Passa ai contenuti principali

 GIOVANNI XXIII, UN PAPA ATTUALE


Diritto all'esistenza, alla libertà. Diritto all'emigrazione e all'immigrazione. Parità di diritti tra uomo e donna quale "segno dei tempi". Diritto dei rifugiati politici. Disarmo, pace. Temi di una attualità sconcertante, eppure risalgono a sessant'anni fa. Sono parole contenute tutte nell'enciclica "Pacem in Terris", l'ultima fatica di Papa Giovanni XXIII datata aprile 1963. Pochi mesi dopo, il 3 giugno, il Papa Buono, il primo ad uscire dalle mura vaticane per ritrovarsi tra la gente, spegneva il suo sguardo da nonno buono e da sacerdote umile e comprensivo.



Classe 1881, figlio di contadini del bergamasco, sacerdote vicino ai ceti operai, Patriarca di Venezia, salì al Soglio di Pietro nel 1958 e nei suoi anni di pontificato portò avanti una rivoluzione, per quanto conservatrice. Nell'ottobre del 1962 iniziò i lavori del Concilio Vaticano II, interrottosi con la sua scomparsa e poi portato avanti e concluso dal suo successore, Paolo VI, nel 1965. La Chiesa deve rinnovarsi, e deve farlo perché ha bisogno di sentirsi vicina alla gente, come il suo papa. Papa Francesco, da ormai dieci anni, ci ha abituati a episodi di "vicinanza" di ben altra natura. Ma negli anni del "Boom economico", tra rivoluzioni sociali, economiche e di costume, papa Giovanni XXIII dimostrò una adeguatezza ai tempi di insperata modernità. Dopo Papa Pacelli, il "papa medievale" - portato a spalla sul suo trono -, suscita emozione e incredulità un papa così, genuino, amorevole, umile, che a Natale visita i carcerati di Regina Coeli, o si affaccia alla Loggia per inviare "una carezza ai bambini" e per dimostrare a tutti che il papa c'è sempre soprattutto nei momenti di " tristezza e amarezza". Un papa che parla della necessità del dialogo mentre viene eretto il Muro che divise in due Berlino e nel pieno della crisi missilistica a Cuba, nel 1961. Un papa diventato santo, ma un santo moderno. Un papa ancora oggi amato e venerato per la sua semplicità. Un papa che, a sessant'anni dalla morte, risulta ancora attuale.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...