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 GAETANO SCIREA: PROFESSIONE CALCIATORE


Aveva solo trentasei anni quando un incidente lo strappò alla sua vita e al campo di calcio che aveva onorato con i suoi piedi. Piedi agili, scattanti, in grado di tenere incollata la palla e permettergli di destreggiarsi con leggera naturalezza. Gaetano Scirea avrebbe oggi settant'anni - era nato a Cinisello Balsamo, vicino Milano, il 25 maggio 1953 - e alle spalle una carriera luminosa a bordo campo. 



Dalla "Serenissima" della sua città natale alle giovanili dell'Atalanta, poi alla Juventus, dove si ricoprì di gloria e onori, prima come difensore libero, poi come capitano. Sette scudetti per la "Vecchia Signora" e altri trofei tra Coppa Uefa e Coppa Italia. Per non parlare poi dei Mondiali dell'82, quando Scirea fu tra gli undici angeli che si laurearono "campioni del mondo" sotto lo sguardo fiero del presidente Pertini che esultava dagli spalti del Santiago Bernabéu  come un tifoso qualunque. Pagine di sport, di calcio, di storia popolare scritte da giovani come lui, onesti e gagliardi, sinceri e generosi, forti e volitivi. Gaetano Scirea aveva messo tutto questo al servizio del calcio, diventando allenatore in seconda della Juventus accanto a Dino Zoff. Quel 3 settembre 1989, mentre si trovava in Polonia per seguire una squadra che avrebbe dovuto sfidare i bianconeri, quell'incidente assurdo mise un punto a una vita in piena fioritura. Una vita da coltivare con amore, passione e sacrificio. Una vita da raccontare ai suoi figli (rimasti orfani troppo presto) e ai figli di questi, magari proprio spegnendo settanta candeline e raccontando imprese e gesta di un tempo che sembra lontano anni luce, quando il calcio era solo sport e non un business. Quando il calcio era un "giuoco" dove ragazzi sani e forti compivano imprese eccezionali. Quando il calcio era una professione in cui bastava una divisa per sentirsi "miti" e si indossavano giacca e cravatta in libera uscita: perché fuori dal campo si era persone normali. Non è andata così: Gaetano Scirea non ha potuto vivere e raccontare la sua professione come avrebbe potuto e senz'altro voluto. Ma la sua memoria resta. Resta per chi (come me) non si intende di calcio ma apprezza la storia e i suoi eroi. E per chi, invece, vive o ha vissuto il calcio come una passione, sognando di diventare un "vero" professionista come lui.

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