BAUMAN, LA CULTURA SALVERÀ L’EUROPA
Ho riletto quelle parole, con attenzione. Ho riletto quelle parole che mi avevano affascinato, qualche anno fa, da studente alle prese con un interessante (quanto corposo) esame universitario di Filosofia della Storia. Ho riletto quelle parole come tributo. Tributo a un sociologo e a un pensatore, ma prima di tutto a un uomo che se oggi fosse qui griderebbe, dai microfoni della Storia, la sua verità.
Perché sono convinto che alla veneranda età di cento anni, Zygmunt Bauman avrebbe ancora da dire, o da ridire. Ridire nel senso letterale del termine. Ripetere ciò che fingiamo di non sapere e che lui ha sempre sostenuto. Fin dagli albori di quella “società liquida”, emblema della post-modernità, che ha reso tutto certamente più dinamico, più fluido e aperto alle novità, ma anche più precario. Ebbene, rileggendo le parole di Bauman in L’Europa è un’avventura ho ritrovato un pensiero che mi accompagna costantemente negli ultimi tempi. L’Europa, la madre Europa, che fine ha fatto? E non mi riferisco solo all’Unione Europea - i cui germogli, sbocciati negli anni’50 del secolo scorso, sono parzialmente fioriti a cavallo tra vecchio e nuovo millennio -, e neanche alla federazione di stati immaginata da Colorni, Rossi e Spinelli a Ventotene. Parlo dell’Europa che «ha dominato tutti i continenti, uno dopo l’altro, ma non è mai stata dominata da alcuno di essi; e ha inventato una civiltà che il resto del mondo ha tentato di imitare, oppure è stato obbligato con la forza a replicare, mentre non è mai accaduto (almeno finora) il contrario». L’ Europa la cui cultura «non conosce riposo, una cultura che si nutre del mettere in discussione l’ordine delle cose e anche del mettere in discussione il modo stesso di metterlo in discussione». Che fine ha fatto, l’Europa? Bauman scrive che inizialmente ha dominato il mondo. Scrive che lo ha reso vivibile mediante la civilizzazione. Scrive anche che è stato un modello per gli altri, compresi gli Stati Uniti che, da nuova potenza mondiale, nella seconda metà del novecento, ne hanno in parte frenato il passo, cadenzato e deciso. Ma Bauman scrive anche che la sua cultura, la sua civiltà, colonne portanti dell’Europa che ha valicato secoli, popoli e momenti bui, sono l’ultima possibilità di salvezza. Perché l’Europa deve necessariamente recuperare il suo ruolo. E non per dovere, aggiungerei, ma per diritto. Il diritto di esercitare la facoltà di rimettere in sesto un ordine ormai perduto. Un ordine che essa stessa ha messo su, e non senza pesanti sconfitte e sonore vittorie. In tal senso, l’Europa è un’avventura. Un’avventura da compiere tutti insieme, con coraggio, determinazione e spirito di sacrificio. Bauman scrive che l’Europa «è pronta, se non a fare da guida, quasi sicuramente a mostrare come si passa dal pianeta hobbesiano alla perfetta “unificazione civile nel genere umano” preconizzata da Kant». Ovvero: l’Europa ha istruito e civilizzato il mondo. Quel mondo oggi globalizzato ma avverso allo straniero, tecnologicamente avanzato ma vittima delle false credenze. In cosa consiste, dunque, questa avventura europea? Secondo Bauman nel recupero del suo antico spirito. Perché l’Europa non è una mera unione geopolitica. L’Europa è un sentire comune. Il frutto di un legame geografico e spirituale che ha retto a catastrofi immani. L’Europa è un insieme di culture, di popoli e tradizioni che hanno sempre trovato il giusto equilibrio per una convivenza pacifica. Per questo l’Europa non può e non deve fermarsi a guardare, non può abbassarsi porgendo il dorso, come fosse un tavolo da gioco su cui i bicipiti di Trump e Putin si sfidano a “braccio di ferro” mentre il resto del mondo precipita nell’abisso. L’Europa, invece, merita di sedersi al tavolo e giocare la sua partita, magari dettare anche le sue regole. Perché ne ha le competenze, ma soprattutto la cultura. Perché sa cosa significano parole come vicinanza, cooperazione, solidarietà. Perché sa che da soli si può partire, ma soltanto insieme si arriva lontano. «In questo gioco i guadagni o le perdite sono concepibili soltanto insieme. O vinciamo tutti, o perdiamo tutti. Tertium non datur». Bauman, sono certo, lo scriverebbe ancora.
A.M.M.

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