Passa ai contenuti principali

 ANDREINA PAGNANI, L'ESPRESSIONE DELL'ARTE


 Affascinante e sofisticata, elegante, appassionata, ironica. Ancora oggi Andreina Pagnani è l'effige di quell'Arte che ha fatto la storia del palcoscenico. Emozionante, intensa, ma sempre misurata e raffinata, come la sua casa di Via Margutta, nel cuore di Roma, dove se ne andò quarant'anni fa esatti, il 22 novembre 1981, a causa di un male incurabile. Era ormai da tempo lontana dalle scene che l'avevano vista protagonista per mezzo secolo. 



La sua carriera iniziò nel 1928, quando dopo aver frequentato diverse filodrammatiche della Capitale - dove nacque il 24 novembre 1906 -, vinse un concorso per filodrammatici a Bologna nelle vesti della Mirandolina di Goldoni, guadagnandosi subito un posto nella Compagnia del teatro d'arte di Milano.


Andreina Pagnani ne "I parenti terribili" di Cocteau al Teatro della Pergola di Firenze (1946).


Da lì, Andreina Gentili, in arte Pagnani (cognome preso da suo marito, il pilota Francesco Pagnani), cominciò a calcare le scene dei più prestigiosi teatri nazionali. Lavorò con Ruggero Ruggeri, Carlo Ninchi, Paolo Stoppa e Rina Morelli, cimentandosi in opere di tragici greci, Shakespeare, Pirandello (fu interprete della prima messa in scena de "I giganti della montagna"), Rattigan, Bernard Shaw e Cocteau.


Andreina Pagnani e Carlo Ninchi ne "Il profondo mare azzurro" di Rattigan al Teatro Eliseo di Roma (1953).


Dotata di un fascino particolare, simile a quello delle grandi dive d'oltreoceano (a cui spesso prestò la propria voce come doppiatrice), Andreina Pagnani divenne una delle interpreti più quotate del panorama artistico nazionale. Salvo un piccolo periodo di pausa (lasciò le scene dopo la prematura scomparsa del marito, deceduto in un incidente aereo nel 1933), la sua presenza sul palcoscenico fu praticamente costante fino ai primi anni '70. Importantissimo il sodalizio artistico con Gino Cervi, che affiancò non soltanto nelle sue più celebri interpretazioni teatrali ma anche sul piccolo schermo, quando impersonò la moglie del celebre commissario parigino nato dalla penna di Simenon e portato in tv da Mario Landi negli anni '60.


 Andreina Pagnani con Gino Cervi ne "Le inchieste del commissario Maigret".


Al cinema, invece, la sua presenza fu meno incisiva, partecipando ad un numero esiguo di pellicole tuttavia distribuite nell'arco di trent'anni. L'ultima nei panni di se stessa, ne "I due vigili", multata dai metropolitani Franco e Ciccio, e apostrofata come "Signora Maigret", appellativo che per sempre le rimase cucito addosso. La sua figura, d'altronde, si legò a doppio filo a quella di Gino Cervi, così come rimase per sempre legata anche a quella di Alberto Sordi, di tredici anni più giovane, col quale ebbe una lunga relazione.


Da sinistra, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia ed Andreina Pagnani ne "I due vigili" (1967) di Giuseppe Orlandini.


Affetti, passioni, ricordi che le fecero compagnia quando si allontanò anche dal teatro, il suo grande amore, da brava figlia di un costumista teatrale e di un'attrice filodrammatica. E proprio coccolata da quei ricordi, in quella Via Margutta, fucina di artisti ed artigiani, pittori ed antiquari, Andreina Pagnani trascorse l'ultima parte della sua vita in mezzo a tanti oggetti preziosi che un anno dopo la sua scomparsa vennero per sua volontà messi all'asta per finanziare la casa di riposo per artisti drammatici di Bologna.

Un cospicuo lascito donato di cuore a chi come lei aveva consacrato l'intera vita all'Arte, ma nulla in confronto alla ricchezza - in termini di talento ed espressività  - lasciata per sempre a quel pubblico che continua a ricordarla con affetto.



Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...