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ACHILLE COMPAGNONI: L’EROE, GLI SBAGLI, L’ORGOGLIO


Non si è mai pentito. Fino alla fine ha sempre rivendicato la sua verità. Una verità che per anni ha lasciato un’ombra su una delle più grandi imprese dell’Italia post-bellica: la conquista del K2. Achille Compagnoni non ha mai ammesso di aver mentito, insieme a Lino Lacedelli, suo compagno di cordata, e al professor Ardito Desio, organizzatore della spedizione, sui fatti che accaddero nelle ultime ore che precedettero la conquista della vetta inviolata. Compagnoni e Lacedelli, infatti, furono i due alpinisti che posizionarono il Tricolore sulla vetta del K2 il 31 luglio 1954. Si può dire che da quel giorno Compagnoni si chiuse nel silenzio e nel riserbo più totali, probabilmente nuocendo a se stesso e alla sua credibilità, soprattutto dopo che la verità, quella vera, venne alla luce. 



Achille Compagnoni (a sinistra) con Lino Lacedelli.


Achille Compagnoni fu uno dei primi ad essere scelti da Desio, uno dei geologi e geografi più famosi al tempo, per quell’impresa che venne subito presentata come una possibilità di riscatto per l’Italia, uscita distrutta dalla Seconda guerra mondiale. Compiuta da eroi temprati in spirito e corpo sui rilievi più impervi del Paese, pronti a tutto pur di rendersi protagonisti di una scalata onerosa e onorevole al tempo stesso. Compagnoni era sicuramente la persona giusta. Alto, aitante, allenato in muscoli e cervello sulle pareti del Cervino e del Monte Rosa, abile sciatore alpino nei dintorni di Cervinia, la sua città d’adozione - egli nacque in Valtellina, centodieci anni fa, il 26 settembre 1914 -, aveva i requisiti giusti per tentare quella che sembrava una sfida impossibile. Ma nei due mesi che precedettero la conquista, tra i tredici alpinisti che partecipavano alla spedizione, Achille Compagnoni capì ben presto di doversi contendere il primato con altri due uomini destinati a passare alla Storia: Lino Lacedelli e Walter Bonatti. Furono loro tre a dare inizio a una polemica durata decenni, dichiarazioni, colpi bassi e smentite, coprendo di ridicolo la rispettabilità di tre eroi che, probabilmente, avrebbero potuto gestire la cosa diversamente. Achille Compagnoni e Lino Lacedelli avevano già sulle spalle diversi anni di esperienza. Desio, il capo spedizione, aveva riposto sui due la sua totale fiducia, e difatti spettava a loro il compito di raggiungere la vetta. A Walter Bonatti, giovane promessa dell’alpinismo, era stato assegnato il compito di portare le bombole d’ossigeno in corrispondenza dell’ultimo campo base prescelto, con l’aiuto dello sherpa (un alpinista indigeno) Amir Mahdi, in modo da permettere a Compagnoni e Lacedelli di arrivare in cima in sicurezza. 

I due alpinisti, però, spostarono di propria volontà il campo base, costringendo così Bonatti e Mahdi a trascorrere un’intera nottata all’addiaccio. Probabilmente, Compagnoni e Lacedelli, conoscendo l’intrepido carattere di Bonatti e la sua grande voglia di emergere, temevano che il giovane raggiungesse la vetta da solo, togliendo loro la possibilità di fregiarsi della conquista, per la quale furono premiati con una medaglia d’oro al valor civile. Fu così che i due vittoriosi eroi accusarono (a torto) Walter Bonatti, dichiarando che era stato lui ad aver tentato di sabotare l’impresa, e tale teoria venne anche appoggiata da Ardito Desio, che al termine della spedizione redasse una relazione tecnica in cui scaricò tutta la colpa sul ragazzo. Inutile dire che Bonatti rimase molto deluso e forse proprio per questo, anni dopo, decise anche di abbandonare l’alpinismo per dedicarsi ad altre avventure, girando il mondo come reporter. Ma fu proprio Compagnoni l’unico a portarsi questo peso nel cuore per tutta la vita. Col passare del tempo, si sa, la coscienza comincia a mordere, e se Ardito Desio morì  portandosi quel segreto nella tomba, Lino Lacedelli, invece, dichiarò finalmente la verità in un suo libro, scagionando Bonatti e ammettendo le sue colpe e quelle del suo compagno di scalata. Compagnoni, invece, no. Fino all’ultimo continuò a sostenere quanto riportato nella relazione finale della spedizione. Negando anche davanti all’evidenza. Ovvero quando, nel 2008, il Club Alpino Italiano, promotore della spedizione, riconobbe la verità da sempre rivendicata da Bonatti, diradando le nebbie che avevano avvolto quella vicenda per più di cinquant’anni. Ma forse, le sue colpe, Achille Compagnoni le scontò a modo suo. Dopo quella conquista, infatti, egli si ritirò nella sua Cervinia. Tra la gestione del suo agriturismo, il lavoro di guida alpina e la passione per lo sci alpino trascorse il resto della sua esistenza, conclusasi a novantacinque anni, il 13 maggio 2009. L’esistenza di un grande alpinista e di un eroe che rimane tale: nonostante gli errori e e l'orgoglio.


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