GABRIELE FERZETTI, IL DIVIN ATTORE
Se fosse nato americano, probabilmente la sua vita e la sua carriera avrebbero avuto un corso differente. Il suo nome sarebbe finito sulla Walk of Fame di Hollywood, al pari di quelli di James Stewart, Gregory Peck, Rock Hudson e Paul Newman. Per fortuna, però, Gabriele Ferzetti nacque a Roma un secolo fa - il 17 marzo 1925 -, e la sua bravura, il suo fascino e la sua indiscussa presenza ne hanno fatto un perfetto divo del cinema italiano. Divo non nel senso di star, di celebrità consacrata, di personaggio popolare e venerato, come Gassman, Sordi o Mastroianni. Divo in quanto divino.
Gabriele Ferzetti possedeva la classe, lo charme, la sobrietà e l’eleganza di chi può avere tutto con uno schiocco di dita e un sorriso intrigante. È stato il seduttore sfacciato, il marito tradito, il “principe azzurro”, il ladro gentiluomo ma soprattutto l’uomo tormentato. Inquietudini, dissidi interiori, crisi esistenziali hanno caratterizzato la sua cinematografia, disseminata di grandi prove drammatiche, come nel caso de La provinciale di Soldati, con Gina Lollobrigida, Le amiche e L’avventura di Antonioni, oppure La lunga notte del ’43 di Vancini. Ma anche di felicissime incursioni nel cinema leggero, come Donatella di Monicelli, accanto a Elsa Merlini, e Nata di marzo di Pietrangeli, con Jacqueline Sassard, dando gran prova di sé come attore brillante.
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In alto, Gabriele Ferzetti con Gina Lollobrigida ne “La provinciale” (1953) di Mario Soldati. In basso, con Monica Vitti ne “L’avventura” (1960) di Michelangelo Antonioni. |
La sua recitazione incisiva, meticolosa, capace di mettere in evidenza il carattere ambiguo dei suoi personaggi emerse però soprattutto in film come A ciascuno il suo di Elio Petri, dove vestiva i panni dell’avvocato Rosello, successi internazionali come Agente 007 - Al servizio segreto di Sua Maestà di Peter Hunt e C’era una volta il West di Sergio Leone - dove era il cinico magnate Morton -, e pellicole di denuncia sociale come Bisturi - La mafia bianca di Luigi Zampa, dove interpretava il potente chirurgo Vallotti.
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In alto, Gabriele Ferzetti con Elsa Martinelli in “Donatella” (1956) di Mario Monicelli. In basso, con Jacqueline Sassard in “Nata di marzo” (1958) di Antonio Pietrangeli. |
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Titoli e ruoli che sicuramente contribuirono alla sua affermazione, anche fuori dai confini nazionali, dove Gabriele Ferzetti ebbe forse meno occasioni di altri, ma sicuramente più incisive. Quest’uomo così affascinante, talentuoso, polivalente, che agli esordi ebbe anche successo in palcoscenico, sotto la guida di Visconti, mentre nella maturità trovò sul piccolo schermo il luogo perfetto per continuare a lavorare con discrezione e sobrietà, era però caratterialmente l’esatto contrario del divo. Non amava i piedistalli, le ostentazioni, la gloria a ogni costo.
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In basso, con Gian Maria Volonté in “A ciascuno il suo” (1967) di Elio Petri. |

Era una persona riservata, forse timida, a tratti anche insicura, come alcuni dei suoi personaggi in bianco e nero afflitti da quei moti dell’anima che sembrano non dare requie. E quel desiderio di intimità gli ha concesso quello che i grandi divi non hanno mai avuto: la possibilità di decidere se e quando esporre il proprio volto.
Gabriele Ferzetti ha espressamente voluto restare in disparte. Rinunciare alla mondanità, ai riflettori perennemente puntati addosso, agli ossequi e alle lodi. È stato ammirato, certo, ma forse anche poco compreso da chi ha scambiato la sua ritrosia per superbia. Ma non era così, perché la sua vita, fuori e dentro la scena, non è mai stata quella delle grandi stelle del cinema a cui lui non aveva nulla da invidiare, in fascino e talento. Ferzetti ha vissuto e recitato con discrezione e con la stessa discrezione, il 2 dicembre 2015, alla lodevole età di novant’anni, ha lasciato questo mondo di divismi e futili successi per entrare in una dimensione a lui più congeniale. Perché attori si nasce, divi si diventa, ma divini attori si resta, per l’eternità.
A.M.M.
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