ALBERIGO CROCETTA, IL PIPER E I SOGNI DI UNA GENERAZIONE
«La gente non sorride più/vediamo un mondo vecchio che/ci sta crollando addosso ormai...ma che colpa abbiamo noi?». Già, che colpa avevano Shel Shapiro e i Rokes se il sistema borghese, bigotto e fintamente perbenista, che aveva retto il Bel Paese si stava sgretolando a colpi di acuti e strimpellar di chitarre elettriche? Che colpa avevano i ragazzi del Piper, le fanciulle in minigonna e i “capelloni” che danzavano ai ritmi “yé-yé” sotto le luci stroboscopiche del nuovo tempio della spiritualità laica capitolina? Ma soprattutto, che colpa aveva lui, Alberigo Crocetta, che di quel santuario giovanile di metà anni ‘60 era il supremo sacerdote?
Roma, via Tagliamento, civico 9. Un iconico ingresso che ha visto entrare giovani sconosciuti e uscire grandi celebrità, la RCA italiana “madrina” delle più belle scoperte musicali a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 e Crocetta “padrino” indiscusso di artisti fenomenali e serate indimenticabili passate a ballare, cantare, bere e divertirsi come se non ci fosse un domani. O meglio, progettando un domani migliore. Perché l’Italia degli anni ‘60 non era soltanto quella del “boom economico”, dei padri lavoratori indefessi, delle madri massaie sorridenti nelle réclame di Carosello tra lavatrici, frullatori e doppi brodi pronti in cinque minuti. Era soprattutto l’Italia dei giovani, di ragazzi liberi e indipendenti che non avevano conosciuto la miseria, le privazioni, che vivevano una società moderna e “satolla” di tutto esteriormente eppure povera e vecchia nell’animo (almeno secondo loro). Una società da cambiare a ritmo di musica da una generazione cresciuta a pane, beat e rock. Una generazione che vedeva in Alberigo Crocetta e nel suo locale la consacrazione per essere finalmente se stessa. Febbraio 1965, il Piper Club apre i battenti a una gioventù desiderosa di volare sulle ali della musica verso un futuro più bello. Alberigo Crocetta, quasi quarant’anni - era nato il 25 luglio 1925, un secolo fa esatto -, una laurea in Giurisprudenza in tasca ma la passione per la musica nel cuore, apre le porte a ragazzi e ragazze pronti a cambiare schemi e regole con la potenza della musica e al ritmo di balli sfrenati da consumare fino a notte fonda, mentre i matusa, i genitori, aspettano ansimanti dietro la porta di casa il ritorno di figli “zazzeruti”, resi sordi alle loro prediche dal frastuono di quelle melodie che per i nonni (i matusa di grado superiore) erano opera del demonio. E mentre i Rokes e gli Equipe ‘84 si sfidano a colpi di ritornelli, Nicoletta Strambelli, bionda “tosa” veneziana, diventa l’indiscussa ragazza del Piper col nome di Patty Pravo. Mentre Caterina Caselli ribalta gli standard delle acconciature femminili col suo “casco d’oro” Mita Medici, hippy in piena regola, si lancia in danze scatenate. Mentre Renato Zero sfoggia abiti mai visti su corpi maschili la sua amica Mimì Berté, giovane e sconosciuta ragazza calabrese, fa intuire al mondo chi sarebbe diventata. E mentre Mal fa innamorare tutte col suo sguardo “abballiante” e il suo accento british, Alberigo Crocetta ammira frotte di giovani urlanti che si strappano i capelli per un autografo, una foto coi propri beniamini o semplicemente per la gioia di poter raccontare l’indomani, tra i banchi di scuola, di aver assistito a uno spettacolo unico. Luci, suoni, musica, colori vivaci, brindisi allegri il tutto sotto una buona stella: quella della straripante allegria mascherata da finta ribellione. Perché sì, al Piper Club di Crocetta ci andava chi contestava lo status quo, chi voleva che la società cambiasse, che i vecchi totem del buoncostume e della pubblica morale puritana venissero abbattuti a favore delle insegne di una nuova libertà di costumi, opinioni e ideali che passava anche attraverso la musica. Ma i ragazzi del Piper erano, nel profondo, molto ingenui. Erano i figli del benessere, della televisione in salotto, della lavatrice nel tinello, delle paste grasse comprate alla domenica uscendo dalla messa delle 11 e delle vacanze estive sui lidi più ambiti (e spesso proibiti ad alcune tasche) delle amene località costiere. Erano giovani che si illudevano di cambiare il mondo indossando gonne troppo corte, se donne, o portando capelli troppo lunghi, se maschi. Credevano che un blue-jeans indossato sotto il maglione coi rombi regalato dalla mamma per il compleanno oppure un caschetto bruno che lasciava scoperte le orecchie bastassero come atto di ribellione, se accompagnati dall’ascolto compulsivo di 45 giri che inneggiavano ad amori romantici vissuti sul filo delle emozioni che rendono tutto lecito. Anche un bacio appassionato in pubblico, in una sala piena di gente che balla stretta mentre Rita Pavone canta Questo nostro amore. Ma che colpa abbiamo noi, direbbero ancora Shel e i suoi Rokes, se sono state soltanto illusioni? L’importante è aver avuto la possibilità di viverle. Quella generazione, cresciuta nella bambagia e nelle illusioni più puerili, ha avuto, grazie anche a uomini come Crocetta, la fortuna di vivere un momento storico irripetibile, dove la musica non aveva colpe ma solo colpevoli. Colpevoli di vivere i propri sogni fino in fondo.
A.M.M.
Commenti
Posta un commento