Passa ai contenuti principali
ADDIO AD OMERO ANTONUTTI: ULTIMO "GRANDE" INTERPRETE

La sua voce, la sua recitazione intensa e il suo sguardo hanno fatto grande il cinema italiano.
Omero Antonutti - scomparso la scorsa notte all'ospedale di Udine a causa di un tumore contro cui lottava da tempo - era, a mio avviso, uno degli ultimi grandi interpreti italiani ancora in vita.



Una carriera ricca di esperienze - divisa tra cinema, teatro, Tv e doppiaggio - cominciata nella seconda metà degli anni '60 e che ha raggiunto l'apice tra gli anni '70 ed '80, soprattutto in collaborazione con i Fratelli Taviani.
 Nato a Basiliano, in Friuli, il 3 agosto del 1935, esordì nel cinema con un piccolo ruolo ne "Le piacevoli notti" (1966) di Armando Crispini e Luciano Lucignani, accanto a Vittorio Gassman
 e Ugo Tognazzi. Il suo primo grande successo è però considerata l'interpretazione di Efisio Ledda in "Padre padrone" (1977) dei fratelli Taviani.




                                        Omero Antonutti con Massimo Ghini in "Una storia semplice".


Personalmente, invece, ho apprezzato particolarmente Antonutti nel ruolo di Galvano Galvani ne "La notte di San Lorenzo" (1982) dei fratelli Taviani e in quello di padre Cricco in "Una storia semplice" (1991) di Emidio Greco - tratto dall'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia. Inoltre sono rimasto particolarmente colpito dalla sua interpretazione - che oserei definire magistrale - del banchiere Roberto Calvi (quello del Banco Ambrosiano) nel film "I banchieri di Dio - il caso Calvi" (2002) di Giuseppe Ferrara.


                                

              Omero Antonutti con Alessandro Gassman e Giancarlo Giannini in "I banchieri di Dio - il caso Calvi".



Ma sono tanti i "volti" assunti da questo grande artista di cui già si comincia a sentire l'assenza. Ciò che ci consola, però, è la certezza che la sua arte e la sua bravura restano immortali, come immortali
sono le innumerevoli pellicole che hanno fatto di Omero Antonutti un indimenticabile Talento del cinema italiano.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...