Passa ai contenuti principali

ANTON GIULIO MAJANO, LE GRANDI STORIE SCENEGGIATE


 Amava i libri, la letteratura, i grossi volumi che, spesso, scoraggiano a leggere chiunque abbia poca dimestichezza con le pagine scritte nero su bianco e senza immagini. Anton Giulio Majano amava tutto questo ed era convinto fosse giusto che quelle storie potessero raggiungere il grande pubblico. 






Era la fine degli anni ’50, la neonata Rai aveva da poco cominciato a trasmettere su tutto il territorio nazionale e Majano era lì, pronto a rivoluzionare il mezzo televisivo con le grandi storie sceneggiate. 



Arnoldo Foà e Lea Massari in "Capitan Fracassa" (1958).




A interpretare quei racconti, il fior fiore del teatro italiano passato dal palcoscenico ai teatri di posa, in quegli studi dove scenografie, oggetti, personaggi e musiche sembravano riportare in casa la magia del teatro, con quell’alone di mistero offerto dal bianco e nero. 



In alto, Alberto Lupo e Anna Maria Guarnieri ne "La cittadella" (1964).
In basso, Laura Efrikian e Giancarlo Giannini in "David Copperfield" (1965).





Da “Piccole donne”, con Lea Padovani, Vera Silenti e Maresa Gallo, a “Capitan Fracassa” con Arnoldo Foà, da “Delitto e castigo”, con Luigi Vannucchi, a “La freccia nera” con Aldo Reggiani e Loretta Goggi passando per “David Copperfield”, col quasi esordiente Giancarlo Giannini, e “La cittadella”, con una superba Anna Maria Guarnieri e uno straordinario Alberto Lupo. 



Aldo Reggiani e Loretta Goggi ne "La freccia nera" (1968).



Grandi interpreti per grandi storie. Storie appassionate, struggenti. Storie sceneggiate con cura e passione da chi si era fatto le ossa al cinema (tra sceneggiature e regie) ma aveva deciso di donare tutto se stesso alla televisione e alla sua grande capacità divulgativa. E a trent’anni dalla sua morte - avvenuta il 12 agosto 1994 -, tra fiction televisive e webserie, in qualità, fattura, eleganza, interpretazioni e fedeltà alla narrazione letteraria, i suoi grandi sceneggiati hanno ancora molto da insegnare.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...