Passa ai contenuti principali

 CIAO, ISABELLA! 

Diciassette anni, una testa di capelli riccioluti su un corpo esile, la gomma "ciancicata" all'angolo della bocca e una frase: "Ah stronzo, punto esclamativo". Così Isabella De Bernardi entrò nella storia del cinema, con quella scena in cui dava del "fascio" a Mario Brega nell'opera prima di Carlo Verdone, "Un sacco bello". 



Era il 1980, e per qualche anno il suo volto da "pischella" ribelle fece capolino in diversi film, regalandoci gustosi momenti comici. E pensare che il cinema ce l'aveva in casa. Suo padre era il grande Piero De Bernardi, lo sceneggiatore che, in coppia con Leo Benvenuti, firmò tra le più belle pellicole della commedia nazionale. Proprio con loro, Carlo Verdone stava infatti stilando la sceneggiatura del suo primo film in casa De Bernardi.


Isabella De Bernardi con Carlo Verdone in "Un sacco bello" (1980).


 Un giorno rimase folgorato da Isabella, vedendola litigare con la sorella. Venne colpito dal suo linguaggio colorito, dalla sua spontanea comicità e decise di offrirle una parte.


Isabella De Bernardi con Alberto Sordi in "Io so che tu sai che io so" (1982)



Così, nei panni di Fiorenza, la fidanzata hippie di Ruggero, Isabella riuscì a trovare un piccolo posto nel panorama cinematografico nazionale. Infatti, arrivarono presto altre occasioni. Con Verdone recitò ancora in "Borotalco"(1982) e "Il bambino e il poliziotto"(1989), ma lavorò anche con Alberto Sordi in "Io so che tu sai che io so" (1982), e ancora apparve nella serie cult "I ragazzi della 3a C"(1987) dove era Luana, la compagna di treno di Bruno Sacchi/Fabrizio Bracconeri.


Isabella De Bernardi con Fabrizio Bracconeri ne "I ragazzi della 3C"(1987).


Poi, però, decise di lasciare la carriera, seguendo la sua passione per il disegno come grafica pubblicitaria e art director, fino ad oggi e alla sua improvvisa scomparsa che ci ha lasciati tutti attoniti.

La sua immagine, tuttavia, rimane indelebile nel cuore di tutti noi, come il viso da "impunita" di Fiorenza e quel sorriso da "dritta" che, siamo certi, continuerà a splendere da qualche parte Lassù. Ciao, Isabella!

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...