GRAZIE, PAPA FRANCESCO!
Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura. La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.
Ha parlato di guerre inutili, di atroci sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha voluto salutarlo con un giro in Papamobile. Non è mai venuto meno al suo impegno e alla sua missione, al suo pontificato fatto di grandi cambiamenti e atti di umiltà. Proprio ieri scrivevo di Gesù Rivoluzionario e Innovatore. Ebbene Papa Francesco è stato anch’egli un innovatore. Un papa che nel nome del poverello d’Assisi si è spogliato di tutti quegli orpelli (materiali e spirituali) che offuscano la bontà e l’essenza stesse del cristianesimo. Un papa che si è fatto ultimo tra gli ultimi. Un papa che augurava Buon pranzo e distribuiva sorrisi e frigoriferi con la stessa semplicità. Un papa che andava in giro a comprare dischi. Un papa che amava il tango. Un papa che telefonava in diretta nelle trasmissioni televisive come nell’ultima parrocchia dell’Appennino meridionale. Un papa che ha voluto una Chiesa povera per i poveri. Un papa che accarezzava i migranti e piangeva con i detenuti chiedendosi, appena pochi giorni fa, in visita a Regina Coeli, «perché loro e non io». Un papa che ha fatto del Verbo la sua forza e della Fede autentica la sua bandiera. Un papa che ci ha insegnato che la speranza non è soltanto una parola. Un papa argentino di origini italiane che è stato cittadino del mondo. Quel mondo che ha attraversato, nei suoi dodici anni di pontificato, con passo deciso e morbido al tempo stesso. Portando con sé gioia, sostegno e preghiera. Perché la preghiera non è soltanto mera professione liturgica o culmine delle nostre riflessioni serali. Pregare significa sperare nell’aiuto di Dio ma contare anche sulle proprie forze. Ci ha insegnato anche questo, come ultimo atto di un cammino pastorale di grande intensità emotiva. E proprio di preghiera abbiamo bisogno adesso, nel pieno di un Giubileo rimasto senza una guida. Così come un popolo triste e sofferente che non si capacita di ciò che è accaduto e si chiede attonito cosa succederà adesso. Grazie, Papa Francesco!
A.M.M.

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