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Visualizzazione dei post da aprile, 2020
SIR ALFRED HITCHCOCK: IL MAESTRO DEL BRIVIDO “C'è qualcosa di più importante della logica: l'immaginazione. Se si pensa subito alla logica, non si può immaginare più niente". Pensandoci, in tutti i suoi film - in quelle trame fatte di "sensazioni", "assurdo" ma anche "semplicità" -, di sicuro l'immaginazione ha giocato un ruolo di primo piano. Alfred Hitchcok, infatti, ha "immaginato" scenari spettacolari e semplici, macabri ed ironici, dando vita a pellicole entrate nella storia della cinematografia mondiale. E in effetti la sua stessa figura, analizzata senza il filtro della immaginazione, avrebbe fatto pensare a chiunque tranne che ad un "maestro" del thriller. Distinto nel vestire, alto, grassoccio, pelato e dal volto paffuto, dava più l'idea di un "grigio" impiegato che di una mente eccelsa abile a navigare nei meandri della "metà oscura" del mondo. Complice, probabilmente, la su
FURIO SCARPELLI, " META' " STORICA DEL CINEMA ITALIANO Spesso il successo di una pellicola viene attribuito ai registi e agli attori, ed è anche vero. Ma, in realtà, dietro quei personaggi e quelle storie ci sono loro: gli sceneggiatori. Narratori eccellenti, produttori di fiumi d'inchiostro che hanno raccontato il Paese con intelligenza ed ironia. Tra questi, un posto di rilievo merita Furio Scarpelli, grande sceneggiatore del nostro cinema scomparso esattamente dieci anni fa, il 28 aprile 2010. Il suo nome è indissolubilmente legato a quello di Agenore Incrocci, in arte "Age", col quale diede vita ad un vincente sodalizio che tra gli anni '50 e '80 del secolo scorso fruttò ben centoventi pellicole, collaborando con i più grandi attori e registi del tempo. Appassionato di disegno e scrittura, Scarpelli cominciò la sua carriera a Roma - città in cui nacque il 16 dicembre 1919 -, collaborando come illustratore con diverse riviste, tra cui
"ROMA CITTA' APERTA" E IL RITORNO DELLA "PRIMAVERA": BUON 25 APRILE! "Ma chi ce le farà dimentica' tutte 'ste sofferenze, tutte 'ste ansie, 'ste paure". Parole di sconforto, di dolore misto a rassegnazione. La paura che tutto sia perduto. A pronunciarle è Anna Magnani in un capolavoro del cinema di tutti i tempi che può essere definito come "la prima pietra" del neorealismo. Sto parlando di "Roma città aperta", pellicola nata da un'idea di Sergio Amidei e Alberto Consiglio e magistralmente diretta da Roberto Rossellini.                                                   La sora Pina (Anna Magnani) e don Pietro (Aldo Fabrizi). Il 25 aprile di quest'anno - Festa della Liberazione dal Nazifascismo - è davvero "particolare". Se settantacinque anni fa eravamo finalmente "liberi" di tornare per strada dopo aver sconfitto il nemico, "l'avversario" che oggi ci troviamo a
"RIGGINA" PUPELLA Dire Pupella basta ed avanza per definire chi è stata, indiscutibilmente, la "riggina", la regina del teatro partenopeo. Ma aggiungerci il cognome, Maggio, aiuta a specificare di chi si tratta, e soprattutto a rendere omaggio ad una gloriosa famiglia di artisti che hanno dato lustro ed onore al nostro spettacolo, specialmente i fratelli Dante e Rosalia, attivi come lei anche sul grande schermo. Pupella Maggio, però, rimane la più celebre della famiglia di "figli d'arte". Quella che ha dato il contributo maggiore alla scena napoletana, soprattutto come "musa" di Eduardo in molteplici commedie di successo, prima fra tutte "Natale in casa Cupiello". Con la sua recitazione "colorita" ed intensa, la sua  verve  unica - portata anche al cinema con graziose caratterizzazioni -, Pupella Maggio ha attraversato l'intero "secolo d'oro" del palcoscenico, si può dire dalla nascita -  avvenu
LUIGI UZZO: IL PORTIERE DI BELLAVISTA (E NON SOLO) "Scusi, è lei il portiere?" - "Dipende...". È una risposta lapidaria quella con cui don Armando risponde al dottor Cazzaniga, appena giunto a Napoli dalla sua Milano come capo del personale all'Alfasud. Secondo il tipico modus  partenopeo, o meglio dire meridionale, atto a creare suspense  (e irritazione), il custode dello stabile sito nel centro di Napoli - in cui abita l'esimio professor Bellavista (Luciano De Crescenzo) - si fa tirare le parole di bocca fin quando la "qualifica" di nuovo inquilino venuto dal Nord scioglie la lingua di don Armando che, finalmente, spiega di essere uno dei tre portieri del palazzo, ciascuno con una mansione specifica che giustifica quel "dipende". Protagonisti del duetto, tratto dal cult di Luciano De Crescenzo "Così parlò Bellavista", sono Renato Scarpa, nei panni di Cazzaniga e Luigi Uzzo in quelli di don Armando, colui che, a sentir
LA "DIVINA" MANGANO Bella e brava. Sembrerebbe un complimento banale. Riduttivo nei confronti di un'attrice che ha fatto la storia del nostro cinema. Ma sono convinto che a lei piacerebbe molto essere definita così: semplicemente bella e brava. Perché Silvana Mangano era entrambe le cose, nella sua semplicità di donna e di artista, premiata dal successo ma, in qualche modo, "punita" dalla vita. La sua storia cominciò a Roma, dove nacque - il 21 aprile 1930 - da padre siciliano, ferroviere, e da madre inglese, casalinga. La sua carriera, invece, iniziò a Milano, dove, ancora adolescente, frequentò alcuni corsi di danza sotto la direzione di Jia Ruskaja. Qui, venne notata dal costumista francese Georges Armenkov che la convinse a trasferirsi in Francia per lavorare come indossatrice, il suo primo impiego. Nel frattempo, si affacciò anche al cinema, prendendo parte ad alcuni film come comparsa. Debuttò nel film francese “Le jugement dernier”, diretto da
GIANRICO TEDESCHI "100": GLORIA E ONORE DEL TEATRO ITALIANO  È l'ultimo baluardo di un mondo scomparso. Un mondo di cui è stato protagonista per ben settant'anni della sua vita. Gianrico Tedeschi, immenso "animale da palcoscenico", è stato una "colonna" del teatro italiano fino a solo quattro anni fa, ed oggi, dopo un secolo di vita, porta con sé decenni di spettacoli e personaggi, tra teatro d'autore, rivista ma anche cinema e televisione. Comincio a credere sul serio che basti fare ciò che si desidera, nella vita, per poter vivere bene. Tedeschi ce lo ha dimostrato, abbandonando il palcoscenico a "soli" novantasei anni, al culmine di una carriera iniziata, pensate un po', durante la prigionia. Gianrico Tedeschi, infatti, venne fatto prigioniero dai tedeschi dopo che, dalla sua Milano - dove è nato il 20 aprile 1920 -, partì per il fronte Greco durante la Seconda guerra mondiale. Aveva un diploma magistrale, frequentav
LUCIANO TAJOLI: "L'UGOLA D'ORO" DEL DOPOGUERRA Tanto amata quanto dimenticata è la sua voce. Quella di un'Italia povera, martoriata dalla guerra, che piano piano cercava di tirarsi su, proprio come le note delle sue canzoni: struggenti e appassionate. Il nome di Luciano Tajoli forse non dice molto ai più, eppure, insieme ad altre "voci" come Claudio Villa e Achille Togliani, ha cantato le miserie del Dopoguerra, facendo "risorgere" la speranza di un'umanità che ormai non credeva più di farcela. Proprio come Luciano,  povero ragazzino nato in una casa di ringhiera a Milano - il 17 aprile 1920 -, nel quartiere del Vigentino, dove a dodici anni già lavorava per aiutare la famiglia e con molto sacrificio, visto che era affetto da poliomielite. Lui però, rispetto a tanti altri bambini, aveva un dono: la voce. Calda, appassionata, da tenore leggero, che pensò subito di sfruttare. Cominciò ad esibirsi nelle osterie, per poi passare nei
CIAO LUIS, GRAZIE PER AVERMI "INSEGNATO A VOLARE"!  Vivevo da più di un mese con questa preoccupazione. Da quando, lo scorso 2 marzo, appresi che questo "male"  che ci ha letteralmente messi all'angolo aveva colpito anche lui: Luis Sepúlveda.   Se n'è andato quest'oggi, dopo l'ultima battaglia della sua vita, divisa tra attivismo socio-politico e letteratura. Figlio del Cile - dove nacque il 4 ottobre 1949 - ma cittadino del mondo, aveva lasciato la terra natia alla fine degli anni '70, dopo un'intensa attività politica e la carcerazione sotto il regime di Pinochet. Da allora girò mezzo mondo, spostandosi dall'America Latina all'Europa, fino a stabilirsi in Spagna, dove viveva.  Sepúlveda aveva raggiunto la fama mondiale nel 1989 col suo primo romanzo, "Il vecchio che leggeva romanzi d'amore", a cui ne seguirono molti altri fino a due anni fa, quando uscirono le sue ultime creature: "Vivere per qualcosa&quo
IL "SIGNOR" RAIMONDO VIANELLO  Elegante e distinto. Simpatico e misurato. Quattro aggettivi che bastano da soli a sintetizzare oltre cinquant'anni di carriera di un vero "Grande" del cinema e della televisione italiani.  Sono passati dieci anni dalla scomparsa di Raimondo Vianello ma ancora non riusciamo a capacitarcene. Io per primo, che sono cresciuto con "Casa Vianello", una sit-com che in realtà sembrava semplicemente una candid camera  atta a "filmare" ogni istante della sua vita coniugale con la sua amata Sandra Mondaini. Col passare degli anni e grazie alla mia passione per il cinema e lo spettacolo, ho poi potuto conoscere a tutto tondo l'immenso repertorio artistico di Raimondo, che va dal teatro al cinema per concludersi con la televisione, di cui è considerato uno dei "padri". Quella televisione sobria, ironica e mai sopra le righe, che non poteva avere "genitore" migliore di lui, "ligio&q