Passa ai contenuti principali

SUSO CECCHI D’AMICO: SENSIBILITÀ E UNICITÀ


Sensibilità. Ci vuole anche questo per scrivere un buon film. Specialmente se tratto dalla realtà quotidiana, come nel caso del neorealismo o della commedia all’italiana. Ancor di più, forse, quando si vuole portare sul grande schermo un’opera letteraria rendendola accessibile, popolare e allo stesso tempo fedele al testo originario. Ebbene, se la sensibilità è donna, e al netto di “penne” maschili di grande sensibilità che il nostro cinema ha avuto, da Flaiano a Fellini, la firma di Suso Cecchi D’Amico in calce alle sceneggiature più varie del nostro cinema non stupisce affatto. 


 



Specialmente se parliamo di oltre mezzo secolo fa, quando il mondo (non solo quello in celluloide) era dominato dagli uomini, in posizioni di potere così come nei ruoli creativi. Giovanna Cecchi, detta “Suso” fin da bambina, D’Amico per l’unione con Fedele, critico musicale, nata a Roma centodieci anni fa - il 21 luglio 1914 - e cresciuta tra i quadri della madre, Leonetta Pieraccini (celebre pittrice), e i libri del padre Emilio, critico e grande intellettuale, si appassionò fin da subito alla letteratura, in particolare quella inglese. Gli studi a Cambridge le permisero di raggiungere una preparazione e una competenza tali da dedicarsi alla traduzione di molte opere britanniche, tra cui quelle shakespeariane, assistita dal padre (che fu il primo a diffondere in Italia James Joyce). Proprio l’attività di lettrice e traduttrice le permise di entrare nel meccanismo del racconto, di carpirne i segreti, il tessuto e le strutture. Al cinema arrivò con una sceneggiatura non andata in porto: quella di “Avatar”, una romantica storia di ambientazione veneziana tratta da un racconto di Théophile Gautier, scritta assieme a Ennio Flaiano, Alberto Moravia e Renato Castellani. L’esordio ufficiale, però, fu nel 1946, con “Mio figlio professore”, regia di Renato Castellani, tratto da una commedia di De Benedetti e interpretato da Aldo Fabrizi. Da quel momento, Suso Cecchi D’Amico iniziò a scrivere e scrivere, collaborando con  altri grandi sceneggiatori - da Flaiano a Zavattini passando per Age & Scarpelli - e altrettanto grandi registi come il già citato Castellani (“Nella città l’inferno”), Luchino Visconti (“Bellissima”, “Le notti bianche”, “Il Gattopardo”, “Rocco e i suoi fratelli”), Mario Monicelli (“I soliti ignoti”, “Parenti serpenti”, “Le rose del deserto”),  Luigi Zampa (“Vivere in pace”, “L’onorevole Angelina”), Vittorio De Sica (“Ladri di biciclette”, “Miracolo a Milano”), Michelangelo Antonioni (“La signora senza camelie”, “Le amiche”), Francesco Rosi (“I magliari”, “Salvatore Giuliano”). Ad Alessandro Blasetti, realizzando per lui le sceneggiature di “Peccato che sia una canaglia” e “La fortuna di essere donna”, impose come protagonista Sophia Loren, rimasta folgorata dalla sua bellezza e dalla sua eleganza “decorativa” dopo averla incontrata a Cinecittà. Ma la D’Amico non tralasciò neanche la televisione sceneggiando, ad esempio, “Le avventure di Pinocchio” dal capolavoro di Collodi e “Cuore” dal celebre romanzo di De Amicis per Luigi Comencini, oltre a realizzare, con Franco Zeffirelli, la miniserie kolossal “Gesù di Nazareth”. Fiumi e fiumi d’inchiostro che hanno continuato a scorrere fin quasi alla fine - se ne andò a novantasei anni, nel 2010 -, con quella sensibilità premiata nel 1994 con il Leone alla carriera. Ma il vero premio lo possediamo noi: sono le sue sceneggiature. Eterogenee, appassionate, sentimentali, drammatiche, comiche, ma sempre uniche.

Commenti

Post popolari in questo blog

GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...
DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...