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 MARIO MEROLA: "'NA VOCE", 'NA STORIA


Apriva la bocca e stringeva i cuori. Ce lo ricordiamo tutti, Mario Merola. Col suo sguardo lucido di lacrime, il faccione scolpito nel legno e il corpo grande, grosso ma elegantemente vestito ha fatto conoscere in tutto il mondo la “sceneggiata”, una delle forme di spettacolo più antiche della cultura napoletana.




"'Na voce" calda, appassionata, profonda. " 'Na voce" che gridava d’ammore e ddolore, di padri di famiglia, di disgraziati nei guai, di uomini traditi che gridano vendetta, ma anche di boss mafiosi. Lui che era stato un umile scaricatore di porto che cantava "co 'e cumpagne", i colleghi di lavoro, per allietare le giornate distrutte dalla fatica, e che nel 1959 si era ritrovato, vincendo un concorso per voci nuove, a cantare in pubblico. Un pubblico che l’ha sempre seguito: dalle tournée mondiali al Festival di Napoli, dal grande schermo (dove tra gli anni ’70 e ’80 partecipò a decine di film, passando dalla sceneggiata al poliziottesco) al piccolo schermo, dove apparve di frequente negli ultimi anni di vita insieme al figlio Francesco, anch’egli cantante. La fama, la celebrità, "'e denari", i soldi, però, non scalfirono mai il suo cuore umile. Mario Merola rimase fino alla fine un uomo semplice e genuino. Il figlio di un ciabattino che grazie a "'Na voce" era diventato il cantore di Napoli e della sua tradizione musicale. Eppure, quando saliva sul palco, con un bell’abito e il garofano all’occhiello sembrava un vero “signore”. Un “Mammasantissima”, ma della canzone napoletana. Un uomo che sapeva emozionare, inanellando una nota dopo l’altra. E sì, possono anche non piacere le sue canzoni, si possono anche disprezzare i suoi film (che non saranno capolavori, ma ritratti verosimili di una realtà oggi forse remota), ma Mario Merola appartiene alla Storia, napoletana e non, e a novant’anni dalla sua nascita, attraverso la sua voce, varrebbe la pena riscoprirla.

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