Passa ai contenuti principali
IL "BENE COMUNE" CONTA ANCORA?


18 aprile 1948. Dopo il referendum del '46, dopo la firma della Costituzione, gli italiani sono chiamati al voto, il primo dopo la "liberazione".
Sono anni difficili. Il mondo è diviso in due: da un lato gli Stati Uniti, dall'altro l'Unione Sovietica.
L'Italia deve schierarsi. E lo fa con queste elezioni che vedono competere due schieramenti: da un lato la Democrazia cristiana, dall'altro il Fronte socialcomunista, ovvero Pci e Psi. Il primo è per l'alleanza con il blocco occidentale, il secondo per quello orientale.



Fu una lotta dura. La campagna elettorale passò alla storia, con slogan che contribuirono non poco alla popolarità del partito cattolico (Dc): memorabile lo slogan "Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no!", creato da Giovannino Guareschi.
La vittoria è storia nota: con circa il 50% dei voti vince la Dc guidata da Alcide De Gasperi, lasciandosi alle spalle il Pci, guidato da Palmiro Togliatti, e il Psi di Pietro Nenni.
Così l'Italia si "divide", dando vita alla famosa Prima Repubblica, in parte condannata in parte rimpianta.
Erano gli anni delle divisioni: Dc e Pci, De Gasperi e Togliatti, don Camillo e Peppone, Bartali e Coppi, Vespa e Lambretta, Loren e Lollobrigida. Rivalità che hanno segnato un'epoca.
Ma queste divisioni, erano frutto di inimicizie? Niente affatto, era pura e semplice rivalità. Gli italiani erano su posizioni differenti: c'era chi votava Dc chi Pci, chi tifava Bartali e chi Coppi, chi andava in Vespa e chi in Lambretta, chi sognava la Loren chi la Lollobrigida, ma vi era un solo sentimento comune: il bene dell'Italia.
Quel che mi chiedo è: a distanza di settant'anni, è ancora così? In un mondo dove ciò che conta è primeggiare, dove si pensa soltanto al proprio tornaconto ed il "bene comune" - come direbbe Rousseau - è passato in secondo piano, c'è ancora qualcuno che ha davvero voglia di risollevare questo paese? Mi auguro di sì.

Commenti

Post popolari in questo blog

GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...
DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...