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 GIORGIO STREHLER: UN SECOLO D'ARMONIA


 Spazi vuoti, lenzuola bianche, luci, un palcoscenico. Attori di razza e lui, a dirigerli al meglio, a farli crescere. Il teatro di Giorgio Strehler era così: la meraviglia della semplicità. Il saper mettere in scena opere presentate in salse diverse ma fedeli al progetto originario, dando giusto risalto al testo. Goldoni, ad esempio, fu tra i suoi autori prediletti, più volte portato in scena nella cornice del Piccolo di Milano, l'arena in cui trascorse ben cinquant'anni. Dal 1947, quando lo fondò insieme a Nina Vinchi e Paolo Grassi, fino al 1997, quando se ne andò, il giorno di Natale, nella sua villa di Lugano, senza la possibilità di rappresentare la sua ultima fatica: "Così fan tutte" di Mozart, presentato poi al Nuovo Piccolo.



Dire Giorgio Strehler significa dire teatro, ma anche dire Milano. Quella città che lo accolse (ci arrivò da Trieste, dove nacque il 14 agosto 1921), lo formò (frequentò l'Accademia dei Filodrammatici) e dove costruì la sua fama, umana e professionale, dopo un breve periodo di fuga in Svizzera con lo scoppio della Seconda guerra mondiale.

Strehler contribuì alla rinascita del teatro. Di più: diede vita ad un nuovo modo di fare teatro, con una ricostruzione minuziosa di opere e personaggi, attraverso utilizzo di elementi semplici, di scene scarne riempite dal pathos di attori nati per vivere la scena. Si pensi alla "Vita di Galileo" di Brecht, in cui il celebre scienziato pisano era magistralmente interpretato da Tino Buazzelli. La povertà di una scena arricchita da una recitazione appassionata ma mai forzata, dove le storie rivivevano più volte (ripropose le medesime opere in più occasioni) ma sempre mantenendosi fedele alla natura datagli dall'autore. Lì, sul palcoscenico del "Piccolo", Giorgio Strehler mise in scena una umanità alla ricerca di se stessa, attraverso racconti di uomini e donne vissuti nel corpo e nell'anima di artisti in grado di coglierne le diverse sfumature. Con naturalezza ma anche con rigore, come voleva lui, Strehler, che diresse la sua arena prima con Grassi, poi da solo fino alla morte, il 25 dicembre 1997, quando un infarto lo trascinò via da quelle scene con la pacatezza e la sobrietà che lo hanno sempre contraddistinto. Però, spesso, la semplicità rischia di essere scambiata per timidezza, per un tentativo di nascondersi. Giorgio Strehler, infatti, andò via in punta di piedi, con una cerimonia funebre senza troppi fronzoli, silenziosa. Un silenzio che rischia di offuscarne il ricordo, nonostante la sua opera sia ancora viva. 

Ed è per questo che, ad un secolo dalla sua nascita, ritenevo doveroso onorare la memoria oltre che l'armonia delle sue scene indimenticabili. Perché il teatro di Strehler, cuore pulsante dell'arte del Novecento, era un misto di bellezza e armonia. E l'armonia, come diceva qualcuno, vince di mille secoli il silenzio.

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