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NANNI LOY,  GLI ITALIANI ALLO SPECCHIO


Relegarlo al solo cinema o alla sola televisione, sarebbe il più grande errore che si possa commettere. Ma sarebbe altrettanto un errore riconoscere il genio del cineasta e non quello del pioniere del neonato piccolo schermo, come autore e audace intervistatore. Perché la nascita artistica di Nanni Loy, il suo sbocciare alla vita scenica, al racconto lucido, profondamente nitido della realtà, avviene sicuramente sul grande schermo, inizialmente in qualità di aiuto di maestri come Alessandrini, Genina, Puccini (col quale diresse in coppia due film, Parola di ladro, con Gabriele Ferzetti, e Il marito, con Alberto Sordi) e altri purtroppo dimenticati registi del nostro cinema. 



Ed è vero anche che ancora oggi, a trent’anni dalla sua scomparsa - se ne andava il 21 agosto 1995, colto da infarto -, egli è annoverato tra i maestri della commedia italiana e del cinema di denuncia o inchiesta, da Audace colpo dei soliti ignoti a Café Express, da Le quattro giornate di Napoli a Detenuto in attesa di giudizio fino a Pacco, doppio pacco e contropaccotto. Tuttavia è vero anche che Nanni Loy, diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia, una laurea in Giurisprudenza in tasca e l’occhio curioso di chi ha visto la luce su un’isola (la Sardegna di Cagliari, dove nacque il 23 ottobre del 1925) e vuole andare oltre quei confini lambiti dalle acque del mare, deve gran parte della sua popolarità alla televisione. Loy è stato uno di quegli sperimentatori che hanno fatto grande la Radiotelevisione italiana. Era l’Italia di metà anni ‘60. L’Italia operosa, onesta lavoratrice. L’Italia che col “boom economico” aveva riempito le tasche ma non aveva indurito i cuori delle persone, ancora inclini alla gentilezza e a quella timidezza ormai perdute. E allora ecco che Nanni Loy sfrutta, nel senso buono, l’ingenuità delle persone, provocandole, prendendole elegantemente per i fondelli, e riprendendo le loro reazioni con la cinepresa. Specchio segreto, debutto assoluto della candid camera nella televisione italiana, nel 1964, mostrò a un Paese intero quanto la gente potesse essere buona, comprensiva, addirittura paziente come Giobbe davanti alle situazioni più assurde e stravaganti: come uno sconosciuto e distinto signore che entra in un bar e inzuppa il proprio cornetto nel Vermuth o nel cappuccino dei clienti al banco. La telecamera nascosta dietro uno specchio (da cui il nome della trasmissione) rivelava come l’innocenza della gente potesse determinare reazioni pazienti, assolutamente educate, raramente troppo stizzite, davanti a un Loy che, col sorriso sotto i baffi, indagava nell’animo umano meglio di uno studioso di psicologia. Perché di fronte a quegli specchi, di falso, di preparato non c’era nulla se non una cinepresa e qualche microfono precedentemente posizionati. Come d’altronde non era “falsa” l’Italia del cinema di Loy: soltanto vera finzione prestata al racconto realistico delle cose. Così come dietro quegli specchi segreti era la realtà a prestarsi alla finzione per rivelare se stessa. E ripensando a quelle passate immagini di incredulo stupore, di autentica e genuina bontà, viene da chiedersi se davanti agli stessi specchi, noi italiani del duemila, riusciremmo a mantenere lo stesso aplomb e la medesima naturalezza oppure avremmo addirittura paura di specchiarci, per scoprirci diversi da come pensiamo di essere.


A.M.M.


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