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DOMENICO MODUGNO, UN “MARE” D’EMOZIONI


Oh, oh-oh-oh, che profumo di mare /Oh, oh-oh-oh, piove argento dal cielo”. Forse, guardando per l’ultima volta il suo amato mare, sulla spiaggia dei Conigli, a Lampedusa, a due passi da casa sua, avrà ripensato a questo verso di una sua vecchia canzone. Era la sera del 6 agosto 1994 e Mimmo Modugno, Mr. Volare, l’uomo che rivoluzionò la musica leggera italiana, abbandonava questi lidi per raggiungere nuovi approdi, spalancando le braccia e lasciandosi rapire dal blu, tra Mare e Cielo. 






La prima volta lo aveva fatto nel 1958, sul palco del Casino’ di Sanremo, quando in giacca azzurra e papillon, abbracciando idealmente il pubblico in sala, i telespettatori e i molti radioascoltatori a casa, Domenico Modugno diventò improvvisamente qualcuno. L'anno dopo sarebbe arrivata anche "Piove" ("Ciao ciao bambina, un bacio ancora") ma c’erano già state “Donna Riccia”, “Vecchio frac”, “Musetto”, “Lazzarella”, “Resta cu’ mme”, “Lu pisci spada”, queste ultime apoteosi di quel canto popolare che l’aveva visto esordire esibendosi in dialetto, dal napoletano al siciliano, con lieve disappunto dei suoi conterranei pugliesi - lui era nato a Polignano a Mare, nel 1928 - che non gli avevano perdonato l’essersi spacciato per siculo per esigenze discografiche, o più umanamente per “fame”, agli albori della sua carriera. Eppure Domenico Modugno, prima di “volare felice più in alto del sole ed ancora più su”, aveva anche fatto l’attore: dal Centro Sperimentale di Cinematografia ai set di Cinecittà si fece conoscere per la sua voce, per il suo abile strimpellar (detto con affetto) di chitarre prima ancora che per le sue doti recitative. Che c’erano, e l’avrebbe dimostrato. Partendo dai “musicarelli” strappalacrime o sentimentali ispirati ai suoi brani di successo (“Io, mammeta e tu”, “Lazzarella”, “Nel blu dipinto di blu”) per arrivare agli sceneggiati televisivi (“Scaramouche”, “Western di cosa nostre”) e al teatro, dal “Rinaldo in campo” a “Cyrano”. Tuttavia, che Modugno sapesse recitare lo si capiva anche quando cantava. Nel senso che le sue erano interpretazioni in voce, corpo ed animo. “Come hai fatto”, dove mescola canto e recitazione, forse rispecchia al meglio questa sua caratteristica - riascoltatela, ve ne renderete conto. Ma su “Meraviglioso”, “La lontananza”, “Piange…il telefono”, “Il maestro di violino” - colonna sonora di un suo film altrettanto straordinario - si può dire la stessa cosa. Tuttavia, forse, le corde più profonde del nostro animo le toccò soltanto alla fine. Nel 1993, un anno prima della sua scomparsa, Mimmo Modugno non era più quello di una volta. L’ictus che lo aveva colpito nove anni prima l’aveva scosso profondamente: l’uomo prestante, dal sorriso malandrino sotto i baffetti stretti sulle labbra che avevamo imparato ad amare non c'era più. Era invecchiato, visibilmente provato e portava una lunga barba bianca. Così apparve a “Domenica In”, insieme al figlio Massimo - uno dei tre avuti dalla moglie, l’attrice Franca Gandolfo -,  cantante anch'egli, per presentare Delfini”. Una canzone in cui il mare non è più quello romantico di “Notte di luna calante” - che ho citato all’inizio -, ma una metafora della vita. Il mare come luogo di vita e di morte, di gioia e di dolore, di sfida, di insidie, di vittorie e di sconfitte. Un “gioco da bambini”, proprio come per i delfini. Sì, forse trent’anni fa, scrutando il mare un’ultima volta, Domenico Modugno avrà ripensato anche a un verso di quella canzone: “Sai che c’è? Non ce ne frega niente/Vivremo sempre, noi sorrideremo sempre”. E in quel mare, che sia di salsedine, di musica, di emozioni, di sorrisi o di ricordi, continua a vivere. 


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