Passa ai contenuti principali

 STAN LAUREL, LO “STUPÍDO” NEL CUORE DI OLLIO

Davanti a loro, bisognerebbe ancora oggi togliersi il cappello, o meglio la bombetta. La loro parabola artistica, lunga, affascinante, rocambolesca come le loro gag, visse di alti e di bassi, fino a concludersi, con l’avanzare della loro età e il cambiamento di un’epoca contro cui il loro talento, messo più volte a dura prova, non poté nulla.



Laurel & Hardy, per noi Stanlio & Ollio, era la premiata ditta che partiva con buoni propositi, apparentemente lodevoli, intelligenti e anche ingegnosi, ma che si risolvevano puntualmente in tragicomiche avventure dove i due soci facevano ridere anche senza proferir verbo. Stan Laurel, Stanlio, quello magrolino, il piagnone che si grattava la testa sia per riflettere che per “espiare” la colpa di un piede in fallo, se ne andava sessant’anni fa, il 23 febbraio 1965, malato di cuore, sofferente di diabete e rinchiuso nella solitudine di una casa affacciata sull’Oceano Pacifico, a Santa Monica, in California. Soli otto anni prima se ne era andata la sua dolce metà, Oliver Hardy, Ollio, quello grande e grosso, col baffettino, i nervi a fior di pelle e l’aria dell’uomo risoluto, apparentemente più accorto ma altrettanto combinaguai. Stan e Oliver avevano vissuto in tandem per più di vent’anni, passando dal cinema muto al sonoro, da piccole gag a veri e propri lungometraggi, seguendo l’evolversi del magico mondo del cinema americano che l’aveva issati sul piedistallo per poi lasciarli precipitare giù, quando ormai sembrava che tutti si fossero dimenticati di loro. 


Stanlio & Ollio.

Stan era arrivato in America dopo lunghe tournée con la compagnia Karno, nei primi anni del secolo scorso. Classe 1890, inglese, un passato da comico della music hall e circense, passò dal teatro al cinema nel 1917, ma soltanto dieci anni dopo, grazie al regista Hal Roach e all’incontro con l’attore statunitense Oliver Hardy, trovò la consacrazione all’ombra della collina di Hollywood. Piccolo e gracile l’uno, alto e corpulento laltro, bastavano due bombette calcate in maniera buffa, due salopette o due vestiti sdruciti, un farfallino per Stan e una cravatta da arrotolare nervosamente per Oliver ed ecco che le comiche avevano inizio. Secchi d’acqua o di altro liquido rovesciati in testa, lavori edili tramutati in vere e proprie opere di demolizione casalinga, “macinini” a quattro ruote guidati con sprezzo del pericolo o meglio con mancanza di senno. Oppure ancora goffe figure con dame affascinanti perdute davanti alla simpatia straripante di due mattacchioni che sembravano venire da un altro pianeta. Perché sì, Stanlio e Ollio sembravano provenire davvero da un mondo lontano. Un mondo dove “gli asini volano nel ciel” e ci si può beccare qualsiasi cosa sulla testa senza farsi troppo male, o cadere da una scala a pioli senza rompersi l’osso del collo, come nei cartoni animati. Tra gli anni ‘30 e ‘40, quel mondo folle e apparentemente sconclusionato fece brillare di luce sfavillante la collina di Hollywood. Ma i tempi cambiano, gli uomini invecchiano e così Stanlio e Ollio si videro costretti, loro malgrado, a sciogliere la società, pur rimanendo legati a doppio filo da quella vita fatta di premi, applausi, cadute maldestre e risate a profusione. Si ritirarono nel loro silenzioso mondo, dove le parole, portate in dote dal sonoro, avevano reso le loro comiche ancor più belle, ma senza mai superare in valore i gesti. E in quell’ universo parallelo, in simbiosi, i due continuarono a sopravvivere in un’ epoca ormai fatta di divi dall’aria tenebrosa e il fisico scultoreo, di grandi drammi e avventure western compiute fino all’ultimo assalto alla diligenza. Poi l’età che avanza e la malattia. Nel 1957, il sorriso gaio di Oliver Hardy, reso parlante per noi dalla voce baritonale di Alberto Sordi, si spense per sempre. Quello più goffo e fanciullesco di Stan (doppiato da Mauro Zambuto), invece, cominciò ad affievolirsi. Sentiva forte la mancanza di una parte di sé, forse la più importante. Quella che lo rendeva completo, come uomo e come comico. E forse chissà, lo stesso provava Ollio che, arrotolando la sua cravatta con ansia e impazienza, lo attendeva Lassù, nel posto in cui certamente si ride di più. Perché ci piace ricordarli di nuovo insieme, perché non può esistere Stanlio senza Ollio, e viceversa. E così, sessant’anni dopo, ci piace festeggiare la loro riunificazione, in quel mondo ilare e sconclusionato, con Stan che mette a soqquadro la vita di Ollio con le sue marachelle e il corpulento amico che gli dà dello “stupído” per poi scoppiare a ridere di cuore insieme. Proseguendo una bellissima esistenza in due, sul filo della comicità e dell’amicizia sincera.

A.M.M.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...