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Visualizzazione dei post da novembre, 2024
ANDREA BARONI, L’UOMO DEI “TEMPI” In principio, fu Edmondo Bernacca. Alla fine, Guido Caroselli. Ma se è vero che “ in medio stat virtus” , ecco che Andrea Baroni assume un ruolo cardine, come anello di congiunzione tra il passato e il futuro, tra il bianco e nero e il colore, tra la cartina e le immagini satellitari nella storia della meteorologia televisiva. Era il 1973 quando Che tempo fa , la rubrica della Rete uno (poi divenuta Rai 1) dedicata alle previsioni del tempo e affidata alla sapienza, al rigore e alla simpatia del colonnello Bernacca, acquisiva un altro uomo dell’Aeronautica destinato a diventare familiare agli occhi dei telespettatori.  Baffuto, altrettanto elegante, apparentemente più serioso ma in realtà affabile come il collega, Andrea Baroni, classe 1917, dopo una lunga e onorevole carriera militare conclusa col grado di colonnello cominciò ad entrare nelle nostre case con professionalità, certo, ma anche con la giusta dose di ironia. Fu così che Bernacca e Baroni c
VITTORIO DE SICA: VOLTO, GESTI E PAROLE DEL CINEMA ITALIANO C’è chi ha amato il cineasta: il pittore degli affreschi neorealisti come Ladri di biciclette e Sciuscià , oppure il “padrino” di Sophia Loren, tra il dramma della Ciociara e la commedia all’italiana di Ieri, oggi, domani . C’è chi ha amato il nobile spiantato, il giocatore d’azzardo e il donnaiolo incallito (in scena come nella vita) di decine di commedie leggere, dove la sua elegante figura, il suo sorriso magnetico e la sicumera dello sguardo lo rendevano innocente davanti a qualunque raggiro o buffo imbroglio. C’è poi chi, come chi sta scrivendo, pur avendolo adorato nei panni di eccentrici e attempati personaggi come il maresciallo Carotenuto cavalier Antonio dei  Pane, amore… , l’ha apprezzato maggiormente da giovane attore, nelle commedie borghesi degli anni ‘30, da Gli uomini, che mascalzoni...  a Il Signor Max , per la regia di Mario Camerini. Ma tutti, tutti quelli che hanno conosciuto l’estro, il talento e la simp
ALDO SILVANI, L’ELOQUENZA IN SCENA C’è chi dice che fare l’avvocato sia una forma d’espressione artistica. Bisogna essere credibili in quel che si dice, capaci di improvvisare, di stupire l’uditorio, di regalare colpi di scena e, perché no?, anche qualche sorriso. Ebbene, se le cose stanno così, non stupisce più di tanto che un attore brillante come Aldo Silvani, da giovane laureato in giurisprudenza preferì alla toga i costumi più disparati. Abiti indossati sempre con rigore, maestria e naturalezza, come solo un bravo interprete sa fare. Vestiti abbandonati, purtroppo, solo quando l’unico inesorabile e definitivo sipario, quello dell’esistenza terrena, calò sul suo sguardo sessant’anni fa, il 12 novembre 1964. Fu un tumore, palesatosi nel bel mezzo delle sue attività teatrali e televisive, a togliere dalle scene chi, per le scene, era evidentemente nato. Classe 1891, torinese, magrissimo, volto scavato, capelli pettinati all’indietro e spesso arruffati, Silvani cominciò a calcare le s
WANDA OSIRIS, LA FRAGRANZA DEI RICORDI Dietro di lei, c’era un mondo. Un mondo fatto di profumo di cipria e di rose, di scale monumentali, di piume, lustrini e colli di visone. Di baldi boys che, tendendo le loro braccia, le indicavano il cammino, percorso con incedere elegante e larghi sorrisi al suono di Sentimental  e Ti parlerò d’amor . E quel mondo era lei, in corpo e anima. Wanda Osiris è stata tutto questo. Leggerezza, divertimento, sensualità indossata in lunghi guanti in pelle e strascichi sfavillanti. È stata la divina, la “ Wandissima ”.  Ha accompagnato la buffa comicità di Macario, l’ironia galante di Carlo Dapporto e quella nervosa e dialettica di un giovane e prestante Walter Chiari. Ma anche Alberto Sordi, Renato Rascel, Raimondo Vianello e Billi e Riva hanno brillato per lungo tempo della sua luce riflessa nelle loro burle. Wanda Osiris è stata la donna fatale che rendeva ilare anche la seduzione, col suo raffinato incespicare, in passi e parole, tra le luci della rib
BRUNO CANFORA, L’ARMONIA DELLA “BRAVA” TELEVISIONE Il Da da un pa  per le gemelle Kessler a Studio Uno , lo  Zum zum zum  di Sylvie Vartan  a Canzonissima . Il ritmo sfrenato  del Geghegé  per Rita Pavone e di Stasera mi butto  per Rocky Roberts. Ma anche la dolcezza di Due note  e il brio di Brava  per la grande Mina. Dietro quei motivi musicali, melodie indimenticabili e propriamente Anni Sessanta, c’erano l’estro, il ritmo e la maestria di un bravo musicista. Sicuramente uno dei più grandi che la nostra televisione abbia avuto: Bruno Canfora.  Nato a Milano un secolo fa, il 6 novembre 1924, Canfora ha legato la sua immagine gentile e la sua prodigiosa bacchetta alla Rai, quale direttore d’orchestra protagonista di decine di pagine televisive scritte, spesso, dal grande Antonello Falqui. Studente di oboe prima - col maestro Serafin, primo oboe della Scala -, di pianoforte poi, Bruno Canfora si innamorò del jazz quando ancora era una musica “proibita” secondo le leggi fasciste. Dai
PINO MANGO: IL SUO CANTO NEL CIELO DI SANT’ANTUONO Il cielo sopra Sant’Antuono, su quella “ casa bianca ” citata in un suo grande successo, l’ha visto nascere, crescere, sognare, cantare, provarci, incidere e riuscirci. Un cielo che, tra aprile e maggio, si riempie di rondini che garriscono tra mille piroette. Probabilmente una di quelle rondini ispirò una canzone bellissima di Pino Mango, che sua figlia Angelina, lo scorso febbraio, ha portato a Sanremo in una versione molto speciale, più commovente e intensa dell’originale, forse proprio perché  ispirata dall’amore incondizionato di una ragazza che ha perso suo padre troppo presto.  E proprio sotto quel cielo, settant’anni fa, il 6 novembre 1954, Pino Mango apriva gli occhi al mondo. Un cielo che d’estate sa essere chiaro e limpido e che, invece, nei lunghi mesi invernali si tinge di colori scuri, preannunciando temporali o fitte pioggerelline, allo stesso tempo antipatiche e poeticamente tristi. Pino Mango ha risentito di quelle atm
ALBERTO MANZI,  MAESTRO DI MODERNITÀ Con gessetti e carboncini dava forma e grafia a parole i cui suoni per milioni di telespettatori erano familiari, oltre che concretamente esistenti nella realtà. Tutti conoscevano la propria mamma, ma non la parola “mamma”. Tutti avevano una casa, ma non sapevano scrivere “casa”. Alberto Manzi, il maestro Manzi, spuntava dal televisore poco prima di cena ed ecco che prendevano vita vocali, consonanti, voci verbali, aggettivi, nomi comuni e di persona. Perché era il 1960 e non era giusto che la stragrande maggioranza delle persone non sapesse scrivere il proprio nome, dando credito al proprio volto con una X. Si trattava di contadini, lavoranti, casalinghe, anziani che avevano fatto la guerra e sapevano anche raccontarne il dramma, a parole. Ma quelle parole, quelle che utilizzavano tutti i giorni, non sapevano metterle su carta. Grazie a quel maestro robusto, dal sorriso onesto e i modi affabili, che accompagnava ad ogni a parola un disegno esplicat