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Visualizzazione dei post da settembre, 2022
 FELICE GIMONDI, PASSIONE SINCERA  Sarebbero stati ottanta oggi, se un infarto non se lo fosse portato via tre anni fa, mentre stava facendo un bagno al mare, in Sicilia. Il suo cuore, quel cuore d'acciaio che aveva sopportato salite ripide e tortuosi tornanti, era compromesso da tempo. Ma nessuno, nessuno avrebbe mai creduto che Felice Gimondi se ne andasse via così. Aveva settantasei anni sulle spalle e dietro una infinità di successi. Nato a Sedrina, nel bergamasco, il 29 settembre 1942, Felice Gimondi aveva avuto un compito alquanto arduo: riportare il ciclismo alla popolarità.  Iniziò a spingere sui pedali da dilettante alla fine degli anni '50, quando Bartali e Coppi erano ancora gli idoli indiscussi dello sport, al tempo, più amato dagli italiani. Negli anni '60, invece, quando passò professionista, il ciclismo non era più così seguito. Ma Felice Gimondi, tra la "Salvarani" - la sua prima squadra - e la "Bianchi", tra Tour de France e Giro d'
 MICHELANGELO ANTONIONI: IMMAGINI ELOQUENTI  Disagio, incomunicabilità, solitudine. Sono questi gli "ingredienti" con cui preparava i suoi film. Psicologicamente complessi, freddi come gli sguardi dei suoi interpreti, resi ancora più espressivi dal bianco e nero. Con Michelangelo Antonioni non c'era altra possibilità: o lo capivi o non lo capivi. Eppure, nella complessità del suo intreccio narrativo, nella profondità delle sue storie, riusciva a catturare l'attenzione del pubblico, attraverso opere in cui, a dire tutto, erano le immagini.  Si pensi ai primi piani di Monica Vitti nella trilogia che la consacrò agli altari della celebrità internazionale: "L'avventura", "La notte", "L'eclisse". Film dove Antonioni riusciva a trasmettere emozioni e tormenti, speranze e delusioni attraverso sguardi e gesti.  In alto, Lucia Bosè con Massimo Girotti in "Cronaca di un amore" (1950). In basso, con Andrea Checchi ne "La signo
LUCIANO SALCE, HUMOR CON   STILE È passato un secolo dalla sua nascita e sembra passato altrettanto tempo da quel cinema così raffinato ed elegante, per quanto a volte grottesco. Chi può dimenticare il famigerato Fantozzi ragionier Ugo, un clown versione impiegatizia nato dall'estro di Paolo Villaggio e portato sul grande schermo per la prima volta nel 1975 proprio da lui: Luciano Salce. Forse i primi due film della saga (poi proseguita da Neri Parenti) sono quelli più famosi e apprezzati da pubblico e critica. Ma Luciano Salce, romano, allievo all'Accademia d'arte drammatica, compagno di studi di Gassman e di Squarzina, ha fatto parte di una generazione di artisti, registi e autori poliedrici.  Dal teatro, scritto e recitato - memorabile con la compagnia dei "Gobbi", accanto a Franca Valeri e Vittorio Caprioli -, alla televisione e al cinema, dove oltre ad apparire quale attore brillante, Salce realizzò vere pietre miliari della commedia all'italiana, come &q
 CESARE ZAVATTINI: LA "PENNA" DEL NEOREALISMO Fantasia e realtà, estro e semplicità. Rivedere un vecchio film da lui sceneggiato, come "Umberto D." o "La ciociara", equivale a leggere la cronaca di un'epoca. Angoli di quotidianità, di gente semplice, di tragedie, di piccole rivincite, di sconfitte in un'Italia sofferente, con le ossa rotte, martoriata dalla guerra e vessata dalle difficoltà del Dopoguerra. Cesare Zavattini è stato uno sceneggiatore, un autore di favole e opere umoristiche, di fumetti. Fondò la celebre rivista "Il Bertoldo", giunto a Milano dalla natia Luzzara, in Emilia - dove nacque il 20 settembre 1902.  Ma il suo nome, indubbiamente, è rimasto per sempre legato al neorealismo e al sodalizio artistico con un altro grande osservatore della realtà. Un altro "signore" in grado di offrire uno spaccato tragicamente vero dell'Italia post-bellica: Vittorio De Sica. Con quest'ultimo, Cesare Zavattini confezion
  GABRIELLA FERRI, L'ANIMA DELLA "VECCHIA ROMA" Era la voce della passione, della sofferenza, dell'allegria, del dramma. Era la voce roca e popolare della "vecchia Roma". Quella della natia Testaccio, di Campo de' Fiori, dei bancarellari e degli artigiani. In quei vicoli, ancora oggi, la voce di Gabriella Ferri riecheggia ridestando ricordi remoti. La città del " Barcarolo romano ", della " Società dei magnaccioni ", il brano con cui, negli anni '60, raggiunse la popolarità nazionale. Prima il sodalizio con l'amica e compagna d'arte Luisa De Santis (figlia di Giuseppe, "papà" del neorealismo) e le  tournée  in Sudamerica, poi l'ingresso nella compagnia del Bagaglino e i numerosi varietà televisivi, come "Dove sta Zazà" (1973), che la consacrarono agli altari della celebrità.  Bella, verace, sincera fino al midollo, Gabriella Ferri è stata l'anima della canzone romana, ma seppe interpretare anche
 CARLO ALBERTO DALLA CHIESA: SOLO CON I SUOI IDEALI Si muore quando si rimane soli, e lui lo era. Erano cento giorni, cento giorni che il generale Dalla Chiesa aveva assunto l'incarico di prefetto a Palermo. Era ritornato in Sicilia, la calda e sfortunata terra del Sud dove lui, piemontese di Saluzzo - dove nacque il 27 settembre 1920 - aveva prestato i suoi servigi da giovane capitano prima e colonnello poi, tra la caccia al bandito Giuliano e i delitti mafiosi "firmati" con la lupara. Allora non era solo. Con lui c'erano i suoi uomini, i suoi carabinieri pronti all'estremo sacrificio per difendere i valori di uno Stato assediato. Come quando, con fermezza, aveva sferrato un duro colpo alle Brigate Rosse, lottando in prima linea contro il terrorismo.  Dalla Chiesa non era solo, perché dietro di lui c'era lo Stato. Lo stesso Stato che aveva chiesto il suo ingegno e la sua forza per liberare la Sicilia da quel cancro chiamato Mafia. Il generale aveva rinunciato
 GASSMAN, L'UOMO E L'ISTRIONE Il profilo aquilino, la voce profonda, lo sguardo magnetico. Il fisico atletico mantenuto, incredibilmente, anche negli anni della maturità, quando l'argento cominciò a ricoprirgli i capelli e la barba, sempre ben curata. È questa l'ultima immagine che Vittorio Gassman ci ha lasciato di lui. L'immagine di un uomo vissuto, stanco, incline alla depressione, ma bastava un verso della Divina Commedia o una antica pièce teatrale per riportare in vita il "leone" che era in lui. In scena, naturalmente, perché nella sua vita privata "Il mattatore" era ben diverso. Malinconico, riservato, a tratti anche timido. Quando si iscrisse all'Accademia d'Arte Drammatica di Roma, la sua città - benché egli nacque a Genova, il 1° settembre 1922 -, il giovane Vittorio lo fece su suggerimento della madre, iperprotettiva e fortemente presente nella sua educazione e formazione, umana e culturale.  Il padre, l'ingegner Gassmann