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PINO MANGO: IL SUO CANTO NEL CIELO DI SANT’ANTUONO


Il cielo sopra Sant’Antuono, su quella “casa bianca” citata in un suo grande successo, l’ha visto nascere, crescere, sognare, cantare, provarci, incidere e riuscirci. Un cielo che, tra aprile e maggio, si riempie di rondini che garriscono tra mille piroette. Probabilmente una di quelle rondini ispirò una canzone bellissima di Pino Mango, che sua figlia Angelina, lo scorso febbraio, ha portato a Sanremo in una versione molto speciale, più commovente e intensa dell’originale, forse proprio perché  ispirata dall’amore incondizionato di una ragazza che ha perso suo padre troppo presto. 




E proprio sotto quel cielo, settant’anni fa, il 6 novembre 1954, Pino Mango apriva gli occhi al mondo. Un cielo che d’estate sa essere chiaro e limpido e che, invece, nei lunghi mesi invernali si tinge di colori scuri, preannunciando temporali o fitte pioggerelline, allo stesso tempo antipatiche e poeticamente tristi. Pino Mango ha risentito di quelle atmosfere fin dalla sua gioventù. Perché il cielo di Sant’Antuono, una delle vie più antiche di Lagonegro, in provincia di Potenza, è stato sempre il suo orizzonte. Dal giardino di casa sua, dove ha vissuto da bambino e dove, da adulto, ha costruito la sua nuova famiglia, con Laura Valente, la sua amata compagna, e i figli Filippo e Angelina, Pino Mango osservava quel cielo che cambia col mutare delle stagioni pur restando fedele a se stesso. In quel cielo, la sua voce così speciale ha lanciato acuti incredibili, che pare ancora di ascoltare. Oro, Lei verrà, Mediterraneo, Come Monna Lisa, La rondine, Ti porto in Africa, Chissà se nevica e, in mezzo a tutte, Nella mia città, dove racconta il profondo affetto per il suo paese. «Nella mia città/ c’è una casa bianca/ con un glicine in fiore/ che sale, sale, sale su». Da quella “casa bianca”, Pino Mango è partito tante volte ma lì è sempre ritornato. Non avrebbe mai potuto rinunciare al suo paese, al suo quartiere e alla sua gente. Lì pensava, scriveva, componeva canzoni e moltissime poesie, lì incideva i suoi dischi. Lì, Pino Mango era davvero se stesso, come nelle sue canzoni. Umano, umile, unico. La sua forza, quella che gli aveva dato il coraggio di buttarsi, di immergersi senza paura nelle profondità del mare della musica e di riemergere da vincitore - come il Mergo, l’uccello che campeggia sull’antico stemma della città di Lagonegro, sopra il motto “Immersus emergo” -, era proprio il legame profondo, viscerale con la sua terra, la Basilicata. E proprio lì, tra la sua gente, Pino Mango se n’è andato. Con gentilezza e umiltà. “Scusate”, disse al pubblico di Policoro, in provincia di Matera, prima di accasciarsi sulla tastiera, durante l’esecuzione di Oro, il brano che lo aveva lanciato come cantante. Quella notte, tra il 7 e l’8 dicembre 2014, il cielo sopra Sant’Antuono apparve più scuro del solito. Ma non durò a lungo. Perché Pino Mango, con la sua chitarra, aveva appena superato le nuvole ed era pronto a incominciare la sua nuova vita. E in quella nuova vita, da quasi dieci anni, Pino Mango ha ricominciato a cantare, proprio in quel pezzetto di cielo, sopra la sua casa bianca: per la sua famiglia, per i suoi amici, per il suo pubblico e per tutti coloro che l’hanno amato davvero.


A.M.M.


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