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ALDO SILVANI, L’ELOQUENZA IN SCENA


C’è chi dice che fare l’avvocato sia una forma d’espressione artistica. Bisogna essere credibili in quel che si dice, capaci di improvvisare, di stupire l’uditorio, di regalare colpi di scena e, perché no?, anche qualche sorriso. Ebbene, se le cose stanno così, non stupisce più di tanto che un attore brillante come Aldo Silvani, da giovane laureato in giurisprudenza preferì alla toga i costumi più disparati. Abiti indossati sempre con rigore, maestria e naturalezza, come solo un bravo interprete sa fare. Vestiti abbandonati, purtroppo, solo quando l’unico inesorabile e definitivo sipario, quello dell’esistenza terrena, calò sul suo sguardo sessant’anni fa, il 12 novembre 1964. Fu un tumore, palesatosi nel bel mezzo delle sue attività teatrali e televisive, a togliere dalle scene chi, per le scene, era evidentemente nato.




Classe 1891, torinese, magrissimo, volto scavato, capelli pettinati all’indietro e spesso arruffati, Silvani cominciò a calcare le scene nel 1914 ritrovandosi solo dieci anni dopo a dirigere una compagnia tutta sua, portando in scena il  Cyrano di Rostand. Dopo l’esperienza come direttore dei Carri di Tespi, forma di teatro itinerante promossa dal regime fascista, nel 1935 entrò nella compagnia dell’EIAR, cimentandosi con la prosa radiofonica. Da Eschilo a Dumas, da Pirandello a Shakespeare, non c’è pièce che Aldo Silvani non abbia sperimentato e portato in scena, che si trovasse sulle assi di legno di un teatro, dietro i microfoni della radio o negli studi televisivi della Rai, dove il suo volto ossuto e imbiancato fu tra i protagonisti di grandi sceneggiati, come Piccolo mondo antico,  La cittadella e  I Miserabili, dove vestiva i panni del vescovo. 


In alto, da sinistra, Fosco Giachetti, Aldo Silvani e Alberto Lupo ne ‘‘La cittadella” (1964) di Anton Giulio Majano. 

Ma Silvani fu anche una figura ricorrente sul grande schermo, a partire dagli anni ‘30. Benché in ruoli di contorno lavorò con grandi registi come Alessandro Blasetti, Luigi Zampa, Raffaello Matarrazzo, Mario Mattòli, Steno e Monicelli (per cui fu un esilarante Diavolo tentatore in Al diavolo la celebrità) e perfino Federico Fellini, che gli offrì il ruolo del signor Giraffa ne La strada e quello di un illusionista ne Le notti di Cabiria


In alto, Aldo Silvani con Gino Cervi in ‘‘4 passi fra le nuvole’’ (1942) di Alessandro Blasetti.
In basso, Aldo Silvani con Leonardo Cortese in ‘‘Al diavolo la celebrità’’(1949) di Steno e Monicelli.



Ma se un bravo attore, un grande artista è come un brillante avvocato, allora egli deve anche possedere qualità vocali notevoli, per affabulare e incantare i suoi interlocutori. E Aldo Silvani, neanche a dirlo, possedeva una bella voce, che gli permise anche di diventare un apprezzato doppiatore. 


In alto, da destra, Aldo Silvani, Anthony Quinn e Giulietta Masina ne ‘‘La strada’’ (1954) di Federico Fellini.
In basso, da sinistra, Aldo Silvani, Riccardo Garrone e Yvonne Sanson ne ‘‘L'ultima violenza’’ (1957) di Raffaello Matarrazzo.



Ma un attore vero, come un avvocato vero, non sa vivere senza il contatto diretto, senza il calore del pubblico. Aldo Silvani era cosi. Rimase fedele fino alla fine al palcoscenico, trovando però il giusto compromesso nel piccolo schermo, dove riuscì a fondere l’amore per il teatro con la necessità di divulgare la sua arte ovunque. Proprio sul set del Coriolano di Shakespeare, negli studi televisivi milanesi della Rai, Aldo Silvani venne colto da un malore che, quaranta giorni dopo, lo avrebbe portato alla morte. Un ultimo coup de théâtre? Chi può dirlo. Di sicuro tutti i grandi interpreti vorrebbero andarsene così, immersi nell’arte in corpo e voce, con un gesto di grande eloquenza. E Aldo Silvani, un grande, lo era.


A.M.M.

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