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 MARIO, ER SOR BREGA


"Io mica so' comunista così, sa', so' comunista così!". "'Sta mano po esse fero e po esse piuma". "Senti st'olive! Queste so' greche sai, ahò, greche!". "Arzate, 'a cornuto, arzate gli ho detto!". Aforismi, modi di dire. Pillole da inserire in qualsiasi  discorso ironico. Perle verbali da pronunciare rigorosamente ad alta voce, imitando il suo roboante timbro incollerito. Mario Brega è ancora vivo. Lo sono il suo volto barbuto e il suo sguardo truce. La sua imponente corporatura elegantemente abbigliata. Lo sono le sue braccia possenti che, opportunamente mosse, accompagnavano il suo vocione in epiche battute, spesso frutto della sua improvvisazione. 




Erano gli anni '80, di una Roma ancora popolare e genuina ma già proiettata verso un futuro povero di speranza e di semplicità. Carlo Verdone, regista in erba, fotografava i suggestivi angoli della sua città inserendovi i suoi personaggi e geniali comprimari. Tra questi c'era anche Mario Brega, da decenni di casa a Cinecittà, come generico e caratterista. Aveva lavorato con Pietro Germi, con Dino Risi, aveva affrontato la commedia e il dramma. Col western aveva fatto parte della celeberrima "Trilogia del dollaro" di Sergio Leone, come uno dei banditi che pestano a sangue il pistolero Clint Eastwood. Sportivo figlio d'arte (suo padre, Primo Brega, era stato un celebre atleta nell'era fascista), aveva messo al tappeto Gordon Scott, scultoreo attore americano, in occasione di una vera scazzottata avvenuta durante le riprese di "Buffalo Bill, l'eroe del  Far West" (1964) di Mario Costa. 


In alto, Mario Brega ne "La marcia su Roma" (1962) di Dino Risi.
In basso, con Clint Eastwood in "Per un pugno di dollari" (1964) di Sergio Leone.


Proprio quell'episodio, raccontato - e probabilmente enfatizzato e guarnito di particolari - dal protagonista in più occasioni, ispirò il racconto della "scazzottata a via Veneto", una delle scene più esilaranti di "Borotalco", terzo film da regista di Verdone, che permise a Brega, dopo oltre trent'anni di carriera, di ottenere la meritata consacrazione artistica. Un giorno il regista si trovava a casa di Sergio Leone, discutendo in merito alla lavorazione di quello che sarebbe stato il suo primo film, "Un sacco bello". In quell'occasione vide arrivare quell'omone elegante, dall'aspetto cattivo, ma in realtà profondamente umano, che omaggiava Leone con cassette di prodotti ortofrutticoli ampliamente decantati in pregi e qualità col suo inconfondibile vocione. Carlo Verdone decise in quel momento che sarebbe stato lui il disperato padre dell'hippy Ruggero, che aveva lasciato la sontuosa casa borghese per inseguire i "figli dell'amore eterno" con sommo dispiacere del genitore, che organizza una sorta di "processo" casalingo con prelati, parenti e professori moralisti per redarguirlo. 


In alto, Mario Brega con Carlo Verdone in "Un sacco bello" (1980).
In basso, con Verdone ed Elena Fabrizi (Sora Lella) in "Bianco, rosso e Verdone" (1981).



Dai cazzotti di gerarca fascista e "brutto ceffo" del West, Mario Brega divenne così l'archetipo del manesco padre di famiglia romano di estrazione piccolo-borghese, coi suoi principi, le sue idee e il suo bene spesso dimostrato con gesti di affettuosa "violenza". Dopo vennero il camionista "Er Principe" che fa l'iniezione alla Sora Lella in "Bianco, rosso e Verdone" e anche il burbero commerciante che mette in guardia il povero Sergio Benvenuti dal far soffrire la sua amata figlia Rossella in "Borotalco", con annesse raffiche di battute in scene oggi diventate di culto. 


Mario Brega nel racconto ispirato al "vero" scontro con Gordon Scott in una delle scene più epiche di "Borotalco" (1982).


Nel giro di pochi anni Mario Brega divenne una vera celebrità popolare, consacrata anche da altre pellicole, come "Vacanze di Natale" (1983) e "Amarsi un po'" (1984) di Carlo Vanzina, nei panni del padre di Claudio Amendola. Una popolarità di cui vantarsi per le strade della sua Roma, attraversata a bordo di Mercedes eleganti tanto quanto i suoi abiti "infiocchettati" con pregiate cravatte. Un signore d'altri tempi, dai modi inurbani ma dal cuore grande, che si fermò all'improvviso il 23 luglio 1994, per un infarto. Ma la fama di Mario Brega e le sue pillole di esilarante comicità hanno superato i confini terreni. E infatti oggi, il comune di Roma, dove nacque un secolo fa, gli dedicherà la strada antistante la sua ultima abitazione, nel rione Marconi, alla presenza dello stesso Verdone, colui che in qualche modo ne intuì le potenzialità, facendo di Mario, Er sor Brega, uno degli ultimi testimoni di una romanità tanto rimpianta quanto perduta.

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