Passa ai contenuti principali

 DANIELE D'ANZA: LA TV "SPERIMENTALE"


Ironia, musica, varietà, giallo, psicologia. Era questa la televisione di Daniele D'Anza: un eterogeneo insieme di generi, di stili, di strumenti ed esperimenti che hanno segnato la storia della Rai delle origini. La sua regia, il suo modo raffinato di dirigere uomini e mezzi, di mettere in scena copioni e sceneggiature (spesso da lui stesso curati) ha costituito un vero e proprio pilastro dell'intrattenimento televisivo degli anni '60 e '70. La sua ascesa ebbe inizio nei primi anni 50. Appena trentenne - era nato, a Milano, il 20 aprile 1922 -  D'Anza aveva alle spalle una laurea in Scienze Politiche e un trascorso da critico (sulla rivista "Platee") e regista teatrale. 





Aveva lavorato con la Compagnia Carraro-Zoppelli cimentandosi con Cocteau, nell'estate del '46 aveva allestito nei giardini del Castello Sforzesco "Per venticinque metri di fango" di Irwin Shaw . Ma D'Anza era uno sperimentatore e passò così anche al cinema, dove collaborò alla sceneggiatura di celebri film ("Cronaca di un amore" di Antonioni) e diresse graziose commedie tra il musical ("Giove in doppiopetto" con Dapporto e Delia Scala) e il farsesco ("Pugni pupe e marinai" con Ugo Tognazzi e Maurizio Arena). 


Carla Gravina e Ugo Pagliai ne "Il segno del comando".

Tuttavia, le nuove frontiere della tecnologia e della ricerca erano ormai rivolte al piccolo schermo, che di lì a poco avrebbe cambiato radicalmente le abitudini degli italiani. Con Anton Giulio Majano, Mario Landi e Sandro Bolchi, Daniele D'Anza fu tra gli artigiani più raffinati della neonata Tv, pronti ad inaugurare una nuova era dello spettacolo. D'Anza, a differenza di altri, non si legò a nessun genere seppur la sua predilezione, alla fine, diventò il giallo, anche psicologico. 


In alto, Paolo Stoppa e Ugo Pagliai ne "Il giudice e il suo boia".
In basso, Adolfo Celi in "Joe Petrosino".



Nel 1971 fece ascolti eccezionali (allora esistevano solo due canali) con "Il segno del comando", il celeberrimo sceneggiato con Carla Gravina  nei panni di un affascinante spettro inseguito per le vie di Roma da un formidabile Ugo Pagliai. Con Paolo Stoppa portò in scena due romanzi di Dürrenmatt, "Il giudice e il suo boia" e  "Il sospetto", entrambi del 1972. E come non ricordare "Joe Petrosino" (1972), la fedele e misurata ricostruzione della vita e dell'assassinio del celebre poliziotto italo-americano impersonato da Adolfo Celi. Ma D'Anza, come dicevamo, realizzò anche un intrattenimento di tipo leggero. 


Domenico Modugno e Carla Gravina in "Scaramouche".


Da "Il Mattatore" (1959), varietà in dieci puntate costruito attorno alla vulcanica e affabulatoria personalità di Vittorio Gassman, alla commedia musicale "Scaramouche" (1965) con Domenico Modugno. Per non parlare poi della serie "Tutto Totò", unico lavoro televisivo del "Principe della Risata", girata nel 1967 poco prima della sua scomparsa. Un guazzabuglio di sketch vecchi e nuovi tutti incentrati sull'estro e sulla genialità del comico napoletano. 

                                                 

Daniele D'Anza con Totò sul set di "Tutto Totò".


E poi la letteratura più raffinata con l'adattamento di opere come  "L'amaro caso della baronessa di Carini" (1975) e "Madame Bovary" (1978), oppure "La ragazza dell'addio" di Scerbanenco, interpretato da Carole André e Ray Lovelock, andato in onda qualche mese dopo la sua scomparsa - avvenuta il 12 aprile 1984 . Una produzione multiforme dunque, tra serio e faceto, tra fama letteraria e vulgata popolare, tra noir e commedia, dominando un palinsesto che sapeva accontentare tutti. In primis lui, Daniele D'Anza, incline alle sfide e alla sperimentazione. Ed è per questo che nel ricordarlo, ad un secolo dalla sua nascita, ho voluto indirettamente omaggiare anche quella Tv "sperimentale", colta e popolare, di cui fu indubbiamente tra i più illustri esponenti.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l’altro, per la salita di Sant’Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla vetta del ...
LILIANA RIMINI, LA MERAVIGLIA DI UN SOGNO « Non sembra ma ho tanti, tanti anni e tante esperienze […] di coraggio e di forza ». Non sembra, per davvero, osservandola nella sua figura minuta, nel suo sguardo limpido, da anziana rimasta bambina nell’animo, con la capacità di “filosofare”, come avrebbe detto Aristotele, ovvero di guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Liliana Rimini, classe 1929, milanese doc, esuberante ed elegante in un tailleur bianco e nero sembrava una ragazzina nel paese dei balocchi martedì mattina, quando all’Ospedale Antonio Cardarell i di Napoli, frutto dell’estro, della passione e dell’impegno del suo papà, l’architetto Alessandro Rimini, ha visto prendere forma quel sogno custodito per anni in un cassetto e ormai quasi assuefattosi alla polvere del tempo e del rimpianto mai svanito.  Liliana Rimini. Il suo papà, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, soprintendente ai monumenti di Trieste e Venezia Giulia, uno degli architetti più br...
GRAZIE, PAPA FRANCESCO! Ho fatto quello che abbiamo fatto un po’ tutti, quello che lui stesso ci ha sempre chiesto. Ho pregato per lui. L’ho fatto per stima, fede e paura.  La paura che potesse abbandonarsi, che la sua ultima immagine rimanesse celata nelle stanze del Policlinico Gemelli. Oggi molti di noi potrebbero  pensare che sia stato tutto vano. E invece no, perché ciò gli ha permesso di resistere e non risparmiarsi fino alla fine. Papa Francesco ha lasciato  quell’ospedale: provato, stanco, aggrappato alla sedia a rotelle come a quella speranza che non ha perso mai. È tornato a casa sua. Ha continuato   a lavorare, anche durante la sua lunga degenza. Ha nominato nuovi cardinali, ha lanciato messaggi di pace.  Ha parlato di guerre inutili, di atroci   sofferenze. Ha incontrato i Reali e il Vice Presidente americano Vance. Ha parlato di Pasqua e di Resurrezione. Ieri mattina ha augurato Buona   Pasqua al popolo di Dio riunito a San Pietro e ha vol...