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PAPA WOJTYLA, QUEL SENTIERO NEL CIELO



«Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo». Due milioni di giovani, riuniti a Tor Vergata, a Roma, per una veglia di preghiera in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) nel 2000, in concomitanza col Giubileo. Un papa dal volto rotondo, dallo sguardo vispo e dal sorriso sincero regalava ai presenti questo messaggio di speranza, mentre nell’aria risuonava Jesus Christ you are my life, Gesù Cristo tu sei la mia vita. Papa Giovanni Paolo II stava mantenendo con fede il suo impegno. Traghettare una umanità afflitta, sconfitta e delusa nel ventre del nuovo secolo, confidando tutto nella forza e nella tenacia dei ragazzi. 





Quei giovani che vedevano in lui il nonno buono, che sa darti baci e carezze, ma sa anche redarguirti se sbagli. Fu lui stesso a dirlo, quella sera d’ottobre del 1978, quando presentandosi come un uomo «venuto di molto lontano» chiese di correggerlo se avesse sbagliato. Papa Karol Wojtyla, ovviamente, si riferiva alla pronuncia italiana di quello che era stato un semplice prete e poi un arcivescovo polacco, ma il suo intento era chiaro. Voleva amare ed essere amato, capire ed essere capito. Non voleva più guerre, divisioni, violenze. Non voleva che qualcun altro soffrisse ciò che aveva sofferto lui nella Polonia ostaggio delle follie  naziste sovietiche. Aveva respirato con orgoglio l’aria emessa da quel Wind of change che aveva portato alla fine della Guerra fredda e al dialogo tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Quel mondo nuovo sancito dalla distruzione del muro che per ben ventotto anni aveva diviso in due la città di Berlino. E venticinque anni fa, alle prime luci del 2000, col Giubileo e la GMG, si rivolse soprattutto al coraggio e alla sana follia di ragazze e ragazzi pronti a lanciarsi al futuro con il cuore pieno di gioia e di ottimismo. Papa Giovanni Paolo II, il pontefice conservatore che amava viaggiare, che praticava sport, che sciava col Presidente partigiano sull’Adamello, che subì ben due attentati, che gridò contro la mafia nella Valle dei Templi, che aveva pregato e lottato per la fine dei totalitarismi, disse anche una frase che ancora oggi fa effetto: «L’Europa del futuro o sarà cristiana, o non sarà». E bisogna stare attenti al termine “cristiano”. Perché non si riferiva soltanto alla confessione religiosa, quel papa che aveva riconciliato i cristiani coi “fratelli” ebraici e aveva promosso comprensione e rispetto reciproco tra i vari culti. Egli intendeva quale cristiana una Europa di sincera fede nei valori della vita, nella reciproca sussistenza, nel fronte comune contro i mali del mondo, nel rispetto dell’altro, il prossimo di evangelica definizione che supera i confini delle singole identità religiose. Papa Wojtyla dimostrò fermezza e tenacia, ma il suo tempo nel terzo millennio durò appena cinque anni. Il 2 aprile 2005, dopo aver vissuto la sua personale Via Crucis, celebrando la Santa Pasqua in comunione con se stesso e con Dio, tra sofferenze e preghiere, papa Giovanni Paolo II lasciò questa terra con la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile. Venti anni dopo la sua morte e nel pieno di un nuovo Giubileo, le sue parole, i suoi moniti, i suoi auspici sono più che mai attuali. E un papa diverso da lui ma ugualmente amatissimo dai figli di quei giovani del 2000, anch’esso anziano, stanco, ma pieno di forza e di vita, ci esorta alla stessa maniera. Forse perché conosce quel sentiero, che dal cielo mira dritto al cuore, su cui papa Giovanni Paolo II ha mosso e (forse) muove ancora i suoi passi. Ne parlava una vecchia canzone: «C’è un sentiero nel cielo che i cuori illumina/ In tanta luce c’è tanta pace, c’è tanto amor».


A.M.M.

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