Passa ai contenuti principali

 LA NAPOLI DI GIUSEPPE MAROTTA: SUGGESTIONI IMMORTALI


"Napoli, io, certe pietre e certa gente: ecco quanto, forse, si troverà in questo libro".  L'incipit della prefazione de "L'oro di Napoli", il suo primo successo letterario, la sua opera più nota, spiega a tutti, a chi l'ha letto e a chi lo farà (perché vale la pena farlo), chi fosse Giuseppe Marotta. Uno scrittore, certo, un giornalista (il "Corriere della sera", una seconda casa), uno sceneggiatore (per De Sica, Paolella, De Filippo). Ma prima di tutto un figlio devoto alla sua città madre. Da Mergellina a Posillipo, dai Quartieri al Vomero. Marotta si mise a scrivere principalmente per il piacere di raccontare. 




Orfano di padre a nove anni, abbandonati gli studi per mantenere la famiglia si era impiegato alla società del gas e ne incontrava di gente. Donne e uomini, giovani e vecchi, tarchiati e smilzi. Visitava vicoli, "bassi", appartamenti sontuosi e piazze storiche per lavoro. Osservava, registrava e poi scriveva. Il primo racconto ("La camera"), il primo pubblicato dopo disperati tentativi, lo convinse a lasciare il "posto fisso" e a lanciarsi nel mondo dell'editoria. Lasciò il golfo di Napoli e incominciò a farsi largo nella nebbia milanese, nella speranza che la "Madunina" (su 'lettera di presentazione' di San Gennaro) gli facesse la grazia. Così nacque l'autore de "L'oro di Napoli", portato sul grande schermo da Vittorio De Sica (con cui collaborò alla sceneggiatura del film), con Totò "Pazzariello" e donna Sophia Loren venditrice di "pizze fritte". L'autore di "San Gennaro non dice mai no", "Gli alunni del sole", ma anche di "A Milano non fa freddo" e "Mal di Galleria", dedicati alla sua seconda patria, la Milano che l'accolse e lo formò, tra la casa editrice Rizzoli e la storica redazione di via Solferino. Ma la sua Napoli, quella in cui nacque nell'aprile del 1902 e in cui morì per una emorragia cerebrale sessant'anni fa, il 10 ottobre 1963, rimase sempre nel suo cuore: in colori, sapori, odori, pietre e gente. Suggestioni e sentimenti che ancor sopravvivono in quei vicoli percorsi e raccontati da Marotta, in una città oggi diversa eppure sempre uguale.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...