fiction e film tv, spesso diretto dal figlio Luca, oppure dal genero Alberto Simone, marito della figlia Roberta. 


Nino Manfredi con Claudia Koll nella fiction "Linda e il brigadiere".


Proprio per quest'ultimo, nel 2000, fu protagonista di una bellissima miniserie Rai, "Una storia qualunque", dove era Michele, un uomo che dopo aver scontato ingiustamente trent'anni di carcere, accusato di aver ucciso sua moglie, ritorna in libertà e si mette alla ricerca dei due figli che gli erano stati tolti. Su quel set, inoltre, recitò con suo nipote Matteo Simone, che debuttò proprio con lui a soli nove anni. Solo quattro anni dopo, il 4 giugno 2004, Nino Manfredi se ne andò, dopo un lungo ricovero in ospedale, a seguito di un ictus che l'aveva colpito circa un anno prima.


Nino Manfredi con Matteo Simone nella miniserie Rai "Una storia qualunque".


Ricordo bene quel giorno, nonostante fossi ancora molto piccolo. Ero appena rientrato da una gita scolastica quando appresi la notizia, con dispiacere, essendo già un suo grande ammiratore. E quello stesso pomeriggio, vidi un film di cui ho ignorato il titolo per anni, scoprendolo soltanto un anno fa, per caso: "Guardia, ladro e cameriera" di Steno. Una tra le tante gustose commedie interpretate da Manfredi prima che la sua faccia diventasse un "volto".

Un viso speciale come pochi, illuminato da quel sorriso che ancora oggi ci fa ridere di cuore. Così, "tanto pe' sogna'", come cantava in quel brano di Petrolini che tutti conoscono proprio grazie a lui. Grazie ad un ragazzino della Ciociaria che amava raccontare storie e divenne l'interprete di quelle più belle.




Commenti

Post popolari in questo blog

C'ERA UNA VOLTA, IL TEATRO DELLE VITTORIE! Nell’estate televisiva in cui le menti offuscate dall’afa si ridestano, a sera, ai ricordi di  Techetecheté , ci capiterà di rivederlo. Nelle sue splendide scenografie, dal bianco e nero al colore, nei conduttori in abito da sera, da Lelio Luttazzi a Fabrizio Frizzi, negli acuti di Mina, nella diplomazia di Pippo Baudo, nelle mille luci di una facciata, quella di uno dei teatri più celebri della Rai, che era essa stessa un inno al divertimento del sabato sera. Da qualche tempo, quell’ingresso, per anni abbandonato al degrado estetico, è stato restaurato ma “in povertà”, lontano dai fasti di una storia cominciata ottant'anni fa, nel 1944, quando il Teatro delle Vittorie, sito in via Col di Lana, a Roma, veniva inaugurato nientepopodimeno che da una rivista di Totò e Anna Magnani.   Il "luminoso" ingresso del Teatro delle Vittorie.   Il delle Vittorie era un grande teatro specializzato negli spettacoli di varietà e rivista. Bal
GIUSEPPE GUIDA, PASSIONE MAESTRA Un maestro, nel senso più “elementare” del termine. Perché prima che professore, preside, sindaco democristiano, storico e scrittore, Giuseppe Guida è stato, a mio avviso, un maestro. E non solo perché si diplomò allo storico Istituto Magistrale di Lagonegro. Giuseppe Guida possedeva infatti le qualità che - sempre a mio parere - dovrebbero essere proprie di un vero insegnante elementare (e non solo): empatia, sguardo lungo, curiosità, intelligenza. E di intelligenza “Peppino” Guida diede dimostrazione fin da bambino.  Nato il 17 settembre 1914, da proprietari terrieri del Farno, zona rurale alle porte di Lagonegro (Pz), Peppino era terzo di sette figli e i genitori, per permettergli di studiare, lo affidarono agli zii materni, commercianti, che si occuparono della sua istruzione. I loro sacrifici non furono vani e infatti Peppino Guida diede prova di grandi capacità intellettive e non solo. Accanto alla passione per gli studi umanistici, che lo conduss
MAURIZIO ARENA, IL PRINCIPE FUSTO Alto, moro, bello. Un fisico scolpito e il sorriso "piacione". Maurizio Arena, giovane divo degli anni '50, scompariva esattamente quarant'anni fa, quando ormai da tempo aveva diradato la sua presenza sul grande schermo. Se ne andò, per un attacco cardiaco, nella notte tra il 20 e il 21 novembre del 1979, nella sua sontuosa villa a Casal Palocco, alla periferia di Roma, dove da qualche tempo svolgeva l'attività di guaritore. Era da poco riapparso in televisione, nella trasmissione Rai "Acquario" condotta da Maurizio Costanzo, per parlare della sua nuova "vita". La sua vita precedente, invece, era quella di un giovanotto aitante che, dal popolare quartiere della Garbatella, a Roma - dove nacque il 26 dicembre 1933 -, era approdato nel mondo del cinema dopo aver svolto diversi mestieri. Il suo esordio risale ai primi anni '50 ma Maurizio Di Lorenzo, in arte Arena, raggiunse la popolarità nazional