Passa ai contenuti principali

 MARIA PARIS, MELODICA "REGINA"

 


Temperamento, calore, armonia, umiltà, umanità. Queste cinque parole sintetizzano, a mio avviso, il talento e la personalità di una artista che ha fatto grande la musica napoletana. Maria Paris ha rappresentato l'effige dei sentimenti, dell'allegria, della tenerezza. Una carriera piena di soddisfazioni, di luci, di musica, di successi, terminata per sua esplicita volontà, quando volle dedicarsi ai suoi affetti. Nata a Napoli il 6 agosto 1932, Maria Rosaria Pariso, in arte Maria Paris, iniziò ad esibirsi giovanissima, nel Dopoguerra. 




Bella, generosa nelle forme e nella voce, così calda, esuberante e delicata, la Paris lavorò nel teatro di rivista, in radio, al cinema, dove recitò in "Tuppe tuppe, Marescià!" (1958) di Bragaglia, accanto a Roberto Risso e Lorella De Luca, cantando l'omonimo brano con cui si classificò seconda al Festival della Canzone Napoletana. Maria Paris, infatti, rimase per sempre legata a quel festival, partecipando a ben dodici edizioni e vincendone due: nel 1955 con "'E stelle 'e Napule" e nel 1963 con "Jammo jà". E poi "Canzone appassiunata", "'A cartulina 'e Napule", "'A frangesa" (con cui partecipò a "Canzonissima") e tanti altri brani, noti e meno noti, in cui le sue vibranti corde facevano sussultare cuori e animi. Poi, alla fine degli anni '60, la decisione di lasciare tutto per dedicarsi alla famiglia. La più bella voce femminile napoletana si spense così, per sempre, fino a quando anche il suo corpo la seguì - il 3 maggio 2018 -, mentre la sua immagine, rimasta per sempre in bianco e nero, specchio delle melodie del passato, riportava alla mente ricordi ed emozioni lontane. Ricordi che, a novant'anni dalla sua nascita, spero di aver ridestato anch'io, omaggiando con queste poche righe la melodica anima di una grande "regina" della musica.

Commenti

Post popolari in questo blog

GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...
DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...