Passa ai contenuti principali

 VITTORIO, IL SIGNOR D.


Un Signor attore, un Signor regista, un Signor uomo. Da qualunque angolazione lo si guardi o lo si consideri, il comune denominatore della caleidoscopica personalità di Vittorio De Sica è sempre il suo essere Signore. Con la esse rigorosamente maiuscola. Grande come la sua brillantezza d'interprete, come il suo estro di cineasta attento osservatore della realtà, come la sua figura. Elegante, distinta, unita ad un portamento che ha sempre affascinato tutti, ovunque apparisse: in una pellicola cinematografica quale attore, su un set da regista o nelle sue apparizioni televisive ("Studio Uno", "Canzonissima"), con tutto il suo savoir faire e la sua allegria.



Un Signore che amava definirsi - sembra strano a dirlo - " 'nu cafone 'e fora", quando raccontava delle sue origini. Molti, infatti, lo consideravano napoletano. Il padre Umberto, impiegato di banca, e sua madre, Teresa Manfredi, lo erano, come tutta la sua famiglia. Vittorio De Sica, tuttavia, era nato a Sora, in Ciociaria, il 7 luglio 1901. In quelle stesse terre dove, più di cinquant'anni dopo, girò una delle sue pellicole più celebri, "La ciociara", tratta dal romanzo di Moravia, sceneggiata insieme all'amico Zavattini (coautore di gran parte delle sue pellicole) e magistralmente interpretata da Sophia Loren, la sua Musa.



Vittorio De Sica con Cesare Zavattini, suo sceneggiatore di fiducia.


Per questo si definiva un "cafone", poiché non era nato a Napoli ma si sentiva fortemente legato a quella città dove, dopotutto, trascorse gran parte dell'infanzia. E proprio lì, nella culla della cultura italiana, Vittorio De Sica scrisse le più belle pagine del cinema italiano degli anni '50 e '60: "L'oro di Napoli", "Ieri, oggi, domani", "Matrimonio all'Italiana". Tra Mastroianni e la Loren, e con Totò in un indimenticabile "pazzariello".


DE SICA SUL SET. In alto, con Lamberto Maggiorani e il piccolo Enzo Staiola ("Ladri di biciclette").
In basso, con Raf Vallone e Sophia Loren ("La ciociara").


Il cineasta De Sica, però, nacque qualche anno prima, divenendo - insieme a Giuseppe De Santis e Roberto Rossellini - il "padre" del neorealismo. Gli "attori presi dalla strada", come Lamberto Maggiorani, protagonista di "Ladri di biciclette" (1948), oppure un giovanissimo Franco Interlenghi, celebre "Sciuscià" (1946), gli consentirono di ritrarre un'affresco preciso dell'Italia post-bellica. Tra malinconia e realismo, tra speranze, illusioni e follie. Come quella di "Umberto D.", l'impiegato settantenne (ispirato alla figura di suo padre) deciso a suicidarsi perché stanco di vivere.


In alto, Vittorio De Sica con Assia Noris ne "Il signor Max" (1937) di Mario Camerini.
In basso, con Alberto Sordi ne "Il conte Max" (1957) di Giorgio Bianchi.


E come non citare "La porta del cielo", il film girato nella Basilica di San Paolo fuori le mura, nel pieno dei bombardamenti, salvando dalla deportazione numerosi ebrei e antifascisti impiegati come comparse e tecnici. Un Signore, lo dicevamo.  Ma se Vittorio De Sica è stato un grande regista, lo si deve al fatto che era prima di tutto un grande attore. La sua carriera infatti cominciò sul palcoscenico. Prima nella compagnia di Tatiana Pavlova, poi in quella di Tofano e Almirante, per passare successivamente alla compagnia comica "Za-Bum" di Mario Mattòli, dove mise in luce tutta la sua verve d'interprete brillante.


DALLA COMMEDIA AL DRAMMA. In alto, De Sica con Franca Valeri ne "Il segno di Venere" (1955) di Dino Risi.
In basso, con Hannes Messemer ne "Il generale Della Rovere" (1959) di Roberto Rossellini.


Ma fu col cinema dei "telefoni bianchi" e della commedia borghese che Vittorio De Sica divenne un gentiluomo del grande schermo. Diretto da Mario Camerini diede grande prova di sé in pellicole come "Gli uomini, che mascalzoni..." (1932), "I grandi magazzini" (1939) e soprattutto "Il signor Max"(1937). Un Signore, appunto, come i tanti portati sul grande schermo. Imbroglioni, millantatori pieni di charme, avvocati dalla parlantina sciolta. Nobili spiantati e scrocconi (si pensi a "Il conte Max" di Bianchi, accanto a Sordi) o perduti nel vizio del gioco (il conte Prospero de "L'oro di Napoli").


TRA LOLLO E LOREN. In alto, De Sica con Gina Lollobrigida in "Pane, amore e gelosia" (1954) di Luigi Comencini.
In basso, con Sophia Loren in "Pane, amore e..." (1955) di Dino Risi.


Un richiamo alla sua dannata passione per il tavolo verde che gli causò non pochi problemi. Personaggi, tuttavia, entrati nella storia e amatissimi, come il maresciallo Carotenuto, perduto tra Lollo e Loren, nella trilogia diretta da Comencini e Risi.

Ma Vittorio De Sica era interprete a tutto tondo e anche da attore drammatico seppe dar prova del suo talento. Si pensi a "Il generale Della Rovere" (1959), diretto dall'amico Rossellini, in cui interpretava un truffatore, donnaiolo, gretto e meschino, che riscopre la propria dignità morendo (ingiustamente) per la Patria, rinunciando a fare la spia per i tedeschi.


SOPHIA, LA MUSA. In alto, Sophia Loren e Giacomo Furia ne "L'oro di Napoli" (1954).
In basso, Sophia Loren con Marcello Mastroianni in "Matrimonio all'italiana" (1964).


Un Signore, ancora una volta. Un Signore dalle mille sfaccettature. Un Signore anche galante, perché si sa: Vittorio De Sica amò tanto. Prima ci fu Giuditta Rissone, sua compagna sul palcoscenico negli anni '30, dalla quale ebbe la figlia Emi, morta pochi mesi fa. Poi l'attrice spagnola María Mercader , che fu al suo fianco fino alla fine, dentro e fuori dal set, dalla quale ebbe due figli, Manuel (morto qualche anno fa) e Christian.

Due grandi amori, due famiglie vissute in parallelo per anni. Forse per paura, o forse un po' per esigenze di "facciata". Una cosa probabilmente poco signorile però diciamolo: bastava un suo sorriso per perdonargli anche queste piccole défaillance

D'altra parte, molti dei suoi personaggi in scena erano un po' come lui: fanfaroni galanti, imbroglioni ma buoni, di una simpatia travolgente, a cui tuttavia si perdonava sempre tutto.

Ed è per questo che, dopo la sua scomparsa - avvenuta il 13 novembre 1974, a Parigi -, i suoi difetti, i suoi vizi (che causarono molti problemi, soprattutto economici, ai suoi familiari) si dissolsero d'un tratto, per lasciar spazio al suo ricordo d'attore, di regista e di uomo, il cui vuoto è ancora oggi incolmabile. Però, in fondo, ci ha lasciato tanto. Le sue pellicole da Oscar, le sue interpretazioni di livello anche in film di modesta fattura. Dove è possibile ancora - a centoventi anni dalla sua nascita - ammirarlo in tutta la sua bravura e in tutta la sua eleganza da gran Signore quale è stato e resterà, per sempre.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...