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 AUGUSTO DAOLIO, "ANIMA NOMADE"


 "Sempre azzurra non può essere l'età". Lui lo sapeva bene. Perché le parole di "Io vagabondo", uno dei più grandi successi dei Nomadi e uno dei brani più amati dal loro fondatore, Augusto Daolio le aveva fatte sue nel vero senso del termine. Il nome di quel complesso, nato nei primi anni '60, respirava il profumo dei tempi. Hippie, girovaghi, uomini e donne desiderosi di cambiare il mondo, anche soltanto con una canzone. Una canzone come quella, che a cinquant'anni dalla sua incisione (era il 1972) continua a trasudare emozioni. Augusto Daolio non aveva perduto il fanciullino che era in lui. 



Dietro gli occhiali grandi, i capelli lunghi e il barbone - che faceva un po' monaco francescano - si nascondeva l'animo di un ragazzo che amava vivere e raccontare la vita. I Nomadi hanno accompagnato generazioni di giovani e meno giovani con le loro canzoni, ma quando il loro guru venne a mancare, ormai trent'anni fa, il loro errare alla ricerca di risposte sembrò interrompersi. Il tumore, la sofferenza per la recente scomparsa di un amico (Dante Pergreffi, l'ex bassista del gruppo morto in un incidente stradale) indebolirono il suo corpo già compromesso, fino a quando, il 7 ottobre 1992, Augusto se ne andò, a soli quarantacinque anni, con la leggerezza di quel bimbo che "che ne sa" cosa la vita può riservargli, nel bene e nel male. Ma una certezza c'è e Augusto l'affermava nel ritornello di quel brano: "Lassù mi è rimasto Dio". Ebbene, sono certo che da qualche parte in cielo, oltre le nuvole, la sua "anima nomade" continua a peregrinare in cerca di risposte, accompagnando in voce e musica pensieri che tutti noi condividiamo.


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