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 LUISA FERIDA, LA VENERE SACRIFICALE


Un sorriso bellissimo. Un sorriso da diva. La diva maliarda che rapì tutti con la sua avvenenza e il carattere indomito. Luisa Ferida aveva fatto del suo corpo un simulacro e di Cinecittà il suo tempio. Ma, ironia del destino, da venerabile dea a vittima sacrificale, il passo fu breve. Nata alle porte di Bologna centodieci anni fa - il 18 marzo 1914 -, figlia di famiglia benestante, Luisa Manfrini Farnet, in arte Ferida, rivendicò fin da giovane la sua indole ribelle e anticonformista. Lasciò la famiglia  e il collegio e si trasferì a Milano decisa a fare l'attrice. 



Cominciò in teatro, con Ruggero Ruggeri e Paola Borboni, emergendo subito non solo per la sua avvenenza ma anche per il talento, tanto talento. Ben presto, arrivò anche il cinema. Iniziò con piccole parti, ma Luisa Ferida era bella, era brava, e sapeva farsi notare. Correvano gli anni '30, il Regime era ormai consolidato, Cinecittà stava per essere inaugurata e la dea Ferida era pronta a fare il suo ingresso nel suo tempio. Alessandro Blasetti, il "regista con gli stivali", uno dei pochi a lavorare durante il fascismo, fece di lei una star. Accanto ad Amedeo Nazzari, partecipò a numerosi film ("La fossa degli angeli", "La bella addormentata", "Fedora"), in particolar modo a due grandi capolavori in costume ancora oggi celebri e diretti proprio da Blasetti: "La cena delle beffe" e "La corona di ferro". 

                                  

In alto, Luisa Ferida con Elisa Cegani ne "La cena delle beffe" (1941) di Alessandro Blasetti.
In basso, con Amedeo Nazzari in "Fedora" (1942) di Camillo Mastrocinque.



Con "Fari nella nebbia" di Fraciolini, accanto a Fosco Giachetti, vinse anche un premio come migliore attrice italiana. Luisa Ferida era amata, venerata, apprezzata. E non solo dal pubblico, anche dal suo uomo: Osvaldo Valenti. I due si conobbero sul set del primo film in cui lei recitò per Blasetti, "Un'avventura per Salvator Rosa", innamorandosi perdutamente. 


Luisa Ferida con Fosco Giachetti in "Fari nella nebbia" (1942) di Gianni Franciolini.


Da quel momento, la vita di Luisa Ferida si fuse con quella di Osvaldo Valenti, dividendo con lui tutto, dentro e fuori la scena. Ma il destino, oltre ad essere beffardo con lei, fu anche crudele. Era il 1943: la guerra era ormai perduta per l'Italia, la stabilità del Regime anche. Nel frattempo, l'arresto del Duce, poi l'8 settembre, l'Italia divisa in due. A Nord i nazifascisti, a Sud gli alleati. Bisognava fare una scelta. Osvaldo Valenti si arruolò nella X Flottiglia Mas e aderì alla Repubblica Sociale Italiana, trasferendosi al Nord. Per Luisa Ferida non erano stati mesi facili. Aspettava un figlio, era felice, ma un giorno di febbraio, mentre era a passeggio per Bologna insieme alla madre, ebbe un aborto spontaneo. Il dolore fu grande. Chissà, forse la scelta di seguire Valenti al Nord, a Milano, era proprio il desiderio di ricominciare una vita insieme altrove. Ma le sue speranze furono deluse.


Luisa Ferida con Osvaldo Valenti ne "La bella addormentata" (1942) di Luigi Chiarini.

La situazione precipitava sempre di più. Nel giro di due, duri e lunghi anni, la guerra si ribaltò a favore degli Alleati, che risalirono lungo lo stivale, aiutati dai gruppi partigiani, costringendo tedeschi e fascisti ad arrendersi. Osvaldo Valenti, nel frattempo, era entrato in contatto con la banda Kock, che adescava i partigiani e li torturava nelle stanze di Villa Trieste, a Milano. Luisa Ferida, però, con tutto questo non c'entrava nulla. Lei era una dea, una donna sensuale e maliarda - ma in realtà molto fragile -, un'attrice, niente di più. Arrivò il 25 aprile, la Liberazione, ma per Luisa Ferida il tempo di pensare al futuro durò soltanto cinque giorni. Accusati di collaborazionismo, di essere membri della banda Koch, di aver partecipato agli interrogatori di Villa Trieste e di aver trucidato compagni, Luisa Ferida e Osvaldo Valenti furono fucilati dai partigiani della brigata Pasubio, a Milano, il 30 aprile 1945. Con lei, quel giorno, morì anche il bambino che portava in grembo, il secondo. Perché? Perché accanirsi così contro una donna innocente e il suo bambino? Perché Luisa Ferida, con quelle accuse, non c'entrava nulla. Ad appurarlo furono le indagini dei carabinieri che, negli anni '50, condussero un'inchiesta su ordine del Ministero del Tesoro, perché la madre di Luisa Ferida aveva fatto richiesta per una pensione di guerra - essendo la figlia, ormai defunta, la sua unica fonte di mantenimento. Ma cosa importava, ormai. Luisa Ferida non c'era più. Sul suo corpo innocente, custode di due vite, la sua e quella del suo bambino, si scatenarono l'odio, la rabbia e la brutalità di un tempo oscuro, dove nulla, tranne il cinema - per quanto "vigilato" e opportunamente edulcorato -, regalava momenti di spensieratezza e sincera emozione. Anche grazie al sorriso di Luisa Ferida, che con la sua grazia venerea e i suoi occhi lucenti, in quelle pellicole dal sapore antico, continua ancora a raccontare la sua triste e amara vicenda.

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