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Visualizzazione dei post da marzo, 2024
  C'È UN TEMPO CHE CI ATTENDE: BUONA PASQUA! Trascorriamo la nostra vita in preda al tempo. Non facciamo altro che pianificare, organizzare, ma anche procrastinare come se ci fosse sempre un domani. Seneca diceva che ci lamentiamo di aver sempre poco tempo ma in realtà la maggior parte lo sprechiamo. Tutto giustissimo, ma il punto è: dove vogliamo arrivare? Perché tutta questa fretta? È il mondo d’oggi che va così, è vero, non dipende neanche da noi (o forse sì?), ma di sicuro tutto questo comporta una fisiologica diminuzione della nostra capacità di comprensione di noi stessi e degli altri. Non si fa in tempo a concentrarsi su una qualsiasi cosa (che sia un libro, un film, un progetto di vita o la persona che ci sta accanto e che ci chiede un qualunque consiglio) che subito qualcos’altro subentra e manda in malora tutti i nostri piani destabilizzandoci.  Ebbene, credo che la Settimana Santa, uno dei momenti più importanti per chi si professa cristiano, rappresenti il “ carpe diem
 AUGURONI, MAURIZIO!  Gli occhiali tondi, a specchio, una nuvola di capelli bianchi raccolti in un codino, una chitarra in grembo, un microfono davanti alla bocca e pochi, indimenticabili versi: " seduto in quel caffè, io non pensavo a te ". Ma di " 29 settembre ", per il caro Maurizio Vandelli ne sono trascorsi molti, se si contano anche quelli precedenti al successo di quel brano che Battisti, nel 1967, propose a lui e ai suoi Equipe 84, consegnandoli per sempre alla storia musicale italiana.  " Tutta mia la città ", " Bang Bang" , " Un angelo blu ", " Io ho in mente te " sono solo alcuni dei successi più celebri che Maurizio Vandelli ha fatto propri, in un tempo in cui il mondo correva a "45 giri" e i complessi (le band , allora, si chiamavano così) si contendevano il palco del Festival di Sanremo o del Cantagiro, proprio come Vandelli col suo rivale di sempre, il britannico Shel Shapiro e i suoi Rokes. Un tempo l
 ANDREA CHECCHI, ESEMPI DI "VITE"    Il suo sguardo, un po' malinconico, è forse uno dei più intensi ed espressivi che il cinema italiano abbia mai avuto. Nonostante questo, non c'è immagine meno limpida, meno sfocata di quella di Andrea Checchi. Un attore dalle indubbie qualità, dalla recitazione solida, dalla carriera lunga e variegata. Un uomo di grande presenza e fascino, con una voce indimenticabile. Un artista vero, se si considera anche la sua prima, antica ed eterna passione: la pittura. Dall'Accademia delle belle arti della sua Firenze - città in cui nacque il 21 ottobre 1916 - Andrea Checchi uscì con un diploma e la certezza che i suoi dipinti gli avrebbero tenuto compagnia per sempre.  Poi, però, la grande decisione di portare avanti un altro sogno: la recitazione. Il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, l'incontro con Blasetti e l'inizio di una carriera che, da attor giovane, lo vide brillare in drammi storici e rievocativi, come &quo
 LILLA BRIGNONE, LA “PRIMA DONNA” DEL TEATRO ITALIANO Nacque in scena, morì in scena. Possiamo affermarlo con certezza. Perché non passò molto tempo dalla sua ultima, grande esibizione - “Così è (se vi pare)” di Pirandello per la regia di Sepe -, al momento in cui Lilla Brignone se ne andò quarant'anni fa, il 24 marzo 1984, lasciando che il sipario calasse su quel mondo magico, affascinante, illusoriamente reale e realmente illusorio che lei aveva contribuito a rendere tale: il palcoscenico. Ma la futura attrice, le scene, le aveva frequentate fin da giovanissima. Classe 1913, romana, figlia d’arte, Adelaide Brignone aveva nel sangue l’arte della recitazione e un amore viscerale nei confronti del teatro. Sulle assi di legno, nella compagnia di Kiki Palmer, esordì ventenne e quasi in contemporanea vi fu il suo debutto sul grande schermo, in “Teresa Confalonieri” per la regia del padre, Guido. Ma il cinema, in lunghi anni di carriera, rappresentò soltanto una gradevole parentesi, qua
 GIULIETTA MASINA: UN AMORE GRANDE Aveva il cancro, è vero. Ma è anche vero che la perdita del suo grande amore era ancora più dolorosa di quel male che da tempo la stava consumando. Giulietta Masina se ne andò trent'anni fa, il 23 marzo 1994, appena pochi mesi dopo la morte del suo amato Federico, Federico Fellini.  Cinquant'anni di matrimonio, di lavoro, di vita vissuta insieme, l'uno per l'altra. Lei bazzicava i teatrini romani e la prosa radiofonica. Lui era uno squattrinato vignettista che sognava il cinema. "Galeotti" furono gli studi dell'EIAR e quell'unione forte, profonda, contro ogni intromissione esterna - se si considerano le frequenti e dichiarate liason amorose di lui - non conobbe ostacolo alcuno. Giulietta Masina, tra i due, era quella risoluta, con i piedi per terra, per quanto dolce e sognatrice, ma forse la persona più adatta ad interpretare i "pensieri" di Federico. La sua Cabiria, così autentica, così vera, così sopra le
 ILARIA ALPI, UNA RAGAZZA CHE AMAVA RACCONTARE Era una ragazzina, Ilaria, quando decise che da grande avrebbe fatto la giornalista. Andava a scuola, le diedero un microfono in mano, e lei andava in giro per il suo quartiere, a Roma, a far domande. Le piaceva ascoltare la gente, le piaceva scrivere, raccontare ciò che accadeva intorno. Forse, anche per questo, decise di studiare lingue, perfino l'arabo, per poter meglio capire anche chi non si esprimeva nella sua lingua.  È stata questa sua passione, sincera, autentica, a portare Ilaria Alpi nel posto sbagliato, o forse nel posto giusto. Perché sì, Ilaria Alpi non faceva nulla di male, lì a Mogadiscio, in Somalia. La guerra civile, la missione di pace dell'ONU " Restor Hope ", soldati in ritirata. Il TG3, che l'aveva accolta nella sua famiglia da appena due anni, dopo una precedente esperienza come inviata per "Paese Sera" e "L'Unità", l'aveva mandata lì per raccontare ciò che stava succ
 RENATO SALVATORI, "POVERO" DIMENTICATO Dalla Versilia a Roma, dalla fama della "dolce vita" all'oblio. Ancora oggi, sul volto di Renato Salvatori è calato un velo. Quello dell'ingratitudine e della dimenticanza. Avrebbe compiuto novant'anni - nacque a Seravezza, in provincia di Lucca, il 20 marzo 1934 -, ma per la maggior parte del pubblico sarebbe rimasto ancora il fascinoso "bulletto" di Piazza Navona, perduto dietro le "curve" di Marisa Allasio, contesa con l'amico fraterno Maurizio Arena. Grazie a Dino Risi e alla trilogia di "Poveri ma belli", Renato Salvatori raggiunse la popolarità nazionale nei panni di un ragazzotto romano in apparenza "spaccone" ma in realtà profondamente ingenuo e di cuore.  Nei panni di bagnino del " Ciriola ", lo stabilimento galleggiante sul Tevere ormeggiato all'ombra di Ponte Sant'Angelo, Salvatori rivisse se stesso quando era soltanto Giuseppe (questo il suo
 IL SACRIFICIO DI DON PEPPE: GERMOGLI DI FEDE E CORAGGIO " Non c'è bisogno di essere eroi ". Don Peppe lo ripeteva, sempre. Non c'è bisogno di essere eroi per avere coraggio. Il coraggio di liberarsi, il coraggio di lottare, di scegliere, di denunciare. Don Peppe era nato a Casal di Principe, ne conosceva la gente, le sue paure e le sue debolezze. Ma conosceva anche la sua forza, quella della fede, in grado di dare un po' di coraggio anche a chi non ce l'ha.  Don Peppe Diana, dopo il seminario, gli studi teologici e l'ordinazione sacerdotale, era tornato lì, nel suo paese, nella parrocchia di San Nicola, per portare a compimento la sua missione. Portare in giro la parola di Cristo, trasmettere il suo messaggio di speranza, di ribellione dialettica al male. Perché sì, il male, tra gli anni '80 e '90, aveva completamente immobilizzato quel paese fatto di tanta gene perbene, oppressa dalla Camorra e da pericolose collusioni tra questa e la politica. D
 LUISA FERIDA, LA VENERE SACRIFICALE Un sorriso bellissimo. Un sorriso da diva. La diva maliarda che rapì tutti con la sua avvenenza e il carattere indomito. Luisa Ferida aveva fatto del suo corpo un simulacro e di Cinecittà il suo tempio. Ma, ironia del destino, da venerabile dea a vittima sacrificale, il passo fu breve. Nata alle porte di Bologna centodieci anni fa - il 18 marzo 1914 -, figlia di famiglia benestante, Luisa Manfrini Farnet, in arte Ferida, rivendicò fin da giovane la sua indole ribelle e anticonformista. Lasciò la famiglia  e il collegio e si trasferì a Milano decisa a fare l'attrice.  Cominciò in teatro, con Ruggero Ruggeri e Paola Borboni, emergendo subito non solo per la sua avvenenza ma anche per il talento, tanto talento. Ben presto, arrivò anche il cinema. Iniziò con piccole parti, ma Luisa Ferida era bella, era brava, e sapeva farsi notare. Correvano gli anni '30, il Regime era ormai consolidato, Cinecittà stava per essere inaugurata e la dea Ferida era
FRANCO BASAGLIA, LA SANITÀ DEI FOLLI E LA FOLLIA DEI SANI “ La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. ” Fu questa la sua missione: fare in modo che la follia venisse socialmente accettata, come una componente “naturale” dell’essere umano. Una componente da tenere sotto controllo, naturalmente, ma per permettere a quella persona di sentirsi uguale agli altri.  Franco Basaglia avrebbe compiuto cento anni - nasceva, a Venezia, l’11 marzo 1924 - ma è passato un secolo anche dai tempi in cui se si era anche semplicemente inclini alla tristezza e poi improvvisamente allegri (il cosiddetto “disturbo bipolare”) si finiva in manicomio. Un ospedale in cui, in teoria, si sarebbero dovute ricevere cure e dove invece il “pazzo” veniva di fatto rinchiuso e abbandonato a se stesso. Franco Basaglia, laureato in medicina e specializzato in malattie ne
 LUNGA VITA AL “MARINO”! Care lettrici e cari lettori, in un turbinio emozionale di articoli da scrivere, impegni da onorare (esterni al web) e pensieri da “sopportare” e “supportare”, esattamente una settimana fa ho dimenticato di celebrare una ricorrenza troppo importante per me. Era infatti il 3 marzo di sei anni fa il giorno in cui inaugurai questo blog con un pensiero personale, senza immaginare lontanamente dove mi avrebbe portato. E sinceramente non so ancora dove mi condurrà e se potrò dire, un giorno, che sia valso a qualche cosa.  Di sicuro mi ha portato ad approfondire e raccontare fatti storici, a parlare dei miei film del cuore (ma a narrarveli tutti ancora non ci sono arrivato), dei miei “eroi” del cinema, della letteratura, della storia, della musica, nazionale e non. Ma soprattutto mi ha fatto capire quanto sia importante per me scrivere. Un bisogno profondo che nel lontano (per me è passato remoto) 2018 mi spinse ad aprire uno spazio virtuale in cui esprimere me stesso
  BUON COMPLEANNO, PAOLA! Dolcezza. È la prima parola che a me viene in mente pensando a lei. Certo, se la ricordiamo nella fiction Rai “Don Matteo”, nelle vesti dell’eccentrica madre snob del sindaco (Milena Miconi), suocera del burbero capitano Anceschi (Flavio Insinna), forse l’aggettivo più appropriato sarebbe “simpatica” non di certo dolce.  Eppure, il suo visino candido, ornato da biondi capelli e illuminato da due occhioni sorridenti, è sempre lo stesso. Quello di una bambina che esordì a cinque anni sul grande schermo, dove ha praticamente trascorso gran parte degli ottanta anni che oggi festeggia. Paola Quattrini è rimasta sempre fedele a se stessa. Riservata, a tratti timida, ma in grado di dominare la scena: da adolescente inquieta a donna matura e attrice affermata. Al cinema ha lavorato con i più grandi. In teatro è passata da Goldoni e Shakespeare al repertorio brillante con naturalezza, senza mai dar cenno di insicurezza. Affrontando il registro comico e quello drammatic
  BUKOWSKI, IL POETA MALEDETTO CHE CERCAVA LA FELICITÀ Il volto coperto dal fumo delle sigarette, un bicchiere sempre pieno d’alcol, il tormento di una vita consumata tra amori fugaci e dissidi interiori, messi su carta e resi piccoli capolavori, Charles Bukowski se ne andava trent’anni fa, il 9 marzo 1994, colpito dalla leucemia. Ma la sua agonia, forse, cominciò fin dai primi anni di vita.  Ragazzo ribelle, in perenne lite col padre, studente capace ma svogliato, amante della scrittura, animo in perenne burrasca e alla ricerca della felicità. Quella di chi non si accontenta, ma sfrutta ogni situazione a suo vantaggio. “Post Office”, il suo romanzo d’esordio, fu ispirato dalla sua esperienza come postino a Los Angeles, impiego che sopportò a fatica per dieci anni pur di campare, prima di lanciarsi nel mondo della scrittura. Romanzi, racconti, poesie piene di interrogativi, di un linguaggio spesso duro ma sempre vivo di emozioni. Al link seguente troverete un bell’articolo che gli dedi
 “IL WALTER” È QUI! Un uomo come lui, così amante della donna, non poteva non nascere l’8 marzo, un secolo fa esatto. Forse un segno del destino? Può darsi. Di sicuro Walter Chiari, di donne, se ne intendeva molto. Sul set, come nella vita privata. Ha amato tanto ed è stato amato, ma probabilmente non abbastanza.  Perché “Il Walter”, il parolaio per antonomasia, quello degli ironici monologhi di “Canzonissima” e “Studio Uno”, il comico dalle braccia lunghe e dal ciuffo ribelle, che calamitava davanti al video milioni di telespettatori, era un’anima candida, fragile come poche. L’uomo innamorato di Lucia Bosè, il seduttore che fece capitolare una diva come Ava Gardner (ma fu solo una delle tante), il marito di Alida Chelli (che gli regalò un figlio), e il compagno di scena di tante bellissime, da Valeria Fabrizi (sua amica d’infanzia) a Sylva Koscina, Anna Maria Ferrero e Isa Barzizza, tra commedie farsesche e sentimentali, era solo apparentemente spavaldo e sicuro di sé. La maschera de
 ALBERTO RABAGLIATI, L’UOMO DELLO SWING Sono trascorsi cinquant’anni dalla sua scomparsa, eppure, riascoltando la sua voce, vellutata, ritmata, molto “ swing ” si ritorna dolcemente indietro, in un’epoca lontana dove qualche nota rendeva bella la vita anche nel bel mezzo della guerra, come ricordava il titolo di un film con lui protagonista, diretto da Bragaglia nel 1943. Alberto Rabagliati, colui che “quando cantava” - per fare il verso a una sua canzone - le donne palpitavano d’amore. Colui che aveva provato a diventare “l’erede” di Rodolfo Valentino, vincendo un concorso della casa di produzione Fox, fallendo miseramente sulla collina di Hollywood.  Ma da quell’altura, porgendo l’orecchio, Rabagliati ascoltò il jazz , lo swing  e tornò in Italia con un bagaglio musicale da mettere al servizio del Paese che allora, tra gli anni ’30 e ’40, era in mano ai fascisti che vietavano la musica straniera. Ma Rabagliati era Rabagliati: grande, grosso, elegante, dal sorriso largo e rassicurant
GIANNI AGUS, UN ATTORE DALLE “SPALLE” LARGHE  Sorriso smagliante, abiti sobri e gesticolare sicuro. Le “ physique du rôle ” perfetto per interpretare l’uomo di potere, sicuro di sé, un po’ prevaricatore, dalla collera facile. Gianni Agus è stato molto più di questo, diciamolo subito. Tuttavia se - come spero - la sua immagine è ancora viva nella mente dei più, sono convinto che tutti lo ricorderanno così: ad interpretare capiufficio boriosi, gerarchi fascisti, psicologi folli, impiegati inflessibili e tutto ciò che si sposava bene col suo volto dalla fronte spaziosa, sinonimo di intelligenza.  Come dimenticarlo nei panni del direttore di Giandomenico Fracchia, umiliato e offeso per la sua inettitudine con sfuriate e urla incredibilmente “vere” che facevano seguito a larghi sorrisi, bianchi come le immacolate camicie tipiche di chi occupa posti di rilievo. Passando dalla Tv al cinema (“Fracchia la belva umana” di Neri Parenti), Paolo Villaggio trovò in Agus l’ alter ego  ideale, consegn
VITTORIO METZ, L’IRONIA DELLA PAROLA “ Quanto è forte la morte! Non ho argomenti sufficienti per controbatterla! ”. Sembrerebbe la battuta di una farsa e invece è una frase reale. Con queste parole, infatti, Vittorio Metz, tra i più grandi, ironici e leggendari umoristi italiani, si congedava dalla vita quarant’anni fa, il 4 marzo 1984, come raccontarono le sue figlie. Questa frase, comicamente geniale e incline all’ironica rassegnazione, non poteva che fuoriuscire dalla bocca e dalla mente di chi ha fatto ridere per decenni, passando dalle riviste umoristiche alla commedia farsesca e alla televisione.  Classe 1904, romano, Vittorio Metz iniziò la sua carriera come umorista: dal “Corriere dei Piccoli” alla "Tribuna illustrata" fino al leggendario “Marc’Aurelio” passando per il “Bertoldo”, rivista che contribuì a fondare. Ma proprio al “Marc’Aurelio”, fucina di “penne” come Steno, Zavattini, Age & Scarpelli e Fellini, Metz incontrò l’altra metà della mela: Marcello Marches