Passa ai contenuti principali

BUON COMPLEANNO, BOBBY!


Basta mettergli una chitarra in mano per capire che l’età anagrafica non conta nulla. Lo vedi dimenarsi, con le sue gambette inguainate in stretti pantaloni, mentre il leggendario ciuffo oscilla e fluttua nell’aria a tempo di swing e rock ’n’ roll. Bobby Solo, al secolo Roberto Satti, compie ottant’anni, ma la sua voce, calda e rotonda, e la sua anima sono quelli di un ragazzino che sognava di diventare come The Pelvis e, in fondo, c’è riuscito. 





Perché è vero che la sua fama è legata alla dolcezza di brani come Una lacrima sul viso, Se piangi, se ridi, Zingara e Non c’è più niente da fare, tra festival (da Sanremo al Cantagiro), “musicarelli” e concerti intorno al globo. Ma Bobby Solo ha sempre rivendicato le sue origini rock. Giacche scintillanti, cravatta americana, lenti azzurrate, stivaletti in pelle. Basta chiedergli una canzone di Elvis, come Love Me Tender, per farlo felice come un bambino. D’altra parte non c’è dubbio: assieme all’amico fraterno Little Tony, Bobby Solo è stato ed è l’effige del rock ’n’ roll all’italiana. Un Elvis cittadino romano. Un Pelvisall’amatriciana”, autoironico e folle ma sempre entro i limiti di legge. Perché un po’ di follia ci vuole, anche quando hai raggiunto la piena età matura e magari saresti spinto a fare un passo indietro. Ma se ti chiami Bobby Solo, porti divinamente un ciuffo argenteo e continui ad ancheggiare come a vent’anni anche se sei un nonno, perché dovresti fermarti? Fallo significherebbe smettere di sognare, guardare la realtà con gli occhi del disincanto e dell’età adulta. Lui invece è un fanciullone che nel 2003, sul palco dell’Ariston assieme a Tony, ci aveva raccontato la sua verità: Non si cresce mai. Alla fine, più che di eterna giovinezza, si tratta solo di coerenza. Buon compleanno, Bobby!


A.M.M.


Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...