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 PAOLO BORSELLINO, UN UOMO


Un uomo. Un uomo che sorride, che scherza, che sogna, che soffre, che piange. Un uomo come tanti, anche se speciale. Speciale perché sapeva di avere degli obblighi nei confronti del Paese a cui prestava il proprio ingegno. Ma pur sempre un uomo. Ecco, quando pensiamo a Polo Borsellino, al magistrato del pool antimafia, al cavaliere senza macchia e senza paura pronto a sfidare Cosa Nostra fino all'estremo sacrificio, dovremmo ricordarci che era innanzitutto un uomo. 



Un uomo che quel 19 luglio di trent'anni fa era solo. Solo. Quando l'aria di Via d'Amelio, a Palermo, si gonfiò di fumo e di fiamme, Paolo Borsellino stava andando a trovare la madre. Era domenica e quell'uomo stava compiendo un gesto normalissimo. Però, dicevamo, era un uomo speciale, e con sé aveva cinque angeli custodi: quattro uomini e una donna anch'essi fuori dal comune. Consapevoli che quanto loro stavano facendo andava ben oltre il regolare servizio. Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Poliziotti consci del pericolo a cui andavano incontro, ma pronti al sacrificio, fino alla fine. Con la morte di Giovanni Falcone, saltato in aria insieme alla moglie e agli agenti della scorta a Capaci, il 23 maggio 1992,  Borsellino aveva perso un amico d'infanzia prima che un collega. Non solo l'uomo che era stato al suo fianco al pool, con cui aveva preparato il Maxiprocesso nell' "esilio" forzato all'Asinara dell'estate dell'85, ma anche l'uomo a cui era legato da un affetto profondo, da una stima sincera. Per questo Borsellino correva, correva contro il tempo. Si rimise subito al lavoro, continuando la sua lotta da solo, portando avanti le indagini e andando alla ricerca dei suoi assassini. Lo doveva a Falcone, a Rocco Chinnici, al commissario Ninni Cassarà, a Boris Giuliano e a tutte quelle persone che come lui avevano reso la Mafia qualcosa di terribilmente concreto e reale. Ma Paolo Borsellino era un uomo, come lo erano tutti coloro che avevano sposato la sua stessa causa: la difesa dello Stato. E da uomo sapeva che il principale dovere era quello di essere a posto con la propria coscienza. E lui lo era. Paolo Borsellino venne assassinato prima di poter portare a compimento la sua opera, ma i risultati del suo lavoro si videro dopo. Perché la sua morte, come quella di Falcone, non rappresentò la fine - come Caponnetto, il capo del pool antimafia, affermò in preda al dolore subito dopo l'attentato - ma l'inizio. L'inizio di una nuova storia, dove a combattere per il bene comune non c'erano soltanto magistrati, poliziotti e carabinieri, ma anche comuni esseri umani. Uomini e donne convinti che un domani diverso fosse possibile. Uomini e donne in grado di comprendere come la Mafia non fosse soltanto un cancro per la Sicilia ma per il mondo intero. Uomini e donne persuasi nel credere che non bisogna essere "speciali" per cambiare il mondo. Perché in fondo, speciale non lo era neanche Paolo Borsellino: un uomo qualunque, un uomo che sorride, che scherza e che sogna. E che continua a farlo negli occhi e nell'animo di tutti coloro che hanno avuto la forza e il coraggio di seguirne l'esempio.

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