Passa ai contenuti principali

 ARRIVEDERCI, "SIGNORA" GASSMAN!


Non sembrerebbe, in apparenza, che la "signora" Gassman se ne sia andata via così, con discreto fare. Non sembrerebbe, dico, perché chi ricorda il suo papà, il Vittorio nazionale, il fanfarone del cinema, il leone del palcoscenico, sa benissimo quanto egli fosse enfaticamente (ma solo scenicamente) amante di protagonismo. Paola Gassman, però, la sua prima e adorata figlia avuta dall'indimenticata Nora Ricci (figlia di Renzo, altro "grande" dimenticato), è sempre stata una donna piuttosto schiva e riservata. 



Il papà - chi ne conosce le vere "corde", lo sa - era in effetti un timido latente, ma la fama, il successo, l'immagine che di lui ne aveva dato il cinema ne avevano fatto un uomo dall'ego profondo, maniacalmente votato all'apparire a tutti i costi. Paola, no. Paola amava la riservatezza così come amava il palcoscenico, e su quel palcoscenico, dietro il riserbo che promette la chiusura del sipario alla fine di una pièce, ha deciso di trascorrere la sua esistenza. Dagli esordi in Accademia, proprio come babbo Vittorio, fino al lungo, memorabile e indissolubile sodalizio artistico con un altro "signore" della scena nazionale, Ugo Pagliai. Il loro amore, sbocciato tra Shakespeare e Pirandello, cresciuto tra Ibsen e Svevo, consolidato da repliche e controrepliche e da un amore viscerale per l'arte del palcoscenico si è concluso soltanto oggi, dopo più di cinquant'anni di vita insieme, vissuta con passione e per passione. Sì, il suo papà e la sua mamma, la sua "Grande famiglia dietro le spalle" - per citare la sua autobiografia di qualche tempo fa -, saranno sicuramente fieri di lei e della sua luminosa carriera. Perché Paola Gassman è stata una vera "signora": elegante, colta, raffinata, autoironica. Una "signora" della scena, devotamente calcata con umiltà e talento. Chissà: magari Lassù, con l'amato papà, tornerà a recitare? Un giorno lo scopriremo anche noi. Arrivederci, "signora" Gassman!

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...