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Visualizzazione dei post da luglio, 2021
 GIORGIO SCERBANENCO, ALL'OMBRA DEL "MIRACOLO" Non era solo l'Italia del televisore e delle lavatrici comprati a rate, dei bambini alla scuola dell'obbligo fino a quattordici anni, delle mamme rapite dalle "diavolerie" casalinghe sapientemente presentate a "Carosello". L'Italia degli anni '60 era anche piena di ombre. Pagine di storia buia, spesso sconosciute (allora non c'era l'informazione di oggi) che trovavano posto in qualche trafiletto di cronaca locale o nazionale. Giorgio Scerbanenco, invece, amava raccontare proprio quegli angoli bui della sua Milano: città a cui si legò profondamente, dopo essere arrivato in Italia bambino dalla natia Kiev, in Ucraina. Quella città, quella del Duomo e della Rinascente, dell'arte e del consumismo, delle fabbriche piene di proletari emigranti meridionali e di " bauscia ", industriali borghesi benestanti pieni di sé, non era solo il fiore all'occhiello dell'industria
  WILLIAM WYLER: L'OCCHIO DELL'OSSERVATORE  Nel 1953 consacrò due stelle internazionali: la Vespa Piaggio e la Hepburn. Sei anni dopo, diresse il più grande kolossal mai realizzato a Cinecittà. Se si vuole sintetizzare infatti la grandezza di William Wyler, uno dei più grandi registi dell'era d'oro di Hollywood, basta citare "Vacanze romane" e "Ben Hur". Film pluripremiati (rispettivamente 3 ed 11 Oscar), apprezzati dal pubblico egualmente pur nella loro diversità, passando dal brio della commedia sentimentale al dramma storico-mitologico. La bravura di Wyler, infatti, era quella di conoscere bene il suo mestiere. Saper "inquadrare" scene e storie riprendendo personaggi e azioni come se si svolgessero naturalmente. Come se la sua cinepresa fosse lì a filmare la realtà. Nato a Mulhouse in Alsazia - il 1° luglio 1902 - da genitori tedeschi di origini ebraiche, William Wyler si avvicinò al cinema nei primi anni '20 grazie allo zio, Carl L
  BUON COMPLEANNO, PRESIDENTE! Un volto serio che dà fiducia. Lo sguardo, chiaro e limpido, che rassicura anche gli animi più tormentati. Una ironia sottile che a volte tradisce - senza esagerare - il suo proverbiale aplomb . Sergio Mattarella, in anima e corpo, ha saputo fondere il rigore istituzionale alla sensibilità umana divenendo ben presto simbolo di uno Stato che sa essere vicino al suo popolo. Una vita, la sua, vissuta quasi nell'ombra per anni, prima del suo arrivo al Quirinale nel 2015. La politica, però, lo ha accompagnato fin dalla nascita, avvenuta a Palermo ottant'anni fa esatti. Figlio di Bernardo Mattarella, ministro più volte nelle fila della Democrazia cristiana, fratello di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia assassinato dalla Mafia nel 1980, inizia ben presto a frequentare i movimenti cattolici universitari. Laureatosi in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma, ha esercitato la professione di avvocato oltre ad insegnare diritto all'Univ
 INDRO MONTANELLI, LA LIBERTÀ DI UNA "PENNA" SINCERA  "La libertà è la sincerità. È dire e scrivere quello che uno pensa". Si pennellò con questa frase, Indro Montanelli. La proferì in una delle sue ultime interviste, e in essa si può condensare la sua caratura d'uomo, di giornalista e di osservatore del Novecento. Tutto si può dire di lui: che fosse scorbutico (ma a suo modo simpatico), che fosse polemico, puntiglioso, controcorrente anche, ma non che non fosse sincero. In oltre sessant'anni di carriera, Indro Montanelli non ha mai detto o scritto nulla di cui non fosse convinto.    Lo disse pure, una volta: "non ho potuto sempre dire tutto quello che volevo, ma non ho mai scritto quello che non pensavo". Mai, mai Indro Montanelli si è seduto alla macchina per scrivere, la sua inseparabile "Lettera 22", per battere un pezzo della cui bontà non fosse certo. Parole semplici, dirette, contraddistinte da uno stile fluido, frutto di studio e
  GENOVA, LUGLIO 2001: PERCHÉ? Orrore. È la prima parola che viene in mente quando si ripensa a quei giorni di vent'anni fa. Appena un anno e mezzo dall'inizio di un nuovo millennio in cui molti riponevano fiducia, per ritrovarsi davanti immagini che sembravano appartenere ad un passato lontano, sepolto in quegli angoli della memoria che si illuminano d'improvviso, di notte, quando si vive un incubo. Una città, Genova, di mare e di poesia, di storia e di cultura, distrutta in pochi giorni, dal 19 al 22 luglio 2001. Mentre nel Palazzo Ducale gli otto potenti della terra decidevano sul futuro del mondo, a pochi metri di distanza in linea d'aria, oltre reti metalliche e barricate, si scatenava l'inferno. Globalizzazione, fusione di culture e di popoli, cooperazione internazionale, erano i temi su cui si dibatteva in quel G8. Fuori dal Palazzo, migliaia di persone pronte a pacifiche proteste contro lo strapotere dei Grandi. Donne, bambini, giovani e meno giovani, riempi
 LETTERA A LUCIANO DE CRESCENZO N°2 Caro Luciano,  Rieccoci qui, tra sorrisi e amarezze, a risentirci dopo un anno, a metà strada tra le vie del web e quelle del Signore, entrambe infinite solo che queste ultime lo sono anche senza fibra e connessione. Anche se noi due siamo sempre "connessi", in animo e mente, come due vecchi amici accomunati dalla stessa passione. Si lo so, forse esagero a paragonarmi a te, ma dal momento che ho conseguito la laurea triennale in filosofia (alla magistrale ci stiamo lavorando), ho almeno un punto più di te. Si scherza, Luciano, e lo sai bene, anche perché se sono riuscito a raggiungere questo traguardo è un po' merito tuo. Ti confesso una cosa: sono molti gli esami che ho studiato con l'aiuto dei tuoi libri.  Testi straordinari, dove la filosofia "pura" si mescola a mille altre cose, creando un armonico guazzabuglio in grado di offrire uno sguardo diverso sul mondo. Che è poi il compito della vera filosofia. Ma se, come dic
 ANDREA OGGIONI: SESSANT'ANNI LASSÙ TRA ROCCE SILENTI  Rimase lassù, ai confini tra cielo e terra, aggrappato a quelle rocce che amava e a cui si abbandonò, stremato dal freddo e dal gelo. Il 16 luglio 1961 Andrea Oggioni lasciò che la montagna lo prendesse con sé, come una madre col proprio figlio.  Durante una spedizione che costò la vita ad altre tre persone, oltre lui, e che fu una delle più grandi catastrofi alpine del ventesimo secolo. La montagna, però, era per lui una vera madre. Era cresciuto tra le più belle cime della Lombardia, a Villasanta, nel monzese, dove nacque il 20 luglio 1930. Figlio di contadini, Andrea Oggioni non aveva potuto studiare ma aveva una sensibilità negli occhi che gli permetteva di leggere la realtà più di chiunque altro. Per vivere faceva l'operaio e nei fine settimana saliva in vetta. A godere di quel panorama che aveva sempre amato, arrampicandosi su quelle rocce che, ben presto, lo videro affermarsi come una grande promessa dell'alpinis
  FRANCO VOLPI, GALANTUOMO DEL PALCOSCENICO    Elegante, misurato, discreto. Franco Volpi è stato - in volto ed abiti - l'immagine di quello spettacolo raffinato che, fin dagli anni '30, lo aveva visto emergere per bravura e presenza. Alto, bello, signorile nei modi, Volpi si appassionò giovanissimo alla recitazione, frequentando l'Accademia dei Filodrammatici di Milano - dove nacque l'11 luglio 1921. Esordì in palcoscenico non ancora maggiorenne nella compagnia di Renzo Ricci, per poi calcare la scena con attrici del calibro di Sarah Ferrati ed Elsa Merlini.  Dotato di una grande  vis  recitativa, che gli consentiva di passare con disinvoltura dal comico al drammatico, Franco Volpi riuscì ad affermarsi nel Dopoguerra sia come attore tragico che "brillante". Fece parte della compagnia comica "Za-bum" di Mattòli, recitando con la Magnani, ma fu anche in compagnia con Andreina Pagnani e Ruggero Ruggeri in ruoli di spessore differente. Importantissimo,
 ALBERTO TALEGALLI: IL TALENTO DELLA SEMPLICITÀ   Interpretava quello che nell' Urbe si sarebbe definito un " burino ". Ma in un senso molto più nobile del termine, ancora oggi utilizzato in maniera fortemente spregiativa. Tale "maschera" artistica, tuttora frequente al cinema come nelle superstiti (e non eguagliabili ai tempi d'oro) forme di cabaret , sta ad indicare soprattutto una persona che si esprime in maniera volgare, con l'utilizzo del turpiloquio, annessi e connessi. Alberto Talegalli, invece, da questo punto di vista era un "signore".  Il suo " burino ", l'uomo di provincia goffo e bonario venuto dalla campagna in città con la speranza di migliorarsi, era fedele alle origini di quel termine che designava solitamente persone di modesta estrazione e cultura, provenienti soprattutto da zone rurali. Talegalli era umbro, di Spoleto, dove nacque il 2 ottobre 1913. Era figlio di brava gente, onesti artigiani, e lui stesso ave
 VITTORIO, IL SIGNOR D. Un Signor attore, un Signor regista, un Signor uomo. Da qualunque angolazione lo si guardi o lo si consideri, il comune denominatore della caleidoscopica personalità di Vittorio De Sica è sempre il suo essere Signore. Con la esse rigorosamente maiuscola. Grande come la sua brillantezza d'interprete, come il suo estro di cineasta attento osservatore della realtà, come la sua figura. Elegante, distinta, unita ad un portamento che ha sempre affascinato tutti, ovunque apparisse: in una pellicola cinematografica quale attore, su un set da regista o nelle sue apparizioni televisive ("Studio Uno", "Canzonissima"), con tutto il suo savoir faire e la sua allegria. Un Signore che amava definirsi - sembra strano a dirlo - " 'nu cafone 'e fora ", quando raccontava delle sue origini. Molti, infatti, lo consideravano napoletano. Il padre Umberto, impiegato di banca, e sua madre, Teresa Manfredi, lo erano, come tutta la sua famiglia.
 ANTONELLA LUALDI, NOVANT'ANNI CON SEMPLICITA'   È stata una ragazza bellissima ed è ancora una donna bellissima. Perché se è vero che Antonella Lualdi compie novant'anni, è anche vero che la sua grazia e il suo fascino non sono stati intaccati dall'età. Qualche ruga in più non ha di certo leso l'immagine che di lei il pubblico conserva da più di mezzo secolo. Quello di una fanciulla piena di talento e d'umiltà, custodita preziosamente fino ad oggi. Antonella Lualdi è stata una grande attrice, una di quelle dalla recitazione "naturale". Tutto cominciò per caso. Lei proveniva da una famiglia borghese. Il padre era un ingegnere italiano, impegnato in un cantiere in Libano, a Beirut, quando lei nacque - il 6 luglio 1931. La madre invece era greca. E le sue radici elleniche spiccano nel suo volto dai lineamenti sottili e nei suoi occhi grandi e languidi. Fu proprio una fotografia, capitata nelle mani del produttore Dino De Laurentis grazie ad un'amica
 LOUIS ARMSTRONG, IL "SOFFIO MAGICO" DI UNA TROMBA PRODIGIOSA Mezzo secolo senza di lui. Mezzo secolo senza la sua tromba, in cui soffiava tutta la sua anima, arrotondando le guance scure sotto gli occhioni grandi e neri. Mezzo secolo senza il suo sorriso, bianco come coloro che si appassionarono alla sua musica senza pregiudizi razziali. Louis Armstrong era nipote di schiavi africani. Era nato in una famiglia povera, a New Orleans - il 4 agosto 1901 -, e aveva avuto un'infanzia difficile, trascorsa tra la strada e il riformatorio, dopo che il padre abbandonò la famiglia. Ma proprio in quelle strade si appassionò a quella musica così coinvolgente e ritmica, il jazz ,  soffiando nella cornetta (strumento simile alla tromba) come aveva imparato nei suoi soggiorni nella casa di correzione della città. Così Louis cominciò a suonare con alcuni amici, anche nelle bande che accompagnavano i tradizionali funerali di New Orleans fin quando, nei primi anni '20, venne chiamato d
 CIAO, RAFFAELLA!  "Cuore, batticuore". Anche noi questa sera vorremmo "tornare indietro con il tempo". Proprio come cantava lei. Solo che a noi non è sembrato di sentire nessun "Rumore". Se n'è andata alla chetichella, Raffaella Carrà. Proprio lei, regina della scena televisiva, sempre in primo piano, è volata via in silenzio, lasciandoci tutti sbigottiti. Eravamo abituati ad averla vicina, nelle nostre case, su quel video dove, alla fine degli anni '60, arrivò portando tutta la sua bellezza e la sua energia, divenendo ben presto una "signora" della Tv. Ma i primi stacchetti aveva iniziato a provarli nella gelateria della sua nonna, sulla riviera adriatica, a Bellaria, nel riminese, il suo paese - anche se nacque a Bologna, il 18 giugno 1943. Raffaella Pelloni, capì fin da bambina che la sua strada era lo spettacolo, e infatti non aveva neanche dieci anni quando comparve in un film ("Tormento del passato") di un grande regista
 GERONIMO MEYNIER, UN RAGAZZO PERBENE   Ne avrebbe compiuti ottanta oggi, se solo fosse ancora qui con noi. Sarebbe apparso quanto meno strano, visto che per il suo pubblico è rimasto per sempre il giovanotto rubacuori e onesto dell'Italia degli anni '50. Però Geronimo Meynier era cresciuto, costruendosi una vita matura lontano dai riflettori, quasi nell'anonimato. Una vita a cui ha posto fine questo maledetto virus, che se lo è portato via lo scorso 23 gennaio. L'ho scoperto per caso, non molti mesi fa, e ci sono rimasto male.  Non meritava di andarsene così, senza i dovuti saluti di congedo. Perché Geronimo Meynier ha fatto parte di quella schiera di giovani e giovanissimi attori dello straordinario firmamento cinematografico nazionale del secolo scorso.  Molti sono morti prematuramente (Raf Mattioli), altri hanno avuto una carriera brillante conclusasi miseramente (Renato Salvatori e Maurizio Arena). Altri ancora hanno avuto il privilegio di crescere su un set e rima