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ANNA MARIA FERRERO, L’INTENSITÀ

«Aveva una tale intensità negli occhi» e fu quella a contraddistinguerla per sempre. Claudio Gora, al debutto come regista con Il cielo è rosso, se ne accorse appena vide quella bambina per le strade di Roma, riconoscendo nel suo volto luminoso e malinconico al tempo stesso ciò che stava cercando. La piccola Giulia, la ragazzina tubercolotica che muore nella Capitale sventrata dai bombardamenti. Era il 1949 e Anna Maria Ferrero (Anna Maria Guerra per l’anagrafe), quindicenne, rivelò di avere dentro sé tutto ciò che serviva per essere attrice. La grazia, la spontaneità, la dolcezza ma soprattutto l’intensità. Anna Maria Ferrero ha fatto della profondità il suo tratto distintivo.                                             

                                                                            


Il suo splendido sorriso, la sua figura minuta, i suoi occhi, grandi, limpidi e tristi, sembravano contrastare con il suo carattere irrequieto, a tratti indomito. La ragazza fragile e ingenua, portata sul grande schermo più e più volte, passando dalla regia di Brignone, Lizzani, Bolognini e Antonioni a quelle di De Sica,  De Filippo e Monicelli, dal dramma alla commedia, sembrava perfettamente incarnata da quel volto che ispirava dolcezza e affetto. 


In alto, Anna Maria Ferrero con Misha Auer ne “Il cielo è rosso” (1950) di Claudio Gora.
In basso, con Marcello Mastroianni in 
“Cronache di poveri amanti” (1954) di Carlo Lizzani.



Ma Anna Maria Ferrero era una ragazza combattiva, cresciuta prima del tempo, che sapeva esattamente ciò che voleva ed era pronta a ottenerlo. Dopo i primi successi al cinema, sentendosi incapace di cambiare il corso delle cose, “costretta” nelle vesti della fanciulla indifesa, decise di buttarsi nel teatro. 


In alto, Anna Maria Ferrero con Franco Interlenghi ne “I vinti” (1953) di Michelangelo Antonioni.
In basso, con Totò in 
“Totò e Carolina” (1955) di Mario Monicelli.


Entrò così nella compagnia di Vittorio Gassman, che ben presto divenne per lei più di un semplice “maestro”. Il loro amore fu travolgente, appassionato, burrascoso. Anna Maria Ferrero lo visse con intensità, e con la medesima profondità affrontò i ruoli che la consacrarono al successo anche sulle tavole del palcoscenico: Ofelia nell’Amleto, Desdemona nell’Otello e Irma, “la dolce”, nella commedia omonima. 


Anna Maria Ferrero con Vittorio Gassman in “Amleto”.


Accanto a Gassman fu anche protagonista sul piccolo schermo nelle due opere shakespeariane andate in onda tra il 1955 e il 1957, oltre che coprotagonista del celebre sceneggiato Cime tempestose, con Massimo Girotti. A un certo punto, però, si accorse che a lei non bastava. Desiderava tornare a fare cinema. E così fu. 


In alto, Anna Maria Ferrero con Gérard Blain ne “Il gobbo” (1960).
In basso, con Andrea Checchi ne 
“L'oro di Roma” (1961). Entrambi i film sono diretti da Carlo Lizzani.


Tornò sul grande schermo affrontando ancora ruoli impegnativi, come quelli di Nina e di Giulia ne Il gobbo e L’oro di Roma di Lizzani. Nel frattempo nella sua vita era accaduto anche altro. Dopo la fine della relazione con Gassman, Anna Maria Ferrero aveva trovato l’amore vero. Incontrò un bel giovane francese, alto e prestante, un attore ancora pressoché sconosciuto ma destinato a grandi cose, con cui condivisa anche il set: Jean Sorel. Il loro era un sentimento profondo, reciproco, senza riserve. Si sposarono nel 1962 e, nel giro di due anni, Anna Maria Ferrero decise di abbandonare il suo lavoro. 


Anna Maria Ferrero con Jean Sorel.

D’altra parte aveva realizzato il suo desiderio più grande: trovare un uomo, mettere su famiglia e vivere in tranquillità. Si trasferirono in Francia, e in una casa alla periferia di Parigi Anna Maria trascorse il resto della sua vita, intensamente e privatamente. Rare apparizioni pubbliche, pochissime interviste concesse. Qualche rimpianto? Forse sì, ma non troppi. Perché Anna Maria Ferrero, la dolce, l’intensa, era una donna decisa, che non ha mai fatto ciò che non desiderava. Poi, il 21 maggio 2018, quel volto splendido nel fiore degli anni riapparve dopo tanto tempo, per annunciare l’ultimo passo della propria esistenza, che apriva a un’altra dimensione: quella dell’eternità. Forse la dimensione perfetta, perché faceva rima con la sua stessa essenza. Quell’intensità che, a novantuno anni dalla sua nascita, continua a identificarla.

A.M.M.




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