Passa ai contenuti principali

 ENRICO MATTEI: UN UOMO, UN SOGNO



La sera del 27 ottobre 1962, nei cieli di Bascapè, nella campagna pavese, svanì un uomo e il suo sogno. Quell'uomo si chiamava Enrico Mattei e sebbene fosse un ingegnere (honoris causa) aveva conservato - dopo anni di militanza politica e una pazzesca scalata ai vertici dello Stato - l'umiltà e la semplicità di quel ragazzo marchigiano che, nemmeno ventenne, aveva cominciato come operaio e fattorino per poi diventare direttore responsabile della medesima azienda per cui lavorava. 






Era nato in provincia di Pesaro, ad Acqualagna - il 29 aprile 1906 -, ma quella che considerava la sua patria era Matelica. L'aveva lasciata per obbligo e per necessità, e aveva fatto bene. Nel giro di pochi anni passò da rappresentante di commercio a fondatore e dirigente di una azienda (la ICL) attiva nel settore chimico. Nel frattempo, la sua scarsa attitudine allo studio non gli aveva impedito di migliorarsi. Sotto la guida del professor Marcello Boldrini, economista, docente alla "Cattolica" di Milano, suo amico e compaesano, Enrico Mattei forgiò quella coscienza sociale che lo avrebbe portato in alto, guidandolo nelle sue scelte. Prima capo partigiano nella Resistenza "bianca", poi, nel Dopoguerra, ai vertici dell'Agip, l'agenzia petrolifera nata sotto il Fascismo che tutti avrebbero voluto liquidare. Mattei, però, capì che non era giusto: l'Italia avrebbe avuto finalmente le risorse necessarie per la sua ripresa economica. Le fonti energetiche erano una condizione indispensabile alla Ricostruzione. Così  nacque l'ENI, arrivò la "Supercortemaggiore, la potente benzina italiana" e le Fiat 600 e le Fiat 500 cominciarono a correre in lungo e in largo per lo Stivale, orgogliose di essere alimentate dal "petrolio italiano". Ma non bastava: le risorse petrolifere e metanifere nazionali - fu Mattei a portare per la prima volta il metano in tutte le industrie e le case italiane - erano insufficienti a soddisfare le esigenze di un Paese in pieno sviluppo. Allora Mattei iniziò a volare in giro per il mondo a bordo del suo piccolo bireattore, un Morane Saulnier: dall'Africa all'Urss - rischiando un incidente diplomatico tra l'Italia filoamericana, gli Stati Uniti e il governo sovietico - , dalla Persia all'Egitto. Mattei diede inizio ad una rivoluzione democratica, sociale, politica ed economica. La decolonizzazione - la fine degli imperi economici delle grandi potenze europee - ricevette una spinta così drastica tanto da far apparire Mattei quale sovvertitore dell'ordine costituito. Ma a lui non interessava. Enrico Mattei operava negli interessi dello Stato e dei suoi abitanti. La libertà conquistata con sudore e fatica durante la Resistenza andava salvaguardata. E la medesima libertà la meritava il Mezzogiorno d'Italia, ancora considerato di rango inferiore. Proprio come i popoli del "Sud del mondo": uomini e donne dalla pelle scura come "l'oro nero" del proprio sottosuolo, di cui soltanto loro potevano reclamare l'esclusiva. Il 75-25, la ripartizione degli utili proposta da Mattei per i Paesi produttori mediorientali e africani era principalmente rivolta a vantaggio di questi ultimi, con eguali garanzie per l'Italia Paese consumatore. Questo era il suo segreto: vantaggi per tutti, in una visione dell'economia e della società globalizzata ancora prima che questo termine venisse creato. Enrico Mattei era un cattolico (il suo partito di riferimento era la Dc degasperiana prima, quella fanfaniana poi), aveva fede nella vita e nelle possibilità umane. E aveva un sogno: fare dell'Italia un Paese libero, indipendente e democratico. Un Paese che, in pieno "Miracolo economico", cominciava a raccogliere i primi risultati. Un Paese dove il Mezzogiorno stava risorgendo dalle ceneri di un secolare divario col Nord industrializzato. Un Paese dove gli emigrati potevano e dovevano ritornare per lavorare e vivere nella propria terra. Un Paese dove lo straniero era considerato una risorsa, non un peso. Alle porte di Milano, Metanopoli - la citta a misura d'uomo creata da Mattei - accoglieva tecnici e maestranze da tutte le parti del mondo. Gente di varie etnie, di opinioni politiche e religiose differenti, ma tutti uniti dallo stesso obiettivo: fare grande l'azienda per cui lavorano. Sessant'anni fa L'ENI, fondata nel 1953 per volere di Mattei, stava rendendo possibile quel sogno. Quel sogno e quell'uomo - tenace, coraggioso, spregiudicato ma anche coscienzioso -, però, incontrarono la morte nei cieli della campagna pavese, a bordo di un bireattore francese fatto saltare in aria da un ordigno. Inutile negarlo: dopo depistaggi e false perizie, nel 2005 la Procura di Pavia  - al termine delle minuziose indagini del magistrato Vincenzo Calia - ha stabilito che Enrico Mattei, il pilota dell'aereo Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale (che si trovava a bordo per intervistare il presidente dell'ENI) furono vittime di un attentato. 

Chi sia stato a mettere una bomba sull'aereo di Mattei, questo non si sa, e forse è anche inutile chiederselo. Basta sapere che quella sera d'ottobre di sessant'anni fa, quell'uomo e il suo sogno vennero distrutti da mano ignota, tarpando cosi le ali a un Paese che, dopo gli anni bui della guerra, stava riprendendo quota per raggiungere l'auspicata indipendenza. Un uomo e un sogno che era anche quello di contribuire alla libertà di tanti altri popoli  oppressi, attanagliati da quel "complesso d'inferiorità" che soltanto un italiano "vero" poteva comprendere. Un uomo ed un sogno a cui, oltre al presente articolo, ho dedicato con passione, fatica ed impegno una tesi di laurea che, a giorni, con sommo orgoglio e piacere, avrò l'onere e l'onore di discutere.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...