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LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO


«Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarelli di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito. 


Liliana Rimini.


Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più brillanti del Ventennio - autore di strutture avveniristiche ancora oggi sopravvissute in una Milano ormai priva di nebbia e di armonia architettonica - ma anche una delle vittime delle Leggi Razziali perché di origine ebraica, miracolosamente sfuggito al campo di prigionia, non ha avuto una vita semplice. La sua è stata una vita «difficile e coraggiosa» allo stesso tempo, come ha dichiarato Liliana inaugurando una stele nel viale principale dell’Ospedale Cardarelli che dall’altro ieri porta il nome del suo progettista, Alessandro Rimini. Un uomo che ha affrontato le discriminazioni, le ingiustizie, i soprusi, i grandi e piccoli drammi dell’esistenza umana con determinazione e speranza. 



La stele.


Nei chiari occhi di Liliana quell’esempio vivo, concreto, continua a sopravvivere. Ma quella piccola donna, carica di anni, ricordi e racconti è anche, in qualche modo, la personificazione stessa della “creatura” che suo papà amava di più. Come lei stessa ha raccontato nella conferenza che ha seguito lo scoprimento della stele, al primo piano dello storico ingresso monumentale dell’Ospedale Cardarelli, la sua vita è stata ricca di esperienze di coraggio e di forza. 



Alessandro Rimini con in braccio sua figlia Liliana.



Ebbene, quell’ospedale lì, che dal 1934, ben novant’anni fa, svetta in cima al Vomero, il quartiere collinare della città, vessillo della sanità cittadina ma, più ampiamente, della sanità pubblica meridionale, è anch’esso un luogo di esperienze di coraggio e di forza. Il coraggio e la forza di medici, infermieri e personale sanitario che continuano a fare il proprio dovere tra corsie, sale operatorie, ambulatori e orari inesistenti, nonostante la cronica mancanza di risorse e il pericolo costante di attacchi, fisici e verbali, e di violenze di ogni genere. Ma anche il coraggio e la forza di tante persone, differenti per età, sesso e formazione ma accomunati da una lotta silenziosa e tenace contro i propri mali, piccoli o grandi che siano. Persone che mettono le proprie vite nelle mani di professioniste e professionisti che amano il proprio lavoro e spendono tutto se stessi per farlo al meglio. 


Liliana Rimini davanti allo storico ingresso del Cardarelli.


L’Ospedale Cardarelli, però, è anche un luogo caro all’infanzia di Liliana. Lei ha assistito con i suoi occhi alla posa della prima pietra. Era una bambina di 3-4 anni quando, accompagnata dalla madre, raggiungeva il papà in cantiere, trotterellando tra tecnici e muratori in pausa dal lavoro che accoglievano con un sorriso quella bambina curiosa. E l’altro ieri, quella bambina sembrava tornata nell’«asilo» della propria fanciullezza, come l’ha definito lei stessa. Quando, con un’inaspettata forza muscolare, ha risalito baldanzosa e sicura la gradinata del sontuoso ingresso. Quando ha saltellato felice nei corridoi della struttura, scherzando con gli addetti alla Comunicazione dell’Ospedale che l’hanno accolta al suo arrivo. Quando ha preso la parola al convegno, rivolgendosi ai giovani futuri medici, infermieri e tecnici presenti in sala e chiedendo loro di fare il proprio mestiere con «passione» perché «dà tante soddisfazioni». La medesima passione che ha lei nel trasmettere «i valori di vita e di lavoro del papà Alessandro», come è stato inciso sulla targa-ricordo di cui l’Ospedale Cardarelli le ha fatto dono. Ma il dono più grande, probabilmente, l’ha ricevuto l’architetto Rimini, grazie all’amore di una figlia che alla sua lodevole età, portata con leggerezza e spirito di iniziativa, continua a mantenere vivo il ricordo di suo padre, riuscendo a realizzare un sogno che sembrava destinato a rimanere in un cassetto a impolverarsi e che invece ora è lì, concretamente piazzato in una aiuola per brillare al sole. E non finisce qui. Perché l’instancabile Liliana, nel concludere il suo intervento con la sua straripante ironia, ha espresso un altro desiderio: che la medicina si “impegni” affinché lei possa continuare a vivere ancora dieci anni, per tornare a Napoli e festeggiare anche il centesimo compleanno dell’Ospedale Cardarelli. Osservare il mondo con gli occhi della meraviglia, appunto, guardando sempre al futuro con ottimismo. Proprio quello che fa un buon medico, spingendo il proprio paziente a credere nel progresso scientifico e nell’umana speranza. Tutto torna.


A.M.M.




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