Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da settembre, 2024
BUON COMPLEANNO, BRIGITTE!  B ella e B rava. B ionda e B rillante. B irichina e B riosa. Semplicemente BB . Una sigla che non sembra dire niente, e invece racchiude immagini dalla grande forza evocativa. La Costa Azzurra, Saint-Tropez, bikini mozzafiato, scandali al sole e una graziosa “ bambola” divenuta star. Brigitte Bardot non è stata semplicemente un’attrice avvenente. È stata un simbolo: di fascino innocente, di sensualità ingenua, di seduzione pura in grado di ammaliare tutti con un solo sguardo. Piace a troppi , non a caso, è il titolo che la lanciò definitivamente nel panorama internazionale, accanto a Jean-Louis Trintignant.  Da quel momento la Bardot divenne un modello da seguire in abiti, acconciature e sorrisi. Amata dagli uomini e invidiata da molte donne per il suo essere libera e leggera. Nel 1960 Miguel Gustavo le dedicò quel ritmo brasileiro che porta il suo nome e che Totò e Macario, nei panni di improbabili monaci, inserirono nelle loro strambe litanie al grido di
UBALDO LAY, INDAGINE SU UN UOMO DIVENTATO SHERIDAN Un ufficio avvolto dal fumo delle sigarette, la lampada accesa sulla scrivania, un uomo in un impermeabile bianco. Bastava questo, nell’Italia degli anni ’60, per portare un po’ d’America sul piccolo schermo. E così, in uno studio televisivo, prendeva vita il dipartimento di polizia di San Francisco, dove ad assicurare alla giustizia criminali di bassa lega o gangster di grande infamia c’era lui, Ezechiele Sheridan. Perché dire Ubaldo Lay, forse, non significa dire nulla. Ma parlare di Sheridan, del tenente Sheridan, significa invece svelare un mondo custodito nelle Teche Rai e nel cuore di milioni di italiani.  Classe 1917, romano, volto affilato e spigoloso, Ubaldo Lay è stato molto più che quel personaggio lì, eppure ancora oggi la memoria di lui è legata alle sue indagini in Giallo club  e in alcune miniserie tv che tra gli anni ’60 e ’70 ne fecero una piccola star. Diplomato all’Accademia d’arte drammatica, giovane attore in scena
ACHILLE COMPAGNONI: L’EROE, GLI SBAGLI, L’ORGOGLIO Non si è mai pentito. Fino alla fine ha sempre rivendicato la sua verità. Una verità che per anni ha lasciato un’ombra su una delle più grandi imprese dell’Italia post-bellica: la conquista del K2. Achille Compagnoni non ha mai ammesso di aver mentito, insieme a Lino Lacedelli, suo compagno di cordata, e al professor Ardito Desio, organizzatore della spedizione, sui fatti che accaddero nelle ultime ore che precedettero la conquista della vetta inviolata. Compagnoni e Lacedelli, infatti, furono i due alpinisti che posizionarono il Tricolore sulla vetta del K2 il 31 luglio 1954. Si può dire che da quel giorno Compagnoni si chiuse nel silenzio e nel riserbo più totali, probabilmente nuocendo a se stesso e alla sua credibilità, soprattutto dopo che la verità, quella vera, venne alla luce.  Achille Compagnoni (a sinistra) con Lino Lacedelli. Achille Compagnoni fu uno dei primi ad essere scelti da Desio, uno dei geologi e geografi più famosi
MARCELLO MASTROIANNI, IL GIOCO DELLA VITA Nell’ultima sua intervista, rilasciata a Enzo Biagi poco prima di morire - stroncato da un tumore nel 1996 -, dichiarò di amare particolarmente il termine jouer , che per i francesi non significa soltanto “giocare” ma anche “recitare”. Per Marcello Mastroianni, infatti, recitare è sempre stato un gioco. Un nobile passatempo, grande privilegio per gli adulti che non sono cresciuti abbastanza o, meglio, per quelli che lo sono a tal punto da aver capito davvero quanto sia importante volare con la fantasia e lasciarsi trasportare dalle emozioni. E di emozioni, nei suoi voli pindarici da un personaggio all’altro, dalla commedia al dramma, Marcello Mastroianni ce ne ha regalate tante.  Si è divertito da matti nei panni di Tiberio, fotografo spiantato con ragazzino a carico che si aggrega alla sgangherata banda di scassinatori de I soliti ignoti  di Monicelli. Ha assecondato e materializzato le ossessioni e le follie oniriche di Federico Fellini, dand
BUON COMPLEANNO, JEAN! Se ce la siamo presa (a torto) con Napoleone per averci rubato il “sorriso” della Gioconda, allora dovremmo avercela anche con lui, il bel francese che ha sottratto al cinema italiano uno dei sorrisi più splendidi: quello di Anna Maria Ferrero. Ma, forse, in tal caso, non si può parlare di un vero “furto”. In primo luogo, perché quello tra Jean Sorel e Anna Maria Ferrero è stato un amore profondo, reciproco e senza riserve, consacrato da un matrimonio e durato più di mezzo secolo, fino alla scomparsa di lei (nel 2018), che poco dopo le nozze decise di abbandonare il cinema per dedicarsi alla famiglia. In secondo luogo, perché lui, Jean Sorel, novant'anni oggi, ha pareggiato i conti con la sua bravura e la sua eleganza. Marsigliese, bello, aitante, dallo sguardo azzurro come l’orizzonte in mare aperto, di aristocratiche origini ma di artistiche ambizioni, figlio di un paracadutista dell'esercito gollista morto durante la Seconda guerra mondiale, disobbedì
AUGURONI, GINO! “ Cosa farò da grande? ” Se lo chiedeva nel 1986, quando era già un uomo maturo, ma sono certo che quella domanda continui a non avere una risposta. Perché Gino Paoli, novanta primavere oggi, è come quel “ vecchio bambino ” che giocava con un pettirosso in un giardino. Sul corpo e sul volto ha i segni del tempo che passa, ma dentro il suo cuore è ancora un ragazzo. Quel ragazzo dalle grosse lenti scure che cantava l’amore in bianco e nero. Quello di “ Senza fine ” - ispirato dalle grandi mani di Ornella Vanoni -, “ Che cosa c’è ”, “ Vivere ancora ”, ma soprattutto di “ Il cielo in una stanza ”, dedicata a una “signorina” di un bordello genovese e destinata a diventare una delle canzoni più romantiche di sempre.  Ma Gino Paoli è anche uno di quegli “amici” che, seduti al tavolino di un bar, volevano cambiare il mondo. E quello musicale, in qualche modo, l’hanno cambiato. La scuola genovese, l’amicizia con Umberto Bindi e Luigi Tenco, la pallottola con cui cercò di porre
TROISI E IL "SUO" POSTINO: UN ATTO D’AMORE Amore. Credo sia questo il termine che racchiude, nella sua interezza, un film che ancora oggi, dopo trent’anni, suscita emozione, malinconia e tenerezza come la prima volta. Il postino , l’ultimo, desiderato e sofferto (per via delle sue condizioni di salute) film di Massimo Troisi è intriso d’amore. L’amore è nelle romantiche musiche di Luis Bacalov. L'amore spunta tra le righe di un dialogo, si legge nel volto e negli occhi dei protagonisti.  Si percepisce a ogni fotogramma, dai tramonti sul mare alle strade assolate che Mario Ruoppolo (Massimo Troisi), disoccupato figlio di un pescatore che trova impiego come postino personale per il poeta Neruda (Philippe Noiret), in esilio nel 1952 su un'isola del mediterraneo per le sue idee comuniste, percorre con foga e piacere pur di conversare con quell’uomo che sembra solo ma in realtà vive, dentro sé, un mondo di incontri e di scontri, letterari e reali, che affascinano il giovan
BUON COMPLEANNO, ORNELLA! È stata sempre una donna sopra le righe, anticonformista, un po’ folle, e forse con l’età, che raggiunge oggi i novanta, lo è diventata ancora di più. Il suo raccontare con disinvoltura di storie di amore, di strambe perversioni, di canne e di spinelli l’ha resa oggetto prediletto di imitazioni e sberleffi, con buona pace di lei, che ne ha sempre riso e - in un certo senso -  ne ha anche contribuito. La nostra cultura, musicale, teatrale ma anche televisiva, però, deve molto a Ornella Vanoni.  Una voce nasale sensualissima, due mani grandi e “senza fine”, come le descriveva l’amico Gino Paoli, il suo grande amore. L’eleganza nel volto e nel fisico slanciato, che ancora oggi l’eleva in alto. Su, come le sue note lunghe, perfette, magnifiche. Dagli esordi in teatro con Strehler e “ le canzoni della mala ” alla commedia musicale targata G & G (nel Rugantino , al posto di Lea Massari), dai successi televisivi degli anni ’60 e ’70 alle canzoni che ne hanno fatt
BUON COMPLEANNO, DONNA SOPHIA! È difficile omaggiarla senza scadere nella banalità. Di lei si può dire tutto. Che sia bella, che sia brava, che sia affascinante, che sia sensuale  che sia materna, pretenziosa, irascibile, passionale. Sophia Loren, però, è stata ed è molto di più di una serie di qualità e aggettivi. Sophia Loren è la diva e il suo esatto contrario.  Nella sua procacità giovanile, reduce da concorsi di bellezza per far felice mamma Romilda, ha fatto grande sfoggio delle sue gambe, del suo seno - su cui Totò fece una memorabile battuta in “ Miseria e nobiltà ” di Mattòli - e del suo sguardo maliardo in commedie indimenticabili, come " Il segno di Venere ” e “ Pane, amore e… ”  di Risi, dove si lanciava in uno sfrenato mambo col maresciallo De Sica.  In alto, Sophia Loren con Franca Valeri ne "Il segno di Venere" (1955). In basso, con Vittorio De Sica in "Pane, amore e..." (1955). Entrambi i film sono diretti da Dino Risi. E proprio quest’ultimo, i